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IL MOVIMENTO RELAZIONALE

Il movimento relazionale si inserisce nel pensiero americano, caratterizzato da una considerazione

dell’essere umano come profondamente vincolato al contesto socio-culturale. Mentre il modello

pulsionale ha enfatizzato il ruolo del conflitto, prima tra pulsioni e difese e poi tra strutture

psichiche, e mentre il modello dell’arresto evolutivo si è focalizzato sui bisogni evolutivi del

bambino e sulle condizioni ambientali con cui si incontrano, il modello del conflitto relazionale

pone il conflitto nell’ambito delle interazioni. La relazione con gli altri, sia facenti parte della realtà

che presenti nel mondo interno, diventa così la base della vita psichica. Dall’incontro tra la

Psicoanalisi inglese delle relazioni oggettuali e la teoria interpersonale, nasce la svolta relazionale,

che porta un grande apporto innovativo soprattutto per quel che riguarda il modo di guardare

all’analisi.

Stephen A. Mitchell: la Psicoanalisi relazionale

Freud ha fondato le relazioni interpersonali sulle pulsioni, che sono necessariamente correlate ad un

oggetto: l’oggetto sessuale è fonte dell’attrazione, mentre la meta sessuale è associata alla scarica

pulsionale. La prospettiva relazionale ha spodestato le pulsioni dal loro ruolo centrale, considerando

il bisogno di relazioni la motivazione primaria sottesa al comportamento umano, oltre che punto di

partenza da cui si forma la mente. Mitchell si è posto come obiettivo quello di cercare le aree di

sovrapposizione dei diversi approcci psicoanalitici, al fine di organizzarli in un costrutto unitario da

un punto di vista relazionale. Egli, infatti, è colui che ha ispirato il modello relazionale o “relazione-

conflitto”.

Dalla pulsione alla relazione

Mitchell riteneva che il modello strutturale delle pulsioni ed il modello strutturale delle relazioni

fossero irriducibili l’uno all’altro. L’ultimo dei due considera la mente come diadica e non

monadica, ponendola in una situazione di interazione. Alla ricerca di un accordo tra i due punti di

vista, l’autore ha individuato le seguenti strategie di base a cui può essere ricondotta la storia

psicoanalitica: 

- strategia dell’accomodamento ha rappresentato il tentativo di inserire le prime relazioni

d’oggetto nel modello pulsionale, senza spostare le pulsioni dalla loro posizione centrale di

motivazione primaria (Hartmann, Mahler, Jacobson);

- strategia dell’alternativa radicale la relazione è stata collocata alla base di ogni

motivazione (Sullivan, Fairbairn).

A queste, ha poi aggiunto quella a cui ha fatto ricorso il modello misto, che ha fatto sommato i

contribuiti dei due approcci.

Mitchell non ha cercato di unire il modello pulsionale con quello relazionale, bensì di trovarne i

punti di contatto.

Secondo la Psicoanalisi ortodossa, la mente ricerca un rapporto con l’ambiente allo scopo di

smorzare le tensioni interne e perseguire la gratificazione: attraverso queste relazioni, si ha la

creazione del mondo interno. La personalità si origina come prodotto delle interagenze tra

l’interazione con il mondo sociale e le modalità di adattamento adottate dall’individuo. La

prospettiva relazionale, invece, mette le relazioni al centro della vita mentale, in particolare quelle

primarie. Come precisato dall’autore, le differenze esistenti tra i due modelli non riflettono una

separazione tra biologia e cultura o tra corpo e contesto sociale, dal momento che ambo le

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prospettive teoriche tengono in considerazione tutti questi elementi. Lo scollamento sta in come

biologia-cultura e corpo-società vengono considerati in relazione tra loro: nel caso del modello

freudiano, le pulsioni hanno un ruolo preponderante, mentre nell’ottica relazionale fisiologia ed

interazione sociale si influenzano reciprocamente.

Per quel che concerne la psicopatologia:

- Psicoanalisi pulsionale la malattia si origina da una condizione conflittuale;

- teorie relazionali la malattia è una conseguenza della qualità delle prime relazioni.

Mitchell ha mantenuto una posizione intermedia preservando l’importanza del conflitto e, al tempo

stesso, continuando a ritenere importanti le prime esperienze relazionali del bambino. Ha

denominato le teorie afferenti al modello relazionale “modelli dell’arresto evolutivo”, dal momento

che si fondano sulla convinzione che un certo tipo di ambiente inadeguato possa bloccare lo

sviluppo. Ha proposto il “modello del conflitto relazionale”, in cui si ammette l’esistenza e la

rilevanza dei conflitti tra passioni, desideri e paure, ma il ruolo principale per quel che riguarda la

formazione della mente non spetta più alle pulsioni, bensì alle configurazioni relazionali.

La teoria pulsionale spiega l’insorgenza della psicopatologia con una fissazione ad una fase dello

sviluppo: più precoce è la fase, più gravi i sintomi della malattia mentale. Nel modello dell’arresto

evolutivo, invece, la patologia riflette le antiche carenze materne nella cura del figlio e lo sviluppo

sarebbe bloccato dai bisogni rimasti inappagati di questo ultimo. Secondo Mitchell, una

deprivazione di cure da parte della madre non può riguardare una sola fase evolutiva, così come la

psicopatologia non è il risultato di una fissazione: al contrario, sarebbe segno di quei processi di

adattamento che il bambino ha messo in atto per vivere all’interno di una relazione disturbata

proposta dalla figura materna. Di conseguenza, non è la precocità della fase ad influire sulla gravità

della malattia, bensì la rigidità delle strategie di adattamento messe in atto dal bambino.

Sia il modello pulsionale sia quello dell’arresto evolutivo, comunque, hanno attribuito una forte

connotazione causale ai primi anni di vita per quel che riguarda lo sviluppo della patologia; il

modello del conflitto relazionale, invece, sposta il conflitto tra le configurazioni relazionali, ovvero

i modelli relazionali interiorizzati, che possono esprimere bisogni e passioni tra loro incompatibili.

Quest’ultima visione non priva le prime esperienze della loro importanza, ma la giustifica alla luce

del fatto che contribuiscono a creare dei modelli relazionali che si organizzano su livelli sempre più

complessi nel corso dello sviluppo. La matrice relazionale (o “ideale mappa soggettiva delle

interazioni”), infatti, resta un’organizzazione fluida per tutta la vita.

Nel modello relazionale di Mitchell, l’analisi ha l’obiettivo di affrancare l’analizzante dalla matrice

relazionale in cui è intrappolato, proponendogli un’apertura verso nuove modalità di entrare in e di

vivere la relazione interpersonale ed evidenziando quelli che sono i modelli relazionali maladattivi.

Il narcisismo nelle letteratura psicoanalitica

Freud ha considerato causa della schizofrenia il narcisismo secondario, ovvero il ritiro libidico dalla

realtà e l’investimento di quella che prima era la libido oggettuale sull’Io. Si definisce narcisismo

“secondario” perché deriva dal narcisismo primario, ovvero una primitiva fase in cui il bambino

vive una condizione di armonia ed onnipotenza: a seguito di tale fase, parte della libido narcisistica

diventa libido oggettuale ed il resto può investire un oggetto sessuale, un oggetto idealizzato ed

amato in modo narcisistico o l’Io Ideale, dando luogo, in tutti i casi, ad una sopravvalutazione,

ovvero alle illusioni narcisistiche. Queste illusioni fanno sì che la persona metta in atto una chiusura

difensiva nei confronti della realtà che, se sfocia nella perdita totale di contatto con l’esterno, si

traduce in schizofrenia.

Kernberg ha differenziato il narcisismo normale, in cui si ha un investimento libidico del Sé, dal

narcisismo patologico, ove si assiste ad un’idealizzazione primitiva che determina vissuti di

grandezza ed onnipotenza. Il bambino tendente al narcisismo non si aspetta di poter ricevere

alcunché di buono dall’esterno, per cui attacca ciò che gli viene offerto e si crea un Sé grandioso,

che lo difende dalla paura provata per il mondo esterno, percepito come pericoloso. Il Sé grandioso

è indipendente da chiunque (per questo si sente forte) e nasce dalla fusione del Sé idealizzato con il

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Sé percepito. Anche in Sullivan, la grandiosità è finalizzata a celare l’inadeguatezza che la persona

prova nei contatti interpersonali.

Winnicott e Kohut, invece, hanno considerato il narcisismo infantile il nucleo del Sé e la sorgente

della creatività, elevando le illusioni narcisistiche a fonti di ispirazione e non più a caratteristiche

della psicosi schizofrenica. In particolare:

- Winnicott la madre sufficientemente buona è in grado di avvalorare le illusioni

narcisistiche del piccolo, facendogli esperire una condizione di onnipotenza soggettiva. Solo

col tempo, cessando di gratificare tutti i suoi bisogni, lo introduce al mondo reale e questo

passaggio dall’onnipotenza soggettiva alla realtà oggettiva è mediato dall’esperienza

transizionale, uno stato mentale in cui gli oggetti non vengono percepiti né come interni né

come esterni, poiché hanno caratteristiche di ambo le connotazioni. Se al bambino non viene

data la possibilità di vivere le sue illusioni narcisistiche, si va incontro allo sviluppo di un Sé

non sano. In analisi, quindi, il compito del terapeuta è proprio quello di guarire il Sé non

sano del paziente, andando a colmare le lacune dei suoi bisogni non soddisfatti e

consentendogli di ritrovare la sua creatività potenziale;

- Kohut ha identificato due tipi di transfert, ovvero quello speculare, in cui il paziente si

vive con grandiosità per andare contro al rischio di disintegrazione di Sé, e quello

idealizzante, nel quale è l’analista ad essere sopravvalutato. E’ attraverso queste illusioni

narcisistiche che l’analizzante cerca di costruire quelle relazioni oggettuali che non ha avuto

durante l’infanzia ed il terapeuta deve sapervi rispondere con “comprensione empatica”, per

facilitare la ripresa del Sé non sano.

Mitchell ha fornito un ulteriore punto di vista circa i fenomeni narcisistici e l’ha fatto spostando

l’attenzione dal contenuto della mente al carattere. Ha ripreso la filosofia di Nietzsche, che aveva

considerato la rinuncia alla vita raccomandata da Schopenhauer (ascetismo per sfuggire al dolore

esistenziale) il comportamento tipico della morale cristiana, ovvero lo spirito apollineo. Ad esso si

contrappone lo spirito dionisiaco, che vede un’accettazione della vita per quello che è ed una sua

esaltazione, la quale può condurre l’uomo a supe

Dettagli
Publisher
A.A. 2013-2014
88 pagine
62 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/07 Psicologia dinamica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher JennyJenny di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Psicologia dinamica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Nespoli Giorgio.