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Essere immersi nell’esperienza

Quando si è immersi nell’esperienze è come se fossimo realmente quell’esperienza per tutto il tempo che essa

dura. In certe occasioni, come una situazione particolarmente romantica o quando godiamo il piacere della

musica, l’essere immersi in un’esperienza ci permette d godere al massimo di ciò che stimano facendo, ma se

questa è la nostra conduzione normale comincia a diventare un problema. L’essere immersi non lascia spazio

alla riflessione, al pensiero, ma solo all’attualità delle nostre sensazioni corporee ed emotive che vengono

prese come un assoluto dato di fatto; esse non vengono intese come indizi che portano informazioni sulla

realtà, ma come la realtà vera e propria. Quindi, se io provo paura davanti alla vista del fuoco, quella mia

paura sarà talmente reale ed astratta rispetto al contesto situazionale che anche un semplice fiammifero può

essere rilevato come una condizione altamente pericolosa, amplificando quindi le mie sensazioni; ciò che si

prova è ciò che sta accadendo realmente, non importano il contesto e i vari indizi percettivi. Esiste solo

l’unico punto di vista, rigido, coincidente alle mie sensazioni che sono l’assoluta realtà.

Fonagy definisce l’atteggiamento del rimanere immersi come simile alla condizione dell’equivalenza psichica,

in cui mondo interno e realtà esterna coincidono perfettamente. La Klein parla di rimanere nella posizione

schizoparanoide in cui predomina la scissione e il sé viene sentito come se fosse oggetto dell’esperienza

piuttosto che soggetto che dà forma e interpreta la realtà. L’essere immersi comporta l’essere assolutamente

vincolati da moi antichi e ormai sorpassati, modi di sentire e fare orami strutturati in base all’abitudine.

Mentalizzare

L’atteggiamento mentalizzante corrisponde ad una capacità di utilizzare il pensiero e la riflessione in modo

flessibile, comprendere prospettive multiple della realtà, prendere in considerazione diversi punti di vista, e

questo permette di poter riaggiornare i modelli preesistenti eliminando il funzionamento automatizzato tipico

dell’essere immersi. Il mentalizzare significa avere un atteggiamento riflessivo verso la ricerca e alla

creazione di significati della nostra esperienza tanto cosciente che inconscia (nel senso di riflettere sulle nostre

emozioni involontarie e inconsce), significa modulare gli affetti e agisce in base alla valutazione del contesto.

Per esempio, di fronte ad un amico che ci chiede aiuto noi potremmo essere involontariamente portati ad

allontanarci; la nostra capacità di riflettere su ciò che sta accadendo ci permette però di comprendere che la

nostra tendenza all’allontanamento è legata alla nostra ansia di fronte alla vulnerabilità propria e altrui, e che

forse noi tentiamo ad esagerare la condizione di vulnerabilità del nostro amico rendendoci poco disponibili

prima di valutare a reale situazione.

La Main parla di mentalizzare come di “metacognizione, ossia di pensare il pensiero per poter distinguere tra

apparenza e realtà e rendere possibile il cambiamento rappresentazionale(ossia avere più punti di vista).

Fonagy parla invece di “leggere la mente” nel senso si avere in mente la mente propria o altrui in modo da

leggere e interpretare oil comportamento sulla luce degli stati mentali soggiacenti. Holmes parla di 25

“competenza narrativa” ossia di essere consci della propria vita psicologia che scorre nel tempo, di

differenziare i propri sentimenti da quelli altri e comprendere la natura rappresentazionale della mente.

La pienezza della consapevolezza della mente

Avere la pienezza della consapevolezza significa essere pienamente nel qui ed ora dell’esperienza, ricettivi ad

ogni aspetto dell’esperienza ma con quella giusta equidistanza da ognuno di questi elementi: non si è immersi

e imprigionati nell’esperienza ma se ne ha il controllo, o meglio, la consapevolezza. Si tratta di una

consapevolezza aperta, vigile e non giudicante. Di solito viene coltivata tramite la meditazione, ed

effettivamente si è osservato come questa pratica ha effetti positivi sia da un punto di vista fisiologiche che

psicologico. Dal punto di vista fisiologico riduce lo stress, abbassa la tensione, rene meno attiva il sistema

simpatico e l’amigdala, riducendo la forza delle emozioni negative, e questo si ricollega agli effetti psicologici

relativi ad una maggiore serenità, maggiore frequenza di stati mentali positivi, nonché la riduzione di ee e

propri quadri psicosintomatologici come ossessioni, ansia, fobie, ecc.

Dall’immersione alla mentalizzazione

La maggior parte dei pazienti mostra una totale o parziale immersione nell’esperienza.

I casi più gravi, di solito identificabili come borderline, sono quelli dei pazienti talmente immersi

nell’esperienza che per loro è impossibile avere una prospettiva multipla. Creare un’interpretazione sui propri

stati mentali che corrispondono a realtà senza ombra di dubbio. I casi meno gravi sono quelli di quei soggetti

in cui l’immersione sopraggiunge in quei contesti, di solito relazionali, che attivano in noi ricordi e sentimenti

dolorosi soverchianti e che bloccano la nostra capacità di riflessione.

Il fanciullezza così come in psicoterapia il passaggio dalla rigidità mentale e dall’immersione, paragonate

all’equivalenza psichica, alla flessibilità mentalizzata avviene grazie alla creazione di relazioni intime, che

siano di attaccamento o terapeutiche. Tali relazione offrono quelli elementi di responsività sensibile, affidabile

e emotivamente connessa che permettono al bambino di riconoscere se stesso nell’altro come soggetto

intenzionale, imparare a regolare i propri aspetti e poi ragionare sugli stati mentali. in generale, è la qualità

della capacità riflessiva del caregiver che permette lo sviluppo della stessa capacità nel bambino, allo stesso

modo, la focalizzazione mentalizzante del terapeuta sugli aspetti dle non verbale dle paziente permette di

attivare il potenziale riflessivo in quest’ultimo.

Il rimanere broccati nell’equivalenza psichica è molto pericoloso poiché il mondo esterno corrisponde al

mondo interno, ma quest’ultimo è dominato da sentimenti negativi, ansie, paure, e questo rende i soggetti

particolarmente e costantemente vulnerabili. I sentimenti negativi, infatti, non riescono ad essere gestiti e

allora vengono proiettati all’sterno, ma così sarà il mondo esterno a diventare pericoloso, corrispondendo

quindi alla visione negativa che il paziente si è creato. Se il paziente prova vergogna nei confronti della scarsa

sintonia del terapeuta potrebbe pensare che è il terapeuta ad essere realmente malintenzionato. È proprio

questo il pericolo di rimanere bloccati in un mondo così spaventoso che porta i bambini a rifugiarsi, in modo

evolutivamente normale, in quello che Fonagy chiama “modalità del far finta”. in questa modalità scindiamo il

mondo interno e il mondo esterno in modo che ognuno di essi non può avere influenza sull’altro, e quindi è

possibile esplorare e lasciare libero spazio al proprio mondo interno poiché non potrà avere conseguenze su

quello reale. Il mondo di finzione è ciò che noi vogliamo che sia. Quando utilizziamo questa modalità noi

siamo in grado di simbolizzare, quindi utilizzare in modo rappresentai zonale la mente, manteniamo almeno

due prospettive della realtà( quella reale e quella simbolica) e riusciamo a distinguere l’apparenza dalla realtà;

praticamente ritroviamo i tre elementi della mentalizzazione. Possiamo allora dire che la modalità del far finta

permette l’uso della mentalizzazione ma solo fino a quando continuiamo a restare nel mondo del far finta.

questo è solo un passaggio intermedo, un uso limitato della capacità di mentalizzazione, che si interrompe non

appena la realtà rientra in noi stessi e abbatte il mondo reale. Il figlio di Fonagy desiderava fortemente il

costume di Batman ma quando il padre glielo portò e lui lo indossò incominciò a piangere fortemente e poi

corse a prendere una gonna della padre per poterla usare come mantello di Batman. Il costume era talmente 26

realistico che batteva le barriere dle far finta, e quindi il desiderio del bambino di “essere Batman” diventava

reale, e quindi lui si “trasformava” realmente in Batman. Questo stesso genere di collasso può accadere in

terapia, in cui i confini del far finta sono così labili per il paziente ma poter essere oltrepassati e interferire con

la relazione terapeutica. Così, sentimenti di desiderio sensuale possono invadere, se troppo forti, i confini

mentali e creare ansia al paziente di fronte ad ogni contatto fisico assolutamente accidentale. È la mancanza di

sintonia che può portare alla rottura dello spazio di gioco e irrompere nella realtà.

La possibilità di passare dal far finta al raggiungimento della mentalizzazione consiste nella possibilità di fare

una buona esperienza del mondo di finzione in modo da poter essere liberi di esplorare il proprio mondo

interno mantenendo una base sicura. Il terapeuta, quindi, deve creare un quadro rassicurante, fato i adeguati

confini, una area transizionale di incontro tra finzione e realtà, in cui gli impulsi e gli affetti intensi sono

ammessi ma esplorati in un terreno di gioco, permettendosi il lusso di rischiare, immaginando pi liberamente.

Se l’equivalenza psichica implica la l’identificazione con la realtà e il far finta la scissione dell’esperienza e la

mentalizzazione temporanea, una buona capacità di mentalizzazione implica il comprendere la relazione tra

stati interni e realtà, comprendere quanto sia reale una nostra sensazione o quanto essa sia il frutto del nostro

mondo interno che influenza quello esterno, permettendoci di scegliere come agire piuttosto che comportarsi

in modo impulsivo.

Il circolo virtuoso che porta allo sviluppo di tutto questo è:

- Caregiver sensibile che permette di fare esperienza di regolazione degli affetti o e attivazione entro una

finestra di tolleranza

- Fornire una base sicura per l’esplorazione del mondo esterno in cui si sperimenterà la relazione con

l’interlocutore in cui, nel suo volto, troveremo l’immagine di noi come essere intenzionale

- Il comportamento del bambino riceve una risposta che comprende l’influenza degli stati mentali

soggiacenti così che egli dia la possibilità di comprendere che esistono versioni multiple e soggettive di

interpretare la realtà

- Si arriva allo sviluppo dell’atteggiamento mentalizzante

Rinforzare il Sé riflessivo e favorire

Dettagli
Publisher
A.A. 2010-2011
48 pagine
21 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/07 Psicologia dinamica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Atreyu di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Psicologia dinamica avanzata e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano - Bicocca o del prof Amadei Gherardo.