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3.8 D IFESE E MALATTIA FISICA
La clinica medica è uno dei principali ambiti di applicazione della
psicologia; ammalarsi e farsi curare sono infatti esperienze psicologiche
e relazionali. La malattia è un evento che minaccia l’individuo
nell’integrità della sua esistenza individuale e relazionale e che come tale
genera ansia tanto che l’assenza di ansia di fronte ad una malattia deve
essere considerata come un dato preoccupante per l’equilibrio
psicologico del soggetto. In quadri particolarmente estremi, come una
malattia incurabile o sconosciuta, l’ansia aumenta fino a diventare
angoscia, ma anche in quadri meno drammatici la malattia è vissuta
come una frustrazione rispetto al raggiungimento del benessere fisico,
psichico e sociale. In alcuni casi essa può anche produrre risposte
maturative nel momento in cui è possibile integrare gli aspetti di
minaccia e frustrazione in una ridefinizione della propria soggettività e
nella ricerca di nuove forme di adattamento e realizzazione personale. In
ogni caso la malattia comporta un cambiamento dell’equilibrio
individuale e il destino di questo cambiamento dipende per la maggior
parte dalle risorse dell’Io e dalla struttura di personalità del soggetto
attraverso l’espressione dei meccanismi di difesa. Questa è di massima
importanza infatti da un lato rappresenta la lotta contro l’angoscia
scaturita dalla minaccia della malattia, dall’altro permette l’instaurarsi di
nuove modalità di relazione con il mondo e con se stessi. I meccanismi di
difesa sono uno dei parametri di valutazione psicologica più utilizzati
anche in ambito clinico medico, insieme alla personalità. Conoscere la
struttura difensiva di un paziente infatti fornisce informazioni importanti
circa la compliance al trattamento e la risposta alla malattia fisica e alle
sue conseguenze. Quindi per il medico è molto importante conoscere il
tipo di adattamento o disadattamento che il paziente svilupperà in
relazione ad una malattia cronica come ad esempio il diabete o ad un
evento che modificherà radicalmente la sua vita come una diagnosi di
HIV. Infatti ogni individuo quando si ammala ha una reazione psichica
espressa dalla messa in atto di difese allo scopo di mitigare l’angoscia;
ciò significa che ci possono essere modi diversi di rispondere alla stessa
malattia. Si può individuare un modo prevalentemente adattivo in cui il
soggetto è in grado di adattarsi alla nuova realtà in cui si trova a vivere,
e uno prevalentemente disadattivo, quando il paziente non riesce a
comportarsi in modo adeguato di fronte alla malattia. Ciò che genera
l’una o l’altra risposta è il livello di organizzazione più o meno patologico
della personalità dell’individuo, che implica anche la qualità delle
relazioni interpersonali: una personalità sana è plastica e flessibile e
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quindi è in grado di adattarsi all’ambiente anche se ciò gli richiede grandi
sacrifici e cambiamenti; una personalità meno sana non è in grado di
adattarsi e continua a comportarsi come se non fosse ammalata. Una
delle difese che consente al paziente di organizzare nel tempo il proprio
adattamento ai cambiamenti indotti dalla malattia è la regressione al
servizio dell’Io. Se reversibile rappresenta uno strumento molto efficace
ma se permane impedendo il recupero del livello di funzionamento
precedente diventa disadattivo. La regressione patologica può non
dipendere solo dal malato ma anche dalla famiglia e dall’ambiente
circostante (ad esempio una moglie che accudisce il marito malato come
un figlio anche quando non è più necessario). Un frequente meccanismo
difensivo disadattivo di fronte alla malattia fisica è la negazione con cui il
paziente distorce la realtà in modo da avere un’immagine di sé come
persona non malata; la negazione può essere parziale, ad esempio se
trasforma la malattia da maligna a benigna, o totale se la malattia viene
totalmente negata. In questo caso il soggetto invece che adattarsi alla
realtà adatta la realtà a sé; questo meccanismo che può essere efficace
per l’elaborazione del lutto se transitorio, diviene profondamente
disadattivo se pervasivo. La malattia non è fonte di ansia solo per il
paziente ma anche per chi si prende cura di lui e quindi per il medico, per
il personale ospedaliero e la famiglia, soggetti che possono tutti aver
bisogno di difendersi dal malato e dalla malattia. Le difese utilizzate dal
medico, in quanto processi mentali dell’uomo, sono le stesse che
impiegano i pazienti anche se in diverse circostanze e con diverse
modalità di espressione. Le difese più caratteristiche del medico sono
l’intellettualizzazione e l’isolamento che gli consentiranno di rifugiarsi in
una visione tecnicistica della malattia trascurando le esigenze umane del
paziente; la razionalizzazione che consentirà al medico di spiegare la sua
cattiva pratica con giustificazioni pretestuose e fittizie; la negazione con
cui può rifiutarsi di prendere atto di una realtà inconfutabile come ad
esempio il fatto che vi sia un paziente terminale che verrà
costantemente trascurato; la proiezione con cui potrà trovarsi ad
accusare di aggressività un paziente non riuscendo a riconoscere
l’atteggiamento aggressivo come proprio. Un effetto da prendere in
considerazione è anche quello che la famiglia ha sulla compliance al
trattamento: durante la fase acuta della malattia le difese principalmente
usate dalla famiglia sono la rimozione, l’isolamento e la negazione. In
genere il comportamento dei famigliari è funzione della qualità della
relazione prima dell’insorgenza della malattia: se la relazione era buona
avremo un buon grado di empatia mentre se la relazione era negativa
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potremo avere diversi quadri alternativi. Un quadro si manifesta
nell’ostilità e il rifiuto del parente malato, sentimenti negativi che
possono aumentare nel momento in cui lo staff colpevolizzi i famigliari
oppure se l’ostilità diviene inaccettabile può essere mascherata con la
proiezione ad esempio ostilità nei confronti dello staff medico, con lo
spostamento, l’aggressione passiva o con la formazione reattiva
(dedizione assoluta che nasconde ostilità). Non va dimenticato
comunque il ruolo che le difese mature come l’affiliazione, l’altruismo,
umorismo, repressione, autoaffermazione, autosservazione, anticipazione
e sublimazione, hanno nella gestione della malattia. Al medico e
all’ambiente di cura spetta il compito di riconoscere e valutare lo stile
difensivo del paziente nel suo rapporto con la malattia, evitando di
innescare circoli viziosi (ad esempio rispondendo a difese disadattive con
difese altrettanto disadattive) e sapendo ricorrere all’aiuto dello
psicologo medico. 55
C 4 : La Defense Mechanism Rating Scale
APITOLO
La Defense Mechanism Rating Scale (DMRS) di Perry nasce negli anni ’80
e affonda le sue radici teoriche, concettuali e metodologiche nell’area di
ricerca sulle difese volta a formulare un asse diagnostico psicodinamico
per il DSM. Si colloca quindi all’interno della corrente di pensiero che
sottolinea l’inadeguatezza di una diagnosi descrittiva a fare di una
diagnosi strutturale che si ponga come punto di contatto tra il sapere
psichiatrico e il sapere psicodinamico di derivazione psicoanalitica. Il
concetto di difesa, a differenza di diversi altri concetti psicoanalitici, non
è stato approfondito solo da un punto di vista concettuale e teorico ma è
anche stato oggetto di numerose ricerche empiriche, le quali hanno
dovuto far fronte a non poche difficoltà (si tratta di meccanismi inconsci
non direttamente studiabili ma inferibili dal comportamento; lo stesso
concetto di “meccanismo di difesa” non è da tutti accettato; spesso non
vi è una definizione comune delle medesime difese; vi è un numero
molto alto di difese riportate in letterature; vi sono problemi di reliability
e interrater-reliability..). In tale scala Perry esamina le difese sia da un
punto di vista della teoria del conflitto, definendole come meccanismi
che mediano tra i desideri, le necessità, gli affetti e gli impulsi del
soggetto e le proibizioni interiorizzate e la realtà esterna, sia da un punto
di vista più relazionale infatti affianca alle tradizionali strategie difensive
intrapsichiche meccanismi che agiscono perlopiù sull’ambiente e sugli
altri, inducendoli a porsi come sostegno ai bisogni del soggetto, come nel
caso dell’ipocondriasi, o che costituiscono modalità di relazione, come
l’aggressività passiva. Questa apertura è fondamentale per convalidare
la diagnosi differenziale tra disturbi psicotici, in cui il paziente si perde
nel mondo psichico e utilizza difese molto primitive, disturbi di
personalità in cui vengono usate prevalentemente difese che agiscono
sul piano ambientale e relazionale e disturbi nevrotici in cui prevale l’uso
dei classici meccanismi intrapsichici individuati da Freud. La DMRS
appare particolarmente accurata e rigorosa sia sul piano concettuale sia
sui piano metodologico e costituisce una guida con cui compiere le
valutazioni, basate sui trascritti di materiale clinico, in modo da ridurre la
minimo la soggettività e aumentando in questo modo attendibilità e
validità della misura. La scala prende in considerazione 27 meccanismi di
difesa, quelli di cui in letteratura si trova una definizione chiara e una
dimostrazione di attendibilità, ognuno dei quali è correlato da una
definizione teorica, una descrizione della funzione dinamica, un’accurata
diagnosi differenziale con le difese più vicine e da una scala a tre punti
che accerti l’assenza, l’uso probabile o l’uso certo della difesa sia durante
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l’intervista che nella vita abituale del paziente. Essa prevede tre diverse
possibilità di valutazione: valutazione qualitativa che esamina la
presenza o l’assenza della difesa; valutazione quantitativa che determina
la frequenza con cui viene utilizzata una difesa (utile soprattutto negli
studi longitudinali volti a valutare il cambiamento dell’assetto difensivo in
psicoterapia) e una valutazione del livello di maturità infatti i singoli
processi sono articolati in una progressione gerarchica che prevede sette
livelli di maturità/adattamento in base all’adattività globale di ciascuno di
essi. Diverse sono anche le aree di impiego della DRMS: essa può essere
utilizzata a livello