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I test proiettivi (esempio TAT, Rorschach, disegno della famiglia) invece sono strumenti

nei quali gli stimoli sono costituiti da compiti o attività che richiedono al soggetto di

generare risposte che siano elicitate dal materiale stimolo, ma il meno possibile

“guidate” dal tesista (immagini). Il paziente deve fornire una risposta a partire da

stimoli ambigui da cui si possono ricavare elementi e caratteristiche di personalità.

Alcune caratteristiche di personalità impattano sulle modalità di risposta in un test. In

questo caso potrebbe essere utile integrare più test diversi. Il grado di expertise

(caratteristiche del test, metodo di somministrazione, scoring ecc.) del clinico è un

fattore determinante nella somministrazione dei test. Il clinico deve tradurre le

narrazioni del paziente, in una serie di codifiche o di sigle ma ci sarà sempre un certo

grado di variabilità. Le caratteristiche tipiche dei test proiettivi sono:

- Stimoli meno strutturati

- Compiti interpretativi

- Risposte aperte

- Variabili sono molto ampie

I test grafici sono test che presentano un certo gradi di fragilità, ossia che sono poco

affidabili. Manuali datati descrivevano i test oggettivi come strumenti utili alla ricerca

mentre quelli proiettivi erano utili in ambito clinico. I termini oggettivo e proiettivo

implicano significati molteplici che possono rivelarsi inadatti e ingannevoli. Potremmo

riformulare tali ipotesi e che da un punto di vista clinico entrambi questi tipi di test

sono utili perché vanno a raccogliere informazioni differenti. Per un certo periodo

si è tentato di trovare il test migliore da utilizzare, la prospettiva però più interessante

e più scientifica è quella che ritiene che vi siano più test utili che colgono aspetti

diversi dei costrutti che indagano. Non scelgo “lo” strumento più indicato ma “gli”

strumenti più indicati. Quindi parleremo di “multi-method assessment”, ovvero una

valutazione che comprenda una batteria composita nella quale possono entrare varie

fonti di informazione ricavate con molteplici metodi e talvolta da più informatori. Tra i

primi autori che cominciano ad adottare questo tipo di logica, troviamo Denzin, il quale

ritiene che nessun singolo metodo può risolvere adeguatamente il problema di fattori

casuali rivali. Poiché ogni metodo cattura un aspetto differente del funzionamento del

paziente, è utile utilizzare un approccio di valutazione che cerca di cogliere le

sfumature attraverso un approccio di multimethod-assessment.

Considerare il lavoro clinico come una tecnica è un fatto ancora pervasivo e

gravemente dannoso. Le tecniche sono utili ma quando le utilizziamo le dobbiamo

utilizzare come dei clinici e non come dei “tecnici”.

Presupposti di base – Metamappa delle caratteristiche

diagnostiche

1) Formulazione implicita della diagnosi La diagnosi non è qualcosa che si attiva

solamente in ambito clinico ma c’è l’idea che esista una formulazione implicita della

diagnosi ogni vota che si cerca di fare la diagnosi della funzionamento o del tipo di

persona che abbiamo di fronte. Noi ci possiamo rifare a più fonti per perfezionare la

nostra diagnosi. Può cambiare anche il grado con cui il clinico decide di esplicitare ciò

che ha compreso del paziente (livello di esplicitazione). Ci sono degli strumenti in cui il

grado di inferenzialità è molto ridotto o poco ridotto. Vi è l’idea che ciascuno di noi può

scegliere strade o logiche molto diverse. Non possiamo relazionarci in modo stabile

con un’altra persona senza elaborare una teoria e una rappresentazione del modo in

cui quella persona funziona e si rapporta agli altri. Questo avviene a maggior ragione

nelle professioni psicologiche.

2) Il ruolo della letteratura una buona diagnosi deve tenere conto sia delle

ricerche sia della letteratura concisa e applicativa. Per questo crediamo che la diagnosi

sia un luogo di elezione per il dialogo tra ricerca empirica e sapere clinico.

3) Cambiamenti Quasi tutte le diagnosi cambiano nel tempo, almeno in una certa

misura. I test ci aiutano ad individuare quelle variabili che cambiano nel tempo e

quelle che non cambiano. L’idea è che la diagnosi non è statica ma muta nel corso

del tempo. Se parto da questo assunto anche gli strumenti dovrebbero avere una certa

stabilità ma allo stesso tempo devono avere una certa flessibilità. La diagnosi non è

una certezza ma è un’ipotesi. Dobbiamo quindi pensare alla diagnosi come a

un’ipotesi aperta alla verifica e alla possibilità di cambiamento. Le persone sono

caratterizzati da un tasso di cambiamento molto lento, detti strutturali, ma presentano

anche modificazioni ed evoluzioni/involuzioni legate alle esperienze di vita.

Diagnosi = ipotesi (e quindi passibile di cambiamento) = NO certezza assoluta

4) Entità complessa la diagnosi come un processo che è volto all’individuazione di

diverse componenti che posso studiare dà prospettive diverse. La diagnosi è

un’insieme di variabili più o meno consce Quelle meno consce (implicite) verrano

elaborate nel corso della diagnosi. Un possibile insieme di variabili che terremo in

conto sono: motivazione, stili cognitivi, tratti di personalità, regolazione emotiva,

intelligenza, autostima ecc. questo elenco non è fisso, lo psicologico può decidere di

soffermare la propria attenzione su una o più dimensione/area. Per tale ragione la

diagnosi è multidimensionale e multistrumentale. Per molti autori lo strumento di

elezione rimane il colloquio psicologico. Per ottenere informazioni adeguate su tutti

questi ambiti e cercare di costruire un’immagine complessiva del funzionamento della

persona, spesso è necessario ricorre a più informatori e quasi sempre a più strumenti.

5) Attribuzione di senso Non si può mai prescindere dal senso soggettivo, conscio

e inconscio, che una persona attribuisce alle proprie condizioni psichiche. Dobbiamo

ricordarci che noi dovremo sempre valutare qual è il senso soggettivo di quello che

abbiamo compreso per il paziente. Se non so qual è il valore difficilmente saprò quel è

l’impatto per il paziente. Ognuno di noi sceglie su che cosa orientare i propri disturbi.

Si parte sempre dall’assunto che sintomi uguali, configurazioni simili e situazioni simili

vengono vissute diversamente da pazienti differenti.

6) Idiografico o nomotetico? Idios individuo Nomos leggi

 

Idiografico = legato alla singolarità, unicità della persona

Nomotetico = legato alla possibilità di individuare le comunanze

Gli psicologici devono avere la capacità di passare dal generale al particolare e

viceversa in modo molto flessibile ed adattivo. Il processo diagnostico contiene un

paradosso: per un verso è nomotetico, cioè guidato da costrutti teorici generalizzabili

che possono essere applicati a gruppi di individui che condividono caratteristiche

comuni invarianti; per un altro è idiografico, cioè guidato dall’attenzione ai

particolari delle singole vite.

Si integrano in diversi momenti del lavoro diagnostico (diagnosi) e nei test. In

entrambi i casi dobbiamo sempre integrare i due aspetti. Il processo che porta alla

comprensione di una persona è per certi versi idiografico e nomotetico nella misura in

cui io guardo quanto una persona assomiglia a tante altre. Quando mi sposto

dall’aspetto sintomatologico, integro la dimensione idrografica. Come la comunanza di

un paziente con altri pazienti si traduce nella sua vita? Quanto una persona somiglia a

gruppi di persone? Io ragiono tenendo conto dell’unicità e della specificità delle

persone anche se parto da una sintomatologia condivisa. Il modo per eccellenza è

quella di pensare alla diagnosi descrittiva versus quella interpretativa, cercando di

integrarle. L’approccio nomotetico non si limita a considerare gli aspetti particolari

della vita del singolo individuo. Invece la prospettiva idiografica enfatizza

l’individualità, la complessità e l’unicità di ogni individuo. Qua vi è l’idea che

ognuno di noi è l’esito della propria storia che permette di individuare quali sono le

caratteristiche della persona. Se io voglio significare gli eventi posso farlo in maniera

naïf ma ancora meglio è farlo alla luce di un modello teorico di riferimento. In fondo

nessuno può essere descritto senza dei costrutti come le emozioni, le relazioni, la

personalità ecc. Ogni dimensione è un costrutto e si basano su delle teorie. Se mi

avvalgo della logica nomotetica, mi avvalgo di una logica ateorica. I costrutti non

possono esistere senza individui a cui paragonarli e gli individui non possono essere

compresi senza dei costrutti. Per capire un paziente devo tenere in conto di più

dimensioni possibili, non devo circoscrivere mai la valutazione di un paziente ad una

sola dimensione. Bypassare il polo idrografico significherebbe pensare erroneamente

che una persona può essere studiata come fosse un oggetto inanimato; al tempo

stesso, bypassare la dimensione nomotetica significherebbe destinare la psicologia a

un ambito di sapere idiosincratico, non verificabile, non falsificabile e, in ultima analisi,

non scientifico. La formulazione del caso:

La formulazione del caso è l’ultima tappa del processo clinico diagnostico. È il

resoconto narrativo delle informazioni raccolte e dedotte nel corso dei colloqui di

valutazione diagnostica. Obiettivo della formulazione del caso è la comunicazione,

chiara e pertinente, di quanto appreso nel corso della valutazione.

Che cosa serve per fare una formulazione esauriente del caso? Quando ci occupiamo

della diagnosi abbiamo due apporci: descrivere e comprendere. Quando ci

occupiamo di descrivere ci rifacciamo ad un approccio nosografico-descrittivo che si

avvale di un sistema di classificazione che suddivide le malattie in categorie discrete.

La diagnosi psichiatrica tradizionale legge i segni e i sintomi che presenta il paziente

come delle sindromi, cioè un insieme di sintomi che si presentano

contemporaneamente e che possono essere convenzionalmente raggruppati in entità

nosografiche più o meno omogenee, le quali indicano la presenza di un disturbo

mentale.

Per essere davvero valido il ragionamento deve rispondere a tre proprietà.

1. Esclusione reciproca per cui le categorie sono gruppi omogenei con confini

distinti, quindi l’assegnazione ad una classe esclude tutte le altre classi dello

stesso livello gerarchico.

2. Esclusività per cui ogni disturbo psichico deve poter essere inserito

Dettagli
Publisher
A.A. 2019-2020
22 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/08 Psicologia clinica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher frida.05 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Psicodiagnostica clinica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano - Bicocca o del prof Parolin Laura.