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Lo stato vegetativo è di solito dovuto a un danno esteso alla materia bianca sottocorticale e ai nuclei
talamici. Possono essere presenti alcuni movimenti corporei, ma la difficoltà è proprio capire se questi
movimenti possono essere considerati intenzionali oppure no. Il paziente, in questo stato vegetativo,
appare sveglio (vigilanza, ma non consapevolezza), e mostra cicli di chiusura e apertura degli occhi,
come nel ciclo sonno/veglia. Non c'è però nessun segno di consapevolezza, ovvero risposte volontarie e
finalizzate (eseguire semplici comandi, risposte verbali o gestuali, comportamenti non finalizzati che non
sono riconducibili a semplici riflessi e altro ancora); la consapevolezza, però, è un continuum, non un
tutto o nulla. Quindi queste risposte possono essere presenti in alcuni pazienti, che presentano quello
che viene definito stato di coscienza minimale. Il problema è capire quali risposte possono indurci a
pensare a uno stato di coscienza minimale e non a uno stato vegetativo (in un terzo dei casi, infatti, si
verificano errori diagnostici tra stato vegetativo, stato di coscienza minimale e locked-in).
La Glasgow coma scale è lo strumento più preciso per una completa valutazione della funzione
neurologica. Occorre valutare tre distinti parametri, uno per volta, e attribuire un punteggio alla risposta
del paziente agli stimoli. Sommando i punteggi delle tre singole prove si ottiene il grado di
compromissione della funzione neurologica.
Il primo parametro è la risposta verbale, che viene valutata con un punteggio da 1 (nessuna risposta) a 5
(risposta corretta), passando per diversi gradi intermedi (suoni inappropriati ad esempio). Il secondo
parametro è l'apertura degli occhi, valutata con un punteggio da 1 (nessuna apertura) a 4 (apertura
spontanea); se il paziente apre gli occhi in seguito a uno stimolo doloroso o li apre al richiamo viene
attribuito un punteggio di 2 o 3.
Il terzo parametro è la risposta motoria, in cui viene richiesto di compiere un semplice gesto o si provoca
uno stimolo doloroso per verificare la risposta. Il punteggio va da 1 (nessuna risposta) a 6 (risposta
motoria corretta), passando per diversi gradi intermedi (risposta decerebrata, in cui il paziente si
irrigidisce e ruota le palme delle mani verso l'esterno in modo abnorme, risposta decorticata, in cui il
paziente si irrigidisce, risposta recessiva o in grado di localizzare il dolore). Un paziente con un
punteggio di 15 è quindi nella norma, mentre un paziente con 3 punti è in stato di coma.
Un aspetto importante che la medicina ha molto indagato è la presenza di coscienza nello stato
vegetativo. Un paziente con danno cerebrale a seguito di incidente stradale non mostra risposte per
cinque mesi, mantenendo però un corretto ciclo sonno-veglia (quindi stato vegetativo e non coma) e
mostrando alla fMRI risposte appropriate a frasi parlate. Ci si è chiesti se un paziente di questo tipo
mostri consapevolezza oppure no. Apprendimento implicito, priming, apprendimento durante anestesia e
sonno sono tutti comportamenti che possono verificarsi in assenza di consapevolezza. Quindi non
possiamo usarli come indici di coscienza nel paziente.
Ci sono però alcuni casi che sembrano indicare uno stato di consapevolezza anche durante lo stato
vegetativo. Questo accade ad esempio con un paziente in grado di immaginare di giocare a tennis
quando gli viene richiesto (dimostrato con attivazioni fMRI, in cui si osservano attivazioni motorie). In
questo modo, osservando consapevolezza, è possibile stabilire col paziente un'interazione, chiedendogli
di immaginare azioni motorie per rispondere “si” e di immaginare colori (per esempio) per rispondere
“no”.
Questa tecnica, però, funziona al momento solo con un paziente su cinque in stato vegetativo. Non
conosciamo abbastanza riguardo allo stato di coscienza, e quindi probabilmente non riusciamo ancora a
diagnosticare la compromissione del paziente in modo certo e assoluto. Proprio per questo è necessario
l'uso di più scale e di più indici fisiologici, per cogliere le diverse sfumature dello stato di consapevolezza
e ridurre il numero di errori diagnostici.
Una tecnica che possiamo utilizzare è il brain imaging, non solo attraverso fMRI ma anche attraverso la
PET, che dimostra differenze significative tra soggetti di controllo e soggetti in stato vegetativo. La
risonanza magnetica funzionale riscontra un network di aree la cui attivazione correla con lo stato di
coscienza, e che comprende la corteccia prefrontale mediale, il precuneo e la corteccia parietale
posteriore bilaterale. Questi strumenti di bioimmagine sono molto importanti per la classificazione del
paziente, e quindi sono fondamentali per le decisioni riguardanti il suo futuro. Il trattamento è possibile
solo se è presente una collaborazione del paziente, una sua consapevolezza del problema, e quindi
questi strumenti possono essere fondamentali. Possono anche avere importanti risvolti legislativi: un
paziente che dimostra consapevolezza e si dimostra a favore della morte assistita può eliminare il
problema etico dello “staccare la spina” a qualcuno che non è in grado di comunicarci la sua scelta.
Emerge un nuovo problema però: la persona, prima dello stato vegetativo, potrebbe aver indicato di
voler morire, ma potrebbe rispondere in maniera opposta una volta vissuta l'esperienza dello stato
vegetativo. In quel caso può esserci un contrasto etico importante, perché bisogna capire se le due
risposte opposte sono state date dalla stessa persona (e quindi vale l'ultima) o da persone ormai diverse
(e quindi è difficile capire cosa fare).
Il coma farmacologico è un coma provvisorio causato da una dose controllata di farmaci ipnotici, come i
barbiturici, le benzodiazepine o gli anestetici oppiacei. Il barbiturico riduce il consumo metabolico dei
tessuti cerebrali e il flusso sanguigno cerebrale, e questo viene fatto per proteggere il sistema nervoso
centrale da danni cerebrali o da una troppo alta pressione endocranica. Tuttavia il metodo è ancora
molto discusso.
È in queste situazioni che si possono verificare le near death experience, le esperienze di pre-morte, in
cui i pazienti, riemersi dallo stato di coma, riportano di aver visitato un mondo “parallelo”, una specie di
aldilà. Il cervello di questi pazienti si ferma del tutto in questi momenti di coma, quindi secondo alcuni
queste esperienze devono essere qualcosa di diverso, qualcosa di “altro”.
Le critiche sono però numerose: molti sostengono che queste esperienze sono invece frutto di
meccanismi allucinatori, che vengono percepiti come fortemente reali perché le allucinazioni vanno ad
attivare le stesse aree delle percezioni tangibili. Queste esperienze si verificherebbero non durante il
coma, ma nel momento di interruzione del coma farmacologico, quando il cervello ritorna a funzionare.
In ogni caso, queste esperienze hanno conseguenze profonde sulla vita dei pazienti, modificando le idee
e le opinioni riguardanti la religione, la famiglia o il significato della vita. Anche per questo è importante
capire che cosa e perché accade in queste esperienze.
Per capirlo è fondamentale capire come muore il cervello. L'attività corticale richiede un rifornimento
costante di ossigeno e glucosio; un ridotto flusso sanguigno, controllato da diversi meccanismi cerebrali,
porta ad uno stato di incoscienza. Nei secondi iniziali del ridotto flusso sanguigno si produce una
cascata di “risposte di sopravvivenza”, che contraddistingue una sottile linea di confine tra la coscienza e
l'incoscienza. Esiste un livello soglia (23 ml per 100g di materia cerebrale) al di sotto del quale si arriva a
una perdita di attività della corteccia cerebrale, con perdita di coscienza in dieci secondi. La
consapevolezza può ritornare se il flusso sanguigno risale oltre la soglia, ma può tornare
l'inconsapevolezza se il flusso diminuisce. Quindi la coscienza non è un fenomeno “tutto o nulla”, proprio
perché possono esserci fluttuazioni continue.
La morte neurale sopraggiunge dopo alcuni minuti di completa cessazione del flusso sanguigno, ma non
c'è un preciso momento in cui questo avviene: diversi neuroni e diverse aree possono andare incontro a
morte in periodi differenti. Quindi anche con gruppi elevati di neuroni morti a livello talamico e corticale è
possibile mantenere stati di coscienza minimale. Se in questo intervallo temporale si riesce a ristabilire
flusso, il paziente rimane in vita, anche se magari a uno stato di coscienza alterata (più tempo è passato
in assenza di flusso, più neuroni e aree saranno danneggiati o morti, e quindi più grave sarà lo stato di
coscienza del paziente).
Il cervello, quando il flusso diminuisce, mette in atto un meccanismo adattivo di difesa, che coinvolge ad
esempio il locus coeruleus. Questa struttura contribuisce a regolare la coscienza tramite un processo di
scarica temporizzata: bassi livelli di scarica coincidono con bassi livelli di arousal. Ipossia e paura
stimolano il locus coeruleus ad aumentare il suo tasso di scarica, cercando quindi di aumentare lo stato
di vigilanza. Dolore, ipossia e ridotto flusso sanguigno stimolano poi la materia grigia periacqueduttale,
che aiuta a sostenere lo stato di allerta (ovvero aiuta a sostenere la scarica rapida del locus coeruleus).
Se il flusso sanguigno diventa troppo basso, però, la materia grigia periacqueduttale riduce il tasso di
scarica del locus coeruleus, inducendo lo stato di coscienza REM per proteggere l'organismo e il
cervello (nella fase REM si attiva una risposta di immobilità).
Può essere, comunque, che il meccanismo adattivo di difesa non basti a mantenere vivo il soggetto: il
cervello cerca di “risvegliare” l'organismo aumentando l'arousal, ma la scarica del locus coeruleus non è
sufficiente, e si arriva alla morte cerebrale. Per definire la morte cerebrale del paziente servono criteri
cardiologici, criteri respiratori e criteri neurologici; il cuore deve essere fermo, così come la respirazione.
Per quanto riguarda i criteri neurologici, si deve osservare encefalogramma piatto permanente e
irreversibile (misurato per trenta minuti almeno due volte in sei ore) associato a mancanza di segni di
funzioni cerebrali (nessuna risposta al dolore, assenza di respirazione e assenza dei riflessi veicolati dai
nervi cranici, come quello della dilatazione della pupilla). Quindi la morte cerebrale implica la perdita di
funzioni corticali (della neocorteccia) ma anche del tronco-encefalo.
Le esperienze post-mortem riportate dai pazienti presentano, in molti casi, alcuni elementi comuni:
emozioni piacevoli, sensazioni di pace, l'uscita dal corpo, la presenza di luce o di esseri di luce (ma
anche familiari deceduti).
È stato condotto uno studio su pazi