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Questo è un abuso del PM, che non comunica l’archiviazione al procuratore generale sulla base di
un gentleman agreement tra la procura generale e le varie procure territoriali.
Nel processo agli enti spesso si arriva a trattative tra gli enti e il PM, volte dal punto di vista
legislativo ad escludere le sanzioni interdittive. È possibile ad esempio l’adozione postuma del
sistema di prevenzione come descritto dall’art. 6: l’ente diventa virtuoso e mette sul piano della
trattativa le sue prassi tese ad impedire il ripetersi del reato. Questa condotta è valutabile per
escludere l’applicazione delle sanzioni interdittive. È possibile l’applicazione di misura cautelare
interdittiva nei confronti dell’ente, quindi l’anticipazione dell’applicazione della sanzione
interdittiva. Per l’applicazione è necessario passare dal contraddittorio anticipato davanti al GIP,
che dovrà valutare l’applicazione della misura cautelare, in questa fase di contraddittorio anticipato
l’ente può rendersi disponibile ad adottare le misure di prevenzione in maniera postuma. Ciò
determina la sospensione dell’applicazione della sanzione interdittiva sotto forma di misura
cautelare (restano pena pecuniaria e confisca del profitto). Il legislatore ha quindi previsto un
margine di trattativa con l’ente ma non è previsto che la condotta riparatoria tenuta dall’ente nel
corso delle indagini preliminari (eliminazione delle conseguenze dannose dell’illecito dipendente
dal reato e garanzia che ciò non avvenga più affinché sia abbuonata la sanzione solo interdittiva)
determinino l’archiviazione del procedimento. I PM ritengono che sia discrezionale l’azione in base
a scelte di opportunità (discrezionalità pura) anche se dovrebbe essere quantomeno “ferma
l’applicazione delle sanzioni pecuniarie e la confisca del profitto” ex art. 17 → il PM si sente in
grado di “perdonare” l’ente e non processarlo.
Questo tipo di scelta deriva dagli USA, in cui ci sono i non prosecution agreement (abbandono
delle accuse) e i deferral prosecution agreement (per rinviare l’esercizio dell’azione).
In America ciò è giustificato perchè ci sono delle linee guida da seguire definite dal programma
politico e giudiziario stilato dal procuratore distrettuale nella sua campagna elettorale (è un
soggetto politico democraticamente eletto). In America quindi il potere di azione è discrezionale
perchè il prosecutor ha anche responsabilità politica.
In Italia invece il PM è un funzionario pubblico che ha un grande potere ma deve essere guidato
dall’applicazione della legge.
I non prosecution agreement non dovrebbero avere spazio in Italia perchè l’azione dovrebbe
essere obbligatoria (sia che sia qualcosa di penale sia amministrativo).
Nonostante l’accordo sulla base della predisposizione ex post delle misure di prevenzione
dovrebbe restare la confisca del profitto e il risarcimento del danno.
La confisca del profitto c’è sempre, anche se non ci fosse responsabilità dell’ente e quindi questo
viene assolto (perchè c’erano i modelli di prevenzione ed il reato è stato commesso
fraudolentemente dall’apicale).
Nel processo agli enti la confisca è una sanzione (art. 9), nel sistema penale tradizionale è invece
una misura di sicurezza. Questa presa di posizione del legislatore è significativa perchè dottrina e
giurisprudenza da tempo affermano che la confisca ha una connotazione afflittiva e quindi penale
(le misure di sicurezza dovrebbero avere finalità special-preventiva).
La confisca (anche per equivalente) però si applica anche nel caso dell’ente assolto (art. 6 comma
V) e questo fa tornare ad una visione più simile alla misura di sicurezza che alla sanzione.
Spesso è difficile stabilire l’entità del profitto e quindi del vantaggio tratto dal reato, specialmente
per i reati-contatto come la corruzione.
Ad esempio una società corrompe un pubblico ufficiale per vedersi aggiudicare un appalto per
costruire una struttura. Se l’appalto valeva 50 milioni di euro, che l’ente ha ottenuto perchè si è
aggiudicato l’appalto, ma a monte c’è stata la corruzione che è stata pagata, il profitto del reato
sono i 50 milioni o il netto? Se la costruzione è costata 40 milioni l’utile netto è 10 milioni.
Parametrare il profitto ai ricavi significherebbe punire due volte l’ente perché si vedrebbe privato
del ricavo (commessa) ma dovrebbe anche ripagare la spesa da lui sostenuta per costruire. Le
Sezioni Unite optano il più delle volte nei casi di appalto per il profitto netto (la confisca incide su
un profitto calcolato al netto delle spese per l’esecuzione del contratto). Modello processuale
L’ente non può sfuggire alla sua responsabilità e al processo (non può scappare come una persona
fisica) ma potrebbe trasformarsi. Il legislatore ha predisposto misure per evitare che l’ente si
sottragga alla sua responsabilità (gli artt. 28-33 prendono in considerazione le trasformazioni
dell’ente per renderle inefficaci come schermo per nascondere la propria responsabilità). L’art. 34
contiene una clausola di sussidiarietà: si applicano le disposizioni speciali del decreto ma in
mancanza di una disposizione adatta si applica il codice di procedura penale e le disposizioni di
attuazione. Gli enti potrebbero optare per la scelta di procedimenti speciali. Sono previsti il giudizio
abbreviato (art. 62), il patteggiamento (art. 63) e il procedimento per decreto (art. 64). Il giudizio
abbreviato non è ammesso se per l’illecito amministrativo è prevista la sanzione interdittiva in via
definitiva (recidiva qualificata + entità del profitto). Il patteggiamento è possibile in tutti i casi in cui
la sanzione è solo quella pecuniaria. Se l’ente mira al patteggiamento deve tenere le condotte
riparatorie così che non sarà più prospettata l’applicazione della pena interdittiva. Il
patteggiamento incontra il limite della patteggiabilità del reato presupposto, indipendentemente
dal fatto che il patteggiamento sia stato o meno accordato all’imputato. Questo si scontra con il
problema dell’autonomia: non per forza si sa chi è autore del reato ma così non si può neanche
fare la prognosi di patteggiabilità del reato presupposto (se ci sono le preclusioni soggettive al
patteggiamento). I procedimenti non previsti possono essere scelti perchè rientrano grazie alla
clausola di sussidiarietà o non possono esserci perchè non sono previsti? Prevale la sussidiarietà o
la specialità? La scelta di prevederne solo tre potrebbe presupporre l’esclusione degli altri tre ma
d’altra parte una dimenticanza potrebbe essere supplita con la sussidiarietà (non sempre però
stabilire in quale ambito si rientra è difficile).
Il problema si potrebbe porre ad esempio con la messa alla prova, che non era ancora prevista nel
2001 e quindi non si può sapere se il legislatore l’avrebbe inserita se fosse già stata esistente. Il
giudizio immediato e quello direttissimo erano già previsti nel 2001 e il fatto che non siano stati
considerati presuppone che ci sia stata una valutazione sulla loro inidoneità.
Prevale la clausola di sussidiarietà ma con una valutazione di compatibilità.
Ad esempio l’ente risponde anche se l’apicale fosse assolto per particolare tenuità perché questa
disposizione non è compatibile. L’art. 35 prevede che si applicano le disposizioni processuali
sull’imputato perchè compatibili.
Si potrebbe arrivare alla stessa conclusione con il 34, la disposizione ha più finalità politica e
pedagogica (si raccomanda di trattare l’ente come un imputato: il legislatore anche se non lo
ammette sa che l’ente è come un imputato e risponde di un reato). Sulla responsabilità dell’ente
decide il giudice penale, competente è il giudice del reato presupposto.
I due processi dovrebbero compiersi simultaneamente per economia processuale ma ciò potrebbe
anche non accadere, perchè l’imputato può scegliere uno dei riti speciali non condivisi dall’ente ma
anche per il principio di autonomia della responsabilità dell’ente (art. 8): l’ente risponde anche se
non si celebra il processo a capo della persona fisica non imputabile o ignota o se il reato si
estingue non per amnistia.
L’art. 60 prevede che, se la prescrizione del reato presupposto interviene prima dell’esercizio
dell’azione nei confronti dell’ente, l’ente non può più essere processato (non è più possibile la
contestazione). Se c’è già stata la contestazione ed interviene la prescrizione l’imputato è
prosciolto ma non lo è l’ente. L’art. 22 afferma che nel corso del processo la prescrizione
dell’illecito amministrativo dipendente da reato è sospesa. Il legislatore confonde la prescrizione
del reato e la prescrizione della pena, vuole riferirsi alla prescrizione dell’illecito ma parla di
prescrizione della sanzione. Interrompono la prescrizione (pari a 5 anni) la richiesta di misure
cautelari interdittive e la contestazione dell’illecito.
Per effetto dell’interruzione inizia un nuovo periodo di prescrizione.
Entro 5 anni l’autorità deve dimostrare l’interesse punitivo, una volta contestato l’illecito la
prescrizione durante il processo non decorre più. Se l’atto interruttivo è l’applicazione delle misure
cautelari le indagini preliminari possono svilupparsi fino a 10 anni. Il processo su tre gradi di
giudizio per l’ente normalmente non si svolge mai, si cerca di trovare accordi prima del processo
oppure si tengono condotte riparatorie per evitare la pena, raramente si arriva al primo grado.
La prescrizione ha un effetto benefico deflattivo sopratutto sui giudizi di impugnazione, ma la
grandissima contro-spinta data all’ente è che il processo penale non mette in gioco per lui la libertà
personale o l’onore, è una valutazione economica.
Il legislatore prevede la possibilità di sostituire la sanzione interdittiva di sospensione dell’attività
per grandi realtà con il commissario giudiziale (art. 15). Ciò può avvenire quando l’ente svolge un
servizio pubblico; quando l’interruzione dell’attività può avere importanti ripercussioni
sull’occupazione, in relazione alla funzione e all’estensione sul territorio.
Il com