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10.3 IL RICORSO PER CASSAZIONE
Sono sempre oggetto di ricorso per cassazione, quando non altrimenti impugnabili, i provvedimenti con i quali
il giudice decide sulla libertà personale (art. 568, c. 2). Il ricorso, soltanto per violazione di legge, è consentito:
Contro le decisioni emesse dal tribunale delle libertà in sede di riesame ed in sede di appello.
Contro l’ordinanza di proroga della custodia cautelare per perizia psichiatrica in ogni stato e grado del
procedimento di merito (art. 305, c. 1).
Contro l’ordinanza che decide sulla convalida del fermo e dell’arresto.
Per le ordinanze costitutive di misure coercitive è previsto il c.d. ricorso per saltum: tramite questo
particolare ricorso è possibile adire direttamente la Suprema Corte per violazione di legge (senza
coinvolgere il Tribunale delle libertà) al fine di avere una pronuncia definitiva e più celere sulla legittimità
della misura cautelare (il PM non potrà beneficiare del ricorso per saltum, per cui è costretto a presentare
appello).
I termini per impugnare per saltum sono quelli ex art. 309, c. 1 e 3. Il ricorso proposto rende inammissibile la
richiesta di riesame. (entro 10 giorni dalla comunicazione o notificazione dell’avviso di deposito
Legittimato a proporre il ricorso
del provvedimento) è chiunque vi abbia interesse (PM, imputato e difensore). Il ricorso è presentato nella
cancelleria del giudice a quo e va motivato (con possibilità di ulteriori motivi prima dell’inizio della
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discussione). La decisione della Cassazione, in camera di consiglio, deve intervenire entro 30 gg dalla ricezione
degli atti.
Una particolare disciplina è prevista se la Cassazione esclude la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza
addotti dal PM in sede di richiesta di provvedimento cautelare ex art. 273, il PM non potrà esercitare l’azione
penale sulla base di detti elementi ormai coperti dal giudicato cautelare (ma potrà esercitarla sulla base di
ulteriori elementi probatori eventualmente acquisiti nel proseguo delle indagini preliminari (art. 405, c. 1bis).
SULLE IMPUGNAZIONI
Il riesame ha una tempistica predeterminata dal legislatore a pena di caducazione della misura coercitiva (il
riesame riguarda solo le misure cautelari personali coercitive). Ha una cadenza temporale presidiata dalla
sanzione del venire meno dell’efficacia della misura. Da un lato ciò privilegia l’imputato (che nel giro di un
mese ha la pronuncia del tribunale del riesame), dall’altro crea problemi alla difesa visto che questa ha 10 gg
per proporre istanza di riesame e in questi 10 gg si dovrebbe prendere conoscenza degli atti investigativi. Per
tale ragione il riesame è un gravame in senso puro (altra sola ipotesi di gravame puro è l’opposizione al decreto
penale di condanna), non motivato necessariamente.
Si chiede al giudice del riesame un nuovo giudizio sulla cautela. Il riesame era stato definito (prima ancora
della riforma dell’88) tribunale della libertà, con eccessiva enfasi visto che in realtà non ha strumenti cognitivi
necessari per arrivare ad una decisione pienamente consapevole (a volte), a causa della tempistica molto stretta.
Se ci sono procedimenti complessi, con molte imputazioni e molti imputati trattati simultaneamente, in cui il
riesame deve valutare migliaia di atti di indagine, allora, nel dubbio spesso conferma la misura cautelare. La
possibilità poi del ricorso per cassazione prevede termini perentori quanto alla presentazione del ricorso e
ordinatori quanto alla decisione, qui la cassazione decide quando le pare. La Cassazione è strutturata in modo
tale da non poter penetrare più di tanto nella vicenda cautelare. Il ricorso per Cassazione deve essere proposto
entro 10 gg e richiede l’enunciazione contestuale dei motivi specifici (che devono essere quelli previsti dall’art.
606) e ci si rivolge ad un giudice che difficilmente entra nel merito della questione cautelare.
Quindi per concludere sulle impugnazioni: queste sono una garanzia di tipo verticale nel senso che si sale da
un giudice all’ altro ma è un sistema non molto effettivo. Il nostro legislatore sta discutendo una riforma delle
impugnazioni cautelari. La cosa importante da tenere a mente è che i principi sono quelli di un procedimento
incidentale che trae origine dal procedimento principale ma vive poi una vita propria.
La metafora adatta per spiegare il fenomeno è quella del ramo che si sviluppa in modo autonomo. Ma la
metafora fa capire che il ramo e più sottile del tronco. Il procedimento incidentale cautelare nasce a cognizione
sommaria, fondata sul fumus boni iuris, una valutazione sommaria dei presupposti probatori e fattuali.
Inizialmente anche la cautela penale aveva tale caratteristica, poi ci si accorse che non era possibile privare
della libertà qualcuno con una delibazione sugli atti non piena o inferiore rispetto a quella alla quale è chiamato
il giudice del dibattimento. o l’imputato
Nella realtà fattuale l’indagato che si vede ristretto in carcere in attesa di giudizio (per tanti anni
magari) subisce la cautela come fosse una pena (questa è la sensazione anche dell’opinione pubblica). Preso
atto che la custodia cautelare in carcere rimane sempre legata allo stesso problema, ossia incarcerare un
presunto innocente, essendo afflittiva e analoga alla pena (anche se non persegue e non dovrebbe perseguire
le stesse finalità), il legislatore ha stabilito che il procedimento cautelare non potesse essere sommario. Si è
deciso di parificarlo al procedimento principale.
Quindi il ramo nasce come un ramoscello e pian piano negli anni si ingrossa e diventa quasi un tronco. Tale
evoluzione del sistema cautelare lo troviamo all’ art. 273 1-bis. Nella valutazione dei gravi indizi di
colpevolezza si applicano le disposizioni degli articoli 192, commi 3 e 4 (relativi alla valutazione della prova),
195, comma 7 (testimonianza indiretta), 203 (Informatori della polizia giudiziaria e dei servizi di sicurezza.) e
271 (sulle intercettazioni), comma 1. 80
Quindi tutti i criteri di valutazione della prova a tutti gli effetti. Quindi un procedimento cautelare
sovrapponibile a quello di merito ma che viene sempre deciso allo stato degli atti.
Nel corso delle impugnazioni non è che si recuperi più di tanto la mancanza di contraddittorio che è mancata
nella fase applicativa della misura. L’indagato scopre all’improvviso di essere destinatario di una misura
cautelare, sta in carcere e subisce un interrogatorio di garanzia e poi deve proporre riesame, ma quando
riversano 200 faldoni di atti di indagine il difensore che deve fare? Si rimette alla clemenza della corte e chiede
al tribunale un riesame senza spiegarne le ragioni o i motivi (benché non necessari).
Il riesame inoltre è rischioso visto che se ci sono delle falle nella motivazione delle misure, il tribunale del
riesame le può colmare (tre giudici pensano meglio di uno, pensano meglio del Gip). Poi se si va in cassazione
e questa conferma la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza la cosa si fa difficile visto che il processo
principale deve ancora iniziare di fronte ad un altro giudice di primo grado (questo tenderà a conformarsi alla
pronuncia della cassazione). responsabilità dell’imputato, deve quindi decidere su una
Il tribunale di primo grado quindi dovrà valutare la
questione quasi sovrapponibile a quella relativa ai gravi indizi di colpevolezza, ed essendosi già pronunciata
la cassazione e il tribunale del riesame su quei gravi indizi di colpevolezza, si verifica una sorta di
consolidazione. Ciò che si decide in sede cautelare non dovrebbe influenzare il giudizio di merito. Ma visto
che si è imposto nel giudizio cautelare di usare le stesse garanzie del giudizio principale, è ovvio che il
legislatore tende a importare le garanzie probatorie del procedimento di merito in quello cautelare e i due
giudizi tendono a sovrapporsi e c’è una quasi identità del materiale che il giudice del dibattimento dovrà
valutare e quelli già valutati dal giudice del riesame.
Alla fine si rischia di fare il vero processo in sede cautelare, ma qui la difesa non dispone degli stessi strumenti
che si hanno in giudizio. Allora vale la pena fare il giudizio cautelare con le impugnazioni? Prima il
sommario e poi il legislatore ne ha capito l’inutilità ed ha esteso
procedimento cautelare dunque era snello e
alcune garanzie del procedimento di merito a quello cautelare e questo si è ingrossato. La dimostrazione di ciò
è la possibilità di giudizio immediato custodiale: una volta applicata la misura della custodia si può saltare
l’udienza preliminare e andare al dibattimento.
– L’APPLICAZIONE PROVVISORIA DI MISURE DI SICUREZZA
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Tra le misure cautelari personali, accanto alle misure interdittive e coercitive, gli art. 312 e 313 prevedono
l’applicazione provvisoria di misure di sicurezza
anche a persone socialmente pericolose (206 cp) nei casi
previsti dalla legge. Condizioni per l’applicazione:
Gravi indizi di commissione del fatto (quindi anche il non punibile, non c’è la colpevolezza)
le condizioni dell’art. 273 c.2
Non ricorrano
Le misure di sicurezza sono parificate a quelle cautelari quanto a condizione generale di applicazione
provvisoria. Questa può avvenire in qualunque stato e grado del procedimento, su richiesta del PM e a seguito
di ordinanza del giudice.
Il giudice deve accertare la pericolosità sociale dell’imputato, quindi l’interrogatorio della persona è momento
sostanzialmente irrinunciabile.
Il giudice dell’applicazione è anche quello della sostituzione o revoca. Ai fini delle impugnazioni la misura di
sicurezza è equiparata alla custodia cautelare.
Avendo un carattere afflittivo, la misura di sicurezza provvisoriamente applicata è equiparata alla detenzione
e legittima la domanda di riparazione.
–
12 LA RIPARAZIONE PER INGIUSTA DETENZIONE
L’imputato in attesa di giudizio può essere sottoposto alla custodia cautelare in carcere (efficacia assimilata
hanno gli arresti domiciliari) e può essere privato della libertà. Se poi si scopre che era innocente ed è stato
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assolto nel processo di merito per non aver commesso il fatto o il fatto non costituisce reato o non è previsto
dalla legge come reato o non sussiste o nel caso in cui nel procedimento cautelare si scopra che la custodia è
stata adottata in assenza dei presupposti di cui agli artt. 273 e 280, in questi due casi ha diritto ad un indennizzo.
Questo non è un risarcimento, sono due cose distinte. L’indennizzo spetta all’imputato assolto, che va
parificato all’imputato che ha visto archiviato il procedimento o ha goduto di una sente