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LA REVOCA DEL LICENZIAMENTO
In caso di revoca del licenziamento da parte del datore di lavoro, questa può essere effettuata entro 15 giorni dalla ricezione dell'impugnazione del lavoratore. In tal caso, il rapporto si intende pristinato e il lavoratore ha diritto alla retribuzione maturata nel periodo precedente alla revoca, senza che trovino applicazione i regimi sanzionatori previsti dall'articolo 18.
LA TUTELA DEBOLE - art. 8 legge 604 del 1966
Quando si applica la tutela debole, è obbligatorio che il lavoratore venga riassunto dal datore di lavoro. Ciò implica la costituzione di un nuovo rapporto di lavoro e quindi il lavoratore non ha diritto alle spettanze retributive che ha maturato dal momento del licenziamento fino alla riassunzione.
Tale obbligo è previsto in alternativa al pagamento di un risarcimento danni tra un minimo di 2,5 e un massimo di 6 mensilità. Qualora il lavoratore abbia un'anzianità di servizio superiore a 10 e a 20 anni e il datore di lavoro occupi più di...
15 dipendenti i massimi della penale sono elevati a 10 e 14. La scelta tra i due obblighi spetta al datore di lavoro. Ma l'art 8 non chiarisce se tale regime si applichi anche al licenziamento per vizi di forma e procedura e ne sono tali incertezze per cui:
- Al licenziamento intimato in forma orale si dovrebbe applicare la reintegrazione piena prevista per il licenziamento discriminatorio
- Il licenziamento intimato in forma scritta ma senza motivazione o con motivazione generica è qualificato come inesistenza con diritto del dipendente di far valere la continuità giuridica del rapporto e richiede la percezione della retribuzione maturata durante il periodo di interruzione.
- In caso di licenziamento disciplinare disposto in violazione dell'art 7 dello statuto dei lavoratori la giurisprudenza ritiene applicabile il regime previsto dall'art 8 per il licenziamento sostanzialmente ingiustificato.
IL REGIME SANZIONATORIO DEL LICENZIAMENTO ILLEGITTIMO PER I LAVORATORI
ASSUNT DAL 7 MARZO 2015
Per i lavoratori a tempo indeterminato assunti dal 7 marzo 2015 il regime sanzionatori era caratterizzato da un livello più elevato di flessibilità in uscita e cioè attraverso:
- La previsione della tutela economica in caso di licenziamento illegittimo con una tutela ripristinatoria e reintegratoria confinata a un numero di ipotesi ridotte
- Più ridotto importo della tutela economica specialmente per i lavoratori con bassa anzianità di servizio
L'importo dell'indennità risarcitoria era predeterminabile dal datore di lavoro tramite l'applicazione di un criterio automatico di risarcimento crescente con l'anzianità di servizio. Il tutto volto a favorire una conciliazione pacifica della controversia, questo anche attraverso l'istituzione dell'OFFERTA DI CONCILIAZIONE in base al quale il datore di lavoro offre un importo di una mensilità di retribuzione per ogni anno di servizio, in misura sempre non
Inferiore a 3 e non superiore a 27, e il lavoratore accetti. Tale importo non è assoggettato a contribuzione previdenziale né all'imposta sul reddito delle persone fisiche. Per essere valida l'offerta deve essere fatta dal datore al lavoratore tramite la consegna di un assegno circolare e accettata entro il termine di impugnazione stragiudiziale del licenziamento. Ovviamente le parti possono approfittare per conciliare anche altre eventuali pendenze ma gli importi aggiuntivi eventualmente attribuiti al lavoratore restano soggetti al regime fiscale ordinario. Il nuovo regime sanzionatorio riprende il modello dell'art 18 dal quale accoglie la sistematica dei vizi del licenziamento. Lo spirito di questa disciplina è stato sostanzialmente stravolto dal d l 87 del 2018 convertito con legge 96 del 2018 e dalla sentenza della corte costituzionale 8 novembre 2018 n 194. Il decreto dignità si è limitato a ritoccare minimi e massimo dei trattamenti indennitari.
La corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il meccanismo di calcolo automatico dell'indennità in base all'anzianità di servizio, marchio di fabbrica del JOBS act. La normativa attualmente vigente è la combinazione di questi diversi interventi. La tutela economica presupposti e contenuti L'art. 3 del d.lgs. 23 del 2015 ha disposto che nei casi in cui risulta accertato il licenziamento per giustificato motivo oggettivo/soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 6 e non superiore a 36 mensilità. Il calcolo qui non è la risultante di un meccanismo automatico e la corte costituzionale hagiudice entro un range di 3 a 6 mensilità, tenendo conto di vari elementi oltre all'anzianità. La sentenza 194 del 2018 ha dichiarato illegittimo l'articolo 3 del decreto legislativo 23 del 2015, con conseguenti ripercussioni anche su altri tipi di licenziamento viziato. In precedenza, per i casi di licenziamento ingiustificato da parte di un datore di lavoro di piccole dimensioni, si applicava un calcolo basato sulla moltiplicazione di 1 mensilità per ogni anno di servizio. Oggi, l'indennità è determinabile dal giudice tra un minimo di 3 e un massimo di 6 mensilità, simile al regime dell'articolo 8 della legge 604 del 1966. La corte è intervenuta riguardo al regime sanzionatorio del licenziamento affetto da vizi formali o procedurali, stabilendo che l'indennità è determinabile dal giudice.giustificato sia giusta o meno, ma la pronuncia 194 del 2018 stabilisce che la tutela ripristinatoria si applica solo se sono presenti i requisiti occupazionali dell'articolo 18. Questi requisiti possono essere un giustificato motivo soggettivo o una giusta causa, e il licenziamento deve essere considerato ingiustificato a causa dell'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore. La cassazione ha interpretato questa disposizione in modo più ampio, sostenendo che la tutela ripristinatoria può essere applicata anche se non sono presenti gli altri elementi della condotta, come il dolo o la colpa. In ogni caso, il numero di mensilità di indennizzo previste dalla pronuncia 194 del 2018 varia da un minimo di 2 a un massimo di 12, ma può essere ridotto a 1 o 6 se l'impresa è di piccole dimensioni.- Una prima ipotesi è quella del dirigente il cui licenziamento è libero, sul piano della legge a causa del carattere fortemente fiduciario che lo lega al datore di lavoro. I contratti collettivi attribuiscono al dirigente la facoltà di far valere dinanzi a un collegio arbitrale o a un giudice il carattere ingiustificato del licenziamento con applicazione qualora il difetto venga accertato dal giudice di un indennità economica fra un minimo pari all'importo del preavviso e un massimo che può giungere a 2 annualità di retribuzione.
- Seconda ipotesi lavoratore domestico
- Lavoratore in possesso del requisito di età per conseguire la pensione di vecchiaia che al momento è fissato a 67 anni.
- Lavoratore licenziato per esito negativo della prova.
Impugnare comunque il licenziamento qualora asserisca di non essere stato posto dal datore nella condizione di effettuare la prova nelle mansioni per le quali è stato assunto. Qualora una tale impugnazione abbia successo da titolo a conseguire un risarcimento danni per un importo di massima basso.
Licenziamento che il datore di lavoro è libero di disporre al termine del contratto di apprendistato.
IL REGIME SANZIONATORIO DEL LICENZIAMENTO ILLEGITTIMO PER I LAVORATORI PUBBLICI
I lavoratori pubblici sono rimasti fuori dalle riforme del 2015 ma probabilmente anche di quelle del 2012. Con il d lgs n 75 del 2017 è stata prevista una norma ad hoc che riprende quella di cui all'art 18 dello statuto dei lavoratori e che si rivolge a tutti i lavoratori pubblici inclusi i dirigenti. Il giudice, con la sentenza con cui dichiara nullo il licenziamento, condanna l'amministrazione alla reintegrazione del lavoratore e al pagamento di un indennità risarcitoria.
commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR corrispondente al periodo che va dal giorno del licenziamento a quello della reintegrazione, ma comunque in misura non superiore a 24 mensilità. Il datore di lavoro è condannato per il medesimo periodo al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. LA CRISI DELL'IMPRESA E LO STATO DI DISOCCUPAZIONE ECCEDENZE DI PERSONALE E AMMORTIZZATORI SOCIALI Per tentare a uscire da una condizione di difficoltà o da una crisi, l'impresa di solito tende a un ridimensionamento del proprio organico finalizzato ad abbattere costi del lavoro non più sostenibili. I licenziamenti collettivi sono di solito accettati come ultima ratio, quando c'è da garantire sopravvivenza dell'organismo aziendale e assai di meno quando sono finalizzati a maggiori ritorni azionisti. L'ordinamento si preoccupa di predisporre strumenti rivolti a consentire all'impresa dituazione difficile. È importante trovare un equilibrio tra le esigenze dell'azienda e la tutela dei diritti dei dipendenti. Per fare ciò, potrebbe essere necessario adottare alcune misure come la riduzione del personale attraverso licenziamenti o la riduzione dell'orario di lavoro. È fondamentale comunicare in modo chiaro e trasparente con i dipendenti coinvolti, spiegando loro le ragioni di queste decisioni e offrendo supporto e assistenza nel trovare nuove opportunità di lavoro. Inoltre, è importante garantire che i lavoratori rimasti nell'azienda siano adeguatamente retribuiti e che i loro diritti siano rispettati. Ciò può includere l'implementazione di politiche di aumento salariale, l'offerta di formazione e sviluppo professionale e la creazione di un ambiente di lavoro sicuro e sano. In conclusione, liberarsi del personale che non è più in grado di mantenere economicamente è una decisione difficile ma necessaria per garantire la sopravvivenza dell'azienda. Tuttavia, è importante farlo nel rispetto dei diritti dei lavoratori e cercando di minimizzare l'impatto negativo sulla loro vita professionale.