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Il primo pilastro
Il primo pilastro riuniva le Comunità europee (CECA, CEEA e CEE), alle quali si sarebbero aggiunte l'Unione economica e monetaria e il Protocollo speciale per la politica sociale (un'integrazione del 1997 al Trattato sull'UE che vi integrava i principi della Carta del 1989 e che fu possibile solo grazie all'avvento dei laburisti di Tony Blair al governo dello UK).
Questo "pilastro comunitario" confermava o estendeva le aree su cui le istituzioni europee avevano poteri regolativi, ossia le questioni relative al mercato unico, alle quattro libertà di circolazione (uomini, capitali, beni e servizi), all'agricoltura, all'ambiente, alla concorrenza, alla politica del mercato e ai temi fiscali e monetari. Si tratta degli ambiti in cui il sovranazionalismo è maggiormente pronunciato, per cui le decisioni sono presetipicamente a maggioranza qualificata e secondo il triangolo decisionale Commissione-Consiglio-Parlamento.
Il secondo rappresentava la volontà delle istituzioni europee di intervenire sulla scena internazionale con una voce unitaria riguardo i conflitti armati, i diritti umani e, in generale, qualunque tema connesso ai valori comuni che fondano la UE e che essa si impegna a tutelare. L'UE quale organizzazione porta avanti una propria politica estera (non solamente una proiezione della politica estera degli stati membri). Il terzo, infine, attribuiva al Consiglio il potere di deliberare provvedimenti che armonizzavano le normative europee negli ambiti della giustizia, del diritto e della forza pubblica. Riguardava quattro materie: la cooperazione giudiziaria in materia civile, la cooperazione giudiziaria in materia penale, la cooperazione di polizia e la disciplina di visti, asilo e immigrazione. Tuttavia, rispetto al primo pilastro, questi due operavano ancora secondo una logica intergovernativa, dando perciò risalto in primis all'azione e alla volontà dei governi.E operando di norma secondo il principio dell'unanimità. In effetti, i settori interessati da questa parte del Trattato riguardano competenze essenziali per l'esercizio della sovranità degli Stati, i quali, quindi, erano e rimangono restii a concedere alla UE un potere d'intervento più elevato. Gli Stati avevano scelto di non operare una cessione di sovranità, ma di continuare a essere loro titolari di poteri sovrani in questi settori. La cessione di sovranità continuava a riguardare solo le comunità europee (il primo pilastro).
Il Trattato di Maastricht mantenne largamente il quadro istituzionale della CEE, ma conteneva comunque alcune modifiche:
- Rafforzava il Consiglio Europeo come organo che stimola e orienta l'azione politica dell'unione
- Ampliava i poteri del Parlamento Europeo, che venne dotato del potere d'investitura della Commissione e diventò parte integrante del processo legislativo
obiettivi previsti, senza che le istituzioni di livello superiore possano arrogarsi il diritto d'intervenire laddove le istituzioni di livello inferiore sono in grado di agire efficacemente.
La delimitazione delle competenze dell'Unione si fonda sul principio di attribuzione. A questo proposito, l'articolo 5 del Trattato afferma che l'Unione agisce nei limiti delle competenze a essa attribuite dagli Stati membri (anche se la prassi ha spesso portato a un allentamento di fatto di questi limiti) ed esercita queste competenze nel rispetto dei principi di proporzionalità e sussidiarietà. In virtù di quest'ultimo, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva, la UE può prospettare il proprio intervento solo se gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere conseguiti pienamente dall'azione individuale degli Stati membri (né a livello centrale né a livello regionale e locale), ma possono esserlo agendo
Al livello di unione. Questo principio, in generale, obbliga l'Unione a dimostrare quale sia il valore aggiunto che può derivare dal suo intervento, il quale è spesso accolto dagli Stati come un'ingerenza non voluta che necessita di una giustificazione.
Il TUE adottò, in vista dell'istituzione dell'Unione economica e monetaria, dei parametri che miravano a permettere la convergenza delle economie degli Stati europei, i quali dovevano mantenere od ottenere finanze pubbliche sane. I parametri di convergenza/di Maastricht riguardavano il contenimento del tasso d'inflazione (che era particolarmente elevato in paesi come l'Italia, la quale veniva da un decennio di contesa sull'abrogazione del sistema chiamato "scala mobile"), il tasso d'inflazione rilevato in tutti gli Stati membri non può superare di 1,5% quello dei tre Stati membri con il più basso tasso d'inflazione rilevato su base annua.
disavanzo/deficit pubblico (la differenza fra le entrate e le uscite della pubblica amministrazione) non poteva superare il 3% del PIL. Il debito pubblico, ovvero la somma del deficit pubblico e degli interessi che lo Stato paga ai detentori di obbligazioni o di titoli di Stato (debito netto della Pubblica Amministrazione), non poteva superare il 60% del PIL. I tassi d'interesse a lungo termine di ciascuno Stato membro non devono essere superiori del 2% rispetto a quelli adottati dai paesi che possono vantare la migliore performance in termini di stabilità dei prezzi. I tassi di cambio delle monete nazionali dovevano rispettare i margini normali di fluttuazione previsti dal meccanismo di cambio del Sistema monetario europeo per almeno due anni, senza svalutazione nei confronti della moneta di qualsiasi Stato membro. Nel 1997 fu adottato dal Consiglio dell'UE il Patto di stabilità e crescita, volto a controllare il debito pubblico e il deficit, rendendo i relativi
Parametri di Maastricht dellenorme giuridicamente vincolanti per gli Stati Membri. Il trattato di Maastricht avvia inoltre il passaggio verso l'euro, getta le basi per l'unione economica e monetaria, la moneta unica (l'euro) e i criteri per il suo utilizzo. L'Unione economica e monetaria fu conseguita con un processo a tappe durato tutti gli anni '90.
Prima fase (90-93): la libertà totale di circolazione dei capitali all'interno dell'Unione; la convergenza economica, grazie al controllo multilaterale delle politiche economiche degli Stati membri.
Seconda fase (94-98): la creazione dell'Istituto monetario europeo (IME), con sede a Francoforte, composto dai governatori delle banche centrali dei paesi dell'UE; il rispetto di norme per ridurre i deficit di bilancio (parametri di Maastricht). Ma i passaggi fondamentali avvennero tra il 1999 e il 2002, con l'adozione dell'euro e l'istituzione della Banca Centrale Europea.
Organo che sostituiva l'Istituto monetario europeo (che era composto dai governatori delle banche centrali nazionali) e che era incaricato di governare la politica monetaria dell'Unione, la quale era definita e adottata usando l'euro. Il 1995 vide l'allargamento della membership ad Austria, Finlandia e Svezia. I 15 Stati membri ora coprono quasi l'intero territorio dell'Europa occidentale. Due anni più tardi fu siglato il Trattato di Amsterdam, che integrò il TUE del 1992 introducendo, in primis, una politica comunitaria dell'occupazione, un settore che era già stato oggetto di varie direttive comunitarie che miravano a tradurre in pratica i precetti della Carta sociale del 1989 (specialmente in riferimento alla tutela dei lavoratori), configurando un ruolo degli Stati proattivo, che portasse ad associare alle indennità degli incentivi all'occupazione, anche nell'ottica di accompagnare la transizione in senso ecologico dell'economia.
Il Trattato previde, inoltre, la comunitarizzazione (cioè il trasferimento di un ambito d'autorità al pilastro comunitario, passaggio dal 3° al 1° pilastro) di alcuni temi del pilastro GAI, l'integrazione nel TUE della Convenzione di Schengen, fondando così lo Spazio Schengen, e istituendo la carica di Alto rappresentante per la politica estera e la sicurezza comune, che è tuttora un membro della Commissione Europea incaricato di definire una forma di coordinamento delle diplomazie nazionali nell'ambito della PESC. Infine, si estesero gli ambiti in cui la presa di decisioni avveniva a maggioranza qualificata e si rafforzò il potere del Parlamento Europeo. Dagli anni '90 in poi la UE ha attraversato varie crisi di crescita, cioè dei periodi di forti tensioni a cui sono seguite importanti tappe del processo d'integrazione. A partire dal 2000 si iniziarono ad adottare, a livello europeo, delle strategie d'azione.pluriennali che contenevano indirizzi generali da seguire nella governance locale, statale e sovrastatale. La prima di queste strategie fu la strategia di Lisbona, il cui scopo era rendere l'Unione "