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Il patriottismo nazionale dopo la rioccupazione di Milano da parte di Napoleone
Dopo la rioccupazione di Milano da parte di Napoleone nel 1800, con il colpo di stato del 9 nov.1799, riprese vigore un patriottismo nazionale molto articolato. Il dibattito sul futuro degli italiani, iniziato tra il 1796 e il 1797, verteva sulla necessità della Francia nello sviluppo della nazione.
La seconda repubblica Cisalpina, proclamata da Napoleone il 15 giu. 1800, favorita dalla pesante sconfitta degli austriaci a Marengo, realizzò il 28 gen. 1802 la Repubblica Italiana, a forte caratura Lombarda, con il dipartimento del Reno e con la regione veneta e quella piemontese (1801). A presiederla fu lo stesso Napoleone, primo console, e alla vice-presidenza fu chiamato Francesco Melzi d'Eril: monarchia costituzionale, indipendenza nazionale, riformismo moderato, annessionismo territoriale, costituivano i punti salienti del suo programma politico. La concezione costituzionale del Melzi, contrapponendosi a quella del Seyès, tese ad accentuare il peso dello stato nei.
confronti della libertà dell'individuo, a privilegiare il diritto pubblico rispetto ai diritti individuali. Nata a Lione per volere di Napoleone, la Repubblica Italiana poteva apparire una regione satellite della Francia consolare, ma con la parola "italiana" si comprendeva ormai tutta la penisola. Protetta e dipendente dalla strategia napoleonica, essa non era completamente autonoma, nonostante la politica internazionale fosse diretta dal governo, presieduto da Melzi fino al 1805. Con la proclamazione dell'impero Napoleonico (maggio 1804), la Repubblica Italiana si trasformò in regno d'Italia (marzo 1805), con Milano capitale, perfettamente allineato al sistema francese. "Francesizzare gli italiani" era l'obiettivo di Napoleone il quale, con l'applicazione dei codici francesi, pensava ad un ordine politico universale che nulla concedeva ai sentimenti nazionali. In ogni modo la presenza napoleonica se da una parte favorìun primo processo di omologazione dall'altra represse qualsiasi tentativo di indipendenza dell'Italia. Gli intellettuali come Cuoco, formatisi sulle opere di Machiavelli e Vico, cercarono di capire cosa era successo realmente. Secondo Cuoco, la rivoluzione francese fu il risultato di una nazione dilaniata da contraddizioni interne, mai risolte, che il popolo volle cercare di sanare. Per Cuoco essa fu una rivoluzione attiva perché nacque dalla piena coscienza dei mali e dalla necessità di porvi rimedio. La rivoluzione partenopea del '99, invece fu passiva poiché fu costituita da coloro che la sognavano senza essere consapevoli di cosa si trattasse, infatti, si era rivelata del tutto inadeguata per aver voluto applicare pedissequamente alla realtà napoletana il modello parigino. Cuoco sosteneva che la Repubblica Italiana avrebbe dovuto fondarsi sulla tradizione nazionale, invece, durante la rivoluzione, volendo sempre imitare gli stranieri.L'orgoglio nazionale italiano era praticamente scomparso e l'italiano non era più nessuno. Se il Re di Napoli avesse conosciuto lo stato della sua nazione, avrebbe capito che i napoletani non volevano imitare i francesi ma che volevano una repubblica che si fondasse sui bisogni ed usi del popolo e non su quelli dei rivoluzionari. Primo passo era darsi una costituzione che è stabile perché poggia sulle leggi. I tempi del cambiamento dovevano essere progressivi e, secondo Cuoco l'indipendenza formale del regno napoleonico non equivaleva a sovranità nazionale né a libertà politica. Sulla crisi del regno si soffermò anche Delfico, che ne criticò l'immatura manifestazione e il metodo rivoluzionario considerato distruttivo. L'Italia era stata nei secoli la patria della libertà e la Francia non sarebbe mai riuscita a raggiungerla. Secondo Salfi il periodo Napoleonico aveva assicurato comunque all'Italia
uno spicchio diindipendenza: alla caduta di Napoleone(1815) sembrò più chiaro che l'Italia dovesse "fare da sé", gradualmente, costringendo i ceti aristocratici ad affrontare il progresso, attenuando la diffusionedel brigantaggio, favorendo la diffusione dei ceti produttivi e della mentalità borghese, infineprogrammando lo sviluppo civile e culturale.Fu comunque l'età napoleonica un periodo di forti trasformazioni: sia la repubblica che il regno d'Italia favorirono l'idea di una nazione regolata da codici universali; l'elaborazione e l'introduzione di codici unici aventi valore per l'intera penisola avevano iniziato a far comunicaretra loro stati aventi leggi, istituzioni completamente differenti e inoltre si operò un consolidamentodel processo sia di unificazione economica che giuridica.
3. La patria, la tradizione e il risorgimento
Dal primo ingresso di Napoleone a Milano(1796) il riferimento
nazionale era diventato preminente su qualsiasi altro sentimento di appartenenza religiosa, territoriale e sociale. L'appartenenza nazionale diventa patriottismo: la patria viene vista come coscienza di un'appartenenza e il patriottismo può essere repubblicano o monarchico, unitario o federalista, democratico o tirannico poiché la forma di governo non impedisce l'identificazione di patria con nazione.
L'invito a recuperare la passata grandezza nazionale fu ben raccolto soprattutto in ambito letterario e negli ambienti del romanticismo, infatti ciò che apparve in evidenza fu il legame tra cultura e nazione. Questo sentimento di coscienza nazionale era stato presente negli scrittori italiani sin dai primi del '700; nell'ambito del recupero dell'identità nazionale andavano situate le riflessioni sulle caratteristiche della libertà italiana e la descrizione dei costumi italiani. A metà '700 l'idea
La nazione in Italia era ancora divisa tra la lotta all'invadenza straniera da una parte e la critica al localismo dall'altra. Questa progressiva affermazione dell'appartenenza nazionale può essere captata nell'individuazione roussoiana del bene del cittadino nel bene della patria. Questa formula venne esaltata sia dalla rivoluzione francese (1789) sia dagli antirivoluzionari e antifrancesi sia da nazioni in via di unificazione sia da nazioni già unificate. Fu nei mesi intercorrenti tra il giuramento della pallacorda e la dichiarazione dei diritti (1789), che il termine nazione assunse il suo significato ultimo. L'abate Seyès, che già nell'immediata vigilia della rivoluzione aveva sostenuto che la nazione esiste prima di tutto, sviluppò durante la rivoluzione la teoria della nazione come soggetto costituente. La nazione stava ad indicare il popolo come unità avente una determinata coscienza politica (tradizioni, valori, obiettivi, speranze, sentimenti).
che è antecedente alle articolazioni legislative, istituzionali o statali. Negli stati italiani la formula roussoiana trovò una sua prima diffusione nel clima rivoluzionario che la presenza napoleonica provocò. Nel triennio 1812-1814, quando l'astro napoleonico cominciò a spegnersi, l'indipendenza era la parola che meglio di altre identificava quel risorgimento nazionale che ormai tutti propugnavano. A questo termine ognuno attribuiva un significato diverso: i moderati si accontentavano dell'unità statale; i liberali propugnavano un'ideologia nazionale e costituzionale; i democratici intendevano l'indipendenza nazionale connessa all'unità e alla libertà. Molto contribuì allo sviluppo dello spirito nazionale l'istituzione di un esercito regolare, non più basato sulla leva di massa ma sulla coscrizione: quando nel maggio 1800 Napoleone rientrò in Italia, il generale Giuseppe Lechi eraa capo della legione italica organizzata a Digione; con la Repubblica Italiana(1802) l'esercito italiano fu definitivamente organizzato in forma autonoma, con propri regolamenti e proprie bandiere. Il servizio militare obbligatorio per 4 anni fu visto come un mezzo di educazione politica e civile per tutti i giovani compresi tra i venti e i venticinque anni. Se prima di Campoformio "patriota" significava colui che amava la sua città, dopo il trattato contraddistingueva chi, amando l'Italia, voleva inserirla nel flusso della storia. Risorgimento è un termine usato per la prima volta in un libro (1775) dedicato al tentativo di educare i propri contemporanei al gusto delle lettere, delle arti e del costume dell'Italia medievale e comunale. Esso indica un risollevarsi, attraverso un recupero-approfondimento della propria tradizione, che intende realizzare un progetto politico diverso da quello esistente. Ciò che doveva sorgere di nuovo eraL'idea di Italia come comunità di lingua e cultura. Nacquero così i progenitori, gli eroi e i profeti della religione nazionale e furono riscoperti i capisaldi della letteratura tradizionale: Dante, Petrarca e Machiavelli.
Capitolo 2
I salotti, le riviste, le armi
- L'emigrazione politica
Il fenomeno dell'emigrazione politica si genera ogni qualvolta i governi adottano delle misure repressive costringendo molti personaggi ad abbandonare la patria per paesi con una più stabile situazione economica e sociale. L'emigrazione politica italiana in Europa si è sviluppata soprattutto nel periodo che va dalla restaurazione all'unità ed ha interessato soprattutto paesi come la Francia, l'Inghilterra e la Svizzera. Gli esuli in terra straniera hanno approfittato di questi soggiorni per sostenere i primi tentativi di trasformazione politica italiana attraverso la propaganda e la diffusione delle idee rivoluzionarie.
Nodi
dell'emigrazione divennero la questione dell'unità o della federazione, insieme a quella della monarchia o della repubblica. L'elaborazione letteraria sull'indipendenza della patria, sviluppata oltre che da poemi anche da alcuni giornali pubblicati oltralpe, costituì un momento di crescita della coscienza politica nazionale. A questo programma contribuirono anche i salotti: luoghi di incontro e di scontro tra vecchie élites e ceti emergenti. All'estero i salotti portarono un contributo appassionato al ristabilimento del nome italiano. Gli esuli italiani ebbero occasione di conoscere le nuove teorie economiche, le elaborazioni politiche riformatrici, le più aggiornate proposte di organizzazione e distribuzione del lavoro. Fra queste il sansimonismo che costituì, per il pensiero politico italiano, un primo tramite di aggiornamento sull'industrialismo, il libero scambio, la scienza applicata alla produzione; più che il.re dal 1831, come "La Giovine Italia" e "L'Unità Italiana". Queste riviste svolsero un ruolo fondamentale nella diffusione delle idee e dei principi del movimento risorgimentale italiano. Inoltre, i sansimonisti italiani si impegnarono anche nella promozione dell'istruzione pubblica e nella diffusione della cultura scientifica e tecnica.