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APPUNTI E SCHEMI DI PSICOLOGIA SOCIALE

2 - PERCEZIONE SOCIALE E ATTRIBUZIONE

La percezione sociale studia il modo in cui ci creiamo impressioni e formuliamo giudizi sugli altri.

Essa è intesa e spiegata in tanti modi.

- Modello configurazionale di Asch

I soggetti sommano i tratti attribuiti ad una persona costituendo i significati sulla base delle proprie idee

relative a come gli stessi tratti sono stati associati tra loro. La somma è una somma olistica, approssimativa,

“forfettaria”, fortemente mutevole anche con il minimo cambiamento. Non tutti i tratti hanno infatti lo

stesso “valore”, ne esistono di periferici e centrali, e la loro importanza cambia fortemente dal contesto

(non sempre sono centrali o periferici), e dall’ordine in cui sono acquisiti (precedenza ai primi, primacy).

Gli studi di Asch sono stati ulteriormente avvalorati da quelli di Kelley (esperimento sul prof. caldo-freddo), e

hanno portato Bruneri e Tagiuri a formulare l’ipotesi delle teorie implicite di personalità, secondo le quali

appunto compiamo giudizi su percezioni complessive, non operando somme esatte dei tratti acquisiti

(“L’intero è più della somma delle componenti”, principio Gestalt).

- Modello dell’algebra cognitiva

I soggetti sommano le unità informazionali tra loro in maniera “esatta”, operando poi medie tra i valori

attribuiti ai singoli tratti.

Attualmente, si crede che Asch abbia ragione. Tuttavia limiti della sua teoria sono legati al fatto che il suo è uno

studio senza veri target, senza interazioni reali (non vi sono sguardi, suoni, odori, etc.) e con il rischio che una

teoria del genere possa portare a fenomeni di profezia che si auto-avvera (porsi con quella persona secondo i

“pregiudizi”, operando comportamenti che fanno poi sì che le impressioni poste in essere si avverino poi per

davvero).

Sulla prima impressione è stato inoltre scoperto, con Rosenberg, che tendiamo a richiamare aggettivi dal valore

sociale simile a quelli già elencati quando operiamo descrizioni di persone (“generoso”, ad esempio, richiamerà

“buono”, “fedele”, “comprensivo”, etc. -> PRIMING).

La prima impressione

La prima impressione è molto importante, e in essa hanno rilevanza sia la componente verbale, che la

componente non verbale (movimenti, espressioni del volto, etc.). In particolare, le espressioni facciali sono state

studiate fin da Darwin, e hanno un grande ruolo nella sopravvivenza della specie (es. comunicare pericolo,

aggressività etc.).

6 sono le principali emozioni per Darwin: rabbia, felicità, sorpresa, paura, disgusto, tristezza.

Le teorie dell’attribuzione

Le teorie dell’attribuzione ci aiutano a comprendere come noi traiamo inferenze sulle motivazioni del

comportamento nostro (auto-attribuzione) e degli altri, ossia a capire a cosa e come pensiamo quando

cerchiamo di dare spiegazioni a determinate azioni.

Trarre inferenze di questo genere porta a due grandi vantaggi: consente di integrare informazioni relative ai

soggetti, e a prevederne anche eventuali comportamenti futuri.

Padre della teoria dell’attribuzione è lo studioso Haider, il quale sostiene che siamo maggiormente soliti dare

spiegazioni di carattere interno (personale), piuttosto che esterno, legato al contesto, quando siamo impegnati a

trovare la causa di un determinato atteggiamento. Il lavoro di Heider è stato continuato da altri studiosi.

- Teoria dell’inferenza corrispondente

Continuo del lavoro di Haider, formulata da Jones e Davis, sostiene che tendiamo a spiegare le azioni

(interazioni) di un soggetto attribuendole a specifici e personali tratti di personalità (disposizioni) dello stesso

(es., mi ha risposto male PERCHE’ LUI è antipatico).

Inoltre, sostiene che spieghiamo il perché di un atteggiamento con l’analisi degli effetti non comuni, ossia

cercando di capire cosa renda la scelta di un’azione (o di una serie di azioni) preferibile rispetto a tutte le altre

alternative (es., a parità di comfort, scelgo quella poltrona perché più economica).

Tuttavia, non sempre sappiamo a cosa paragonare gli eventi, quali altre sono le alternative. Perciò Hilton e

Slugoski trovarono che tendiamo a trovare motivazioni essenzialmente per fatti insoliti, facendo il confronto tra

ciò che è accaduto e ciò che sarebbe normalmente accaduto in passato se la cosa non fosse andata

diversamente da quella volta. Purtroppo, però, spesso dimentichiamo che non sempre i comportamenti sono

intenzionali, e non sempre sono legati alle volontà del soggetto (es. ordini) -> BIAS DELLA CORRISPONDENZA.

- Teoria della covariazione di Kelley

Sostiene che i dati che utilizziamo per spiegare i comportamenti dipendono sia da cause interne che da cause

esterne, e che esse COVARIANO in base a contesto, tempo, attori, bersagli del comportamento, etc.

In particolare, combiniamo le informazioni in base a tre parametri (CCD):

o Consenso tra le persone

o Coerenza tra le situazioni

o Distintività (o specificità) tra gli oggetti

Anche questa teoria ha i suoi punti deboli: per stessa ammissione di Kelley, non sempre abbiamo informazioni

relative a tutte e tre le variabili (e spesso, se non ne abbiamo, ce le inventiamo sulla base di esperienze

precedenti) o siamo disposti a compiere queste analisi, in una determinata situazione. Ancora, non spiega le

cause, ma solo la correlazione rispetto a punti specifici. Non va dimenticato, inoltre, che alcuni studi successivi

(Lajlee) hanno dimostrato che solo raramente utilizziamo consenso, coerenza e distintività come parametri di

riferimento: il modello potrebbe dunque essere alquanto infondato.

Teoria di attribuzione a successi o fallimenti

-

Formulata da Weiner, mette luce sul fatto che spesso tendiamo a volerci spiegare eventi che hanno decretato

per noi successi o fallimenti.

I fattori causali da noi percepiti possono essere:

o Interni o esterni

o Stabili o instabili

o Controllabili o incontrollabili

La spiegazione di successi o fallimenti può aiutarci in numeri campi, e dare indicazioni sulle nostre performance.

In particolare, se i fenomeni sono controllabili, possiamo convincerci a migliorarci a seguito di insuccessi.

Nulla faremo, probabilmente, se vedremo la situazione come incontrollabile (e magari instabile, ed esterna).

Le riflessioni sulla concezione di un evento come “incontrollabile” han fatto sì che questa teoria desse il via ad

alcuni studi sulla depressione. I depressi credono che il quotidiano dipenda ben poco da loro, e che dunque non

possa cambiare, generando in essi ulteriori adduzioni che rendono ancor più difficile la loro guarigione. Capire

come far sì che un evento non sia visto come “incontrollabile” potrebbe dar loro grande sostegno.

I bias di attribuzione

Aldilà delle le teorie, non siamo soliti elaborare le informazioni in maniera sistematica e razionale come

potrebbe apparire dagli studi teorici sull’attribuzione. Gli errori (bias) che commettiamo sono tanti.

Il bias di corrispondenza

-

L’errore più comune e grande in cui sembra incappiamo di più è il bias di corrispondenza (o bias fondamentale di

attribuzione), e consiste nella nostra tendenza a voler attribuire le cause di un comportamento molto più a

fattori disposizionali interni di un soggetto, che a cause esterne, situazionali.

Le cause di questo bias sono diverse:

o Il contesto è spesso oggettivamente difficile da percepire;

o Le nostre aspettative influenzano le nostre stesse percezioni;

o Fare inferenze di natura interna è meno dispendioso, in termini di spesa di risorse cognitive, rispetto

al fare inferenze di natura esterna;

Rispetto a quest’ultima motivazione, diversi sono gli studi che dimostrano la veridicità di queste affermazioni.

In particolare, è stato dimostrato che persino quando sappiamo che i soggetti agenti hanno seguito un “ordine”,

sono meri agenti sollevati da ogni responsabilità, tendiamo a pensare che la “colpa” sia loro, e non esterna ad

essi. Lo studioso Krull ha però sottolineato che questi errori tendono a sparire quando è chiesto ai soggetti

analizzatori di soffermarsi sul contesto, per cui essi dipendono anche dal modo in cui la situazione è presentata.

- Il bias attore-osservatore

E’ essenzialmente l’opposto di quanto accade nel bias di corrispondenza. Stavolta, però, il riferimento è alle

situazioni in cui siamo noi a dover trarre inferenze su nostri atteggiamenti. In questo caso, dimostriamo di

essere più propensi a spiegare con cause esterne gli atteggiamenti, piuttosto che con cause interne.

Le cause di questo fatto possono essere due:

o Conosciamo maggiormente i contesti in cui avvengono le situazioni, per cui tendiamo ad “utilizzarli”

di più

o Guardando le cose dall’interno all’esterno, è l’esterno ad essere il nostro target privilegiato (non

torniamo indietro su noi stessi, ma tendiamo a restare sulla situazione, osservata naturalmente)

- Il bias al servizio del sé

E’ l’errore che l’uomo compie per “salvare” sé stesso, distorcendo la realtà a suo favore e preservando

l’immagine che ha di sé, la sua autostima, specie se si sente minacciato. E’ più comune nelle società

individualiste (USA, UK, Germania, etc.), che nelle società collettiviste (India, Giappone, Isole del Pacifico, etc.).

Questa distorsione, non casuale, è squisitamente motivata. Sfocia nei bias di accrescimento (o protezione)del sé.

La sua presenza deriva spesso dall’umore del soggetto e dal contesto (in alcuni, il prendersi meriti è mal visto).

Altri bias, facilmente intuibili, sono l’ottimismo realistico e la credenza in un mondo giusto.

Aldilà delle spiegazioni teoriche sui nostri bias, da alcuni studi pratici emergono delle realtà da considerare:

- Spesso diamo spiegazioni poste in un certo modo perché presumiamo che il nostro ascoltatore sia

interessato a quel particolare punto di vista, che per questo adottiamo.

- Altra cosa, molto spesso cerchiamo spiegazioni ai fatti per difendere la nostra opinione, più che aiutare gli

altri a comprendere gli eventi. Sarebbe scorretto parlare di errori, nei casi in cui applichiamo

deliberatamente strategie per sostenere la nostra visione personale.

- Studiare la percezione sociale può darci l’impressione che l’uomo possa diventare, a seconda delle

circostanze, un giudice, un avvocato, uno stratega, ed altro ancora. Tutto, in pratica. Ma ciò non è vero,

perché comunque l’uomo resta un uomo, ancorato com’è a risorse concettuali non infinitamente flessibili,

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Publisher
A.A. 2014-2015
4 pagine
1 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/05 Psicologia sociale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher faraday92 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Psicologia sociale I e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi Gabriele D'Annunzio di Chieti e Pescara o del prof Di Battista Silvia.