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SOCIALE DI APPARTENENZA, NON SETTORIALIZZAZIONE, NE’ ELITARIA, NE’ ISOLANTE
(questo si trova nel testo “Laboratorio Didattico). Queste caratteristiche sono tutte collegate le une
con le altre.
- Di ampio respiro: deve potersi allargare a esperienze simili, non deve essere indirizzata
verso un campo delimitato;
- Vitale: comporta il concetto di “vita”, deve riguardare la vita del soggetto, deve
coinvolgerlo e renderlo partecipativo;
- Organica: deve esserci una strutturazione interna che permette alle parti costituenti un
sistema di interagire tra loro in maniera corretta, l’esperienza deve essere organica e
totalizzante;
- Socializzante: l’esperienza finalizzata all’apprendimento è volta alla socializzazione,
deve sempre avvenire insieme a qualcun altro. Apprendimento co-costruito: idea di
cooperazione, apprendere insieme agli altri allena il bambino ad esprimersi secondo
l’istinto della socializzazione.
- Legata all’ambiente storico sociale di appartenenza: visto che deve riguardare la vita, è
chiaro che deve esserci continuità tra l’esperienza svolta in classe e quella svolta
all’esterno della classe, deve fare in classe quello che può diventargli utile nella vita di
tutti i giorni. Deve esserci CONTINUITA’ OSMOTICA tra questi due aspetti: vita scolastica
e vita famigliare e sociale;
- Non settorializzazione: è grazie all’esperienza che si ritrovano tutti gli elementi collegati
tra di loro, le varie materie devono essere FUNZIONALI l’una all’altra, trovando degli
elementi di CONGIUNZIONE tra loro anche in virtù dell’esperienza vitale del soggetto;
- Né elitaria, né isolante: l’elitarismo è isolante, demarca un territorio aldilà del quale non si
può andare, è un idea anti-democratica. L’esperienza non può essere esclusiva, ma deve
essere aperta tutti proprio per tutte le caratteristiche dette precedentemente. Deve essere
GLOBALIZZANTE, INCLUDENTE.
Per questi motivi la scuola sperimentale di Dewey si appropria di una visione della scuola olistica,
socio-ambientale ed ecologica nel senso che RISPETTA L’AMBIENTE in senso lato, nel senso
che si ritrova a contatto con l’ambiente di vita del soggetto.
La scuola dovrebbe creare dei CONTESTI LEGANTI che creino una continuità tra scuola ed extra
scuola e questi sono i CONTESTI LABORATORIALI. Sono luoghi in cui il conoscere sia guidato
dal fattivo FATTIVO METODO DELL’INDAGINE: indagare significa FARE RICERCA, quindi
trovare elementi mancanti per la soluzione di un problema. Il metodo dell’indagine presuppone
un’organizzazione strutturale che non può vertere su fatti astratti ed ideali, ma i fatti su cui deve
basarsi devono essere CONCRETI (“fattivo”); quindi non ci si può mai sganciare dall’esperienza
diretta. Questo, secondo quanto immagina Dewey, dovrebbe essere fatto dall’allievo
AUTONOMAMENTE dall’allievo sia nel senso dell’azione che nel senso dell’auto-disciplina
all’interno di un laboratorio. La motivazione dovrebbe essere INTRINSECA all’individuo e,
all’interno del laboratorio, non deve essere il maestro a guidare l’azione, ma l’ESPERIENZA. Il
maestro non dovrebbe dare il sapere, il sapere dovrebbe essere conquistato dall’allievo tramite
l’esperienza. Questo permette al bambino di AUTO-DISCIPLINARSI perché non è vero che il
bambino non è capace di farlo e deve essere condotto dall’esterno, questo è solo un pregiudizio
storico. Anche Piajet sostiene che la mente del bambino si autodisciplina in modo naturale, se
sollecitato in modo adeguato. Secondo Dewey può auto-disciplinarsi solo se mosso da
un’esperienza con delle caratteristiche ben precise.
Spesso le cose apprese a scuola vengono dimenticate perché le studiamo spinti da una
MOTIVAZIONE ESTRINSECA, non intrinseca. Dipende anche dalle modalità con cui ci sono state
insegnate certe cose, forse se avessimo studiato la storia romana tramite una rappresentazione
teatrale ci saremmo ricordati più cose rispetto a quante ce ne ricordiamo studiandolo nel libro.
Questo perché, in questo, caso, IMPARIAMO FACENDO. Bisognerebbe anche imparare ad
insegnare USANDO IL CORPO, soprattutto con i bambini che non hanno ancora sviluppato il
pensiero logico-deduttivo, ma anche le SOLLECITAZIONI VOCALI.
Quello che si fa a scuola deve essere funzionale a quello che si farà in seguito. Quindi il
LABORATORIO-SCOLASTICO è un luogo di passaggio necessario per realizzare un salto
metamorfico (trasformazione dell’esperienza) dal LUDICO (giocosa) AL LUDIFORME (ha la forma
del gioco, si vive l’esperienza come se fosse un gioco). Bisognerebbe che il lavoro assumesse
delle connotazioni ludiformi, il sentimento che l’individuo mette in questa esperienza dovrebbe
essere lo stesso che metteva nel gioco. Quindi tramite il laboratorio bisognerebbe saper passare
gradualmente dalla dimensione ludica a quella ludiforme, perché questo è un modo per stimolare
l’INTERESSE E LA MOTIVAZIONE.
La scuola prospettata da Dewey (pag. 24) dovrebbe avere componenti ben precise:
- Al centro c’è la BIBLIOTECA
- Le aule periferiche, a contatto con l’ambiente esterno, sono le AULE DI
LABORATORIO. Metà dovrebbe convergere con la biblioteca, metà dovrebbe essere a
contatto con l’esterno (la metà dedicata al laboratorio).
In questo modo che ci sarà una FUSIONE TRA TEORICO (biblioteca) E PRATICO (laboratorio);
così come dovrebbe esserci una fusione tra ambiente scolastico e ambiente extra-scolastico
(motivo per cui le aule sono periferiche). Anche gli oggetti esterni possono essere portati dentro la
scuola e osservati dal bambino, così da essere RISTRUTTURATI attraverso il metodo
dell’INDAGINE. In questo modo si crea una SINTESI TRA ARTE-SCIENZA-INDUSTRIA: il
bambino può manipolare gli oggetti della natura facendoli oggetti tecnologici funzionali a se stesso.
Il bambino è invitato a manipolare, trasformare gli oggetti, attraverso l’uso di ATTREZZI
MATERIALI E COGNITIVI.
La scuola di Dewey è definita SCUOLA SPERIMENTALE, pur non attenendosi in senso stretto
all’idea di ricerca sperimentale. Secondo D. ci deve essere CONTINUITA’ TRA EMPIRICO E
SPERIMENTALE: “empirico” è l’esperienza sul campo non strutturata secondo una metodologia
rigida; quello che è empirico possiamo farlo tutti, quello che è sperimentale possono farlo solo gli
scienziati. La volontà di Dewey è di non utilizzare oltremodo il metodo quantitativo, di non usarlo in
modo rigido.
IL SENSO DELLA DISCIPLINA
Formazione di un naturale SENSO DELLE REGOLE e della MORALE. Va graduato in relazione
alle DIVERSE FASI EVOLUTIVE della mente infantile. Il senso comune vuole che la disciplina sia
iniettata dall’esterno, perché si pensa che il bambino piccolo sia per natura “indisciplinato”, un
“piccolo selvaggio”. Secondo orientamenti più recenti si è constatato, anche sul piano neuro-
scientifico, che esistono degli INTRINSECI SISTEMI AUTO-REGOLATIVI. Esisterebbero tutte le
caratteristiche biologiche e psicologiche innate per dire che esistono i semi per una potenziale
evoluzione del senso della disciplina.
PIAJET, nel suo “Giudizio morale del fanciullo”, constata tramite i suoi studi effettuati con
l’osservazione diretta del bambino, che esso tende progressivamente a evolvere sotto il piano
morale: man mano che cresce, a prescindere dal clima educativo, tende ad auto-educarsi.
Inizialmente il suo interesse primario è se stesso, poi gradualmente questo interesse cognitivo si
sposta da se stesso verso gli altri. A prescindere dal tempo storico e dal contesto culturale i
BAMBINI TENDONO A SVILUPPARE IL SENSO DELLA DISCIPLINA IN MODO AUTO-
REGOLATIVO, purché l’ambiente permetta la sviluppo fisiologico di questo processo. Il
bambino sviluppa naturalmente IL SENSO DELLA MORALE, ha un giudizio etico iscritto nel
proprio DNA, che può emanciparsi solo se l’ambiente educativo che contraddistingue le sue
relazioni ambientali è un ambiente che lo sollecita in queste direzioni.
Alice Miller ha ipotizzato che le personalità appartenenti al Terzo Reich sarebbero state il frutto di
una cattiva educazione, che lei chiama “pedagogia nera”: è una forma di educazione che
privilegia la formula AUTORITARIA, a dispetto della forma AUTOREVOLE.
Erik Fromm fa una distinzione tra autorità e autorevolezza: è autoritario chi esercita il potere in
modo disumano; è autorevole chi lo esercita in modo umano. Un’educazione autoritaria è di tipo
DIRETTIVO, con l’abuso di potere che non tiene conto delle necessità dell’essere, non c’è una
relazione paritaria, ma GERARCHICA. L’educazione autorevole cerca una circolarità
comunicativa tra le parti in gioco, c’è una condivisione. Quando un’educazione è autoritaria è
possibile che inibisca le reali capacità del bambino e che provochi una reazione VIOLENTA
dell’educando. Si viene a creare quella che Alice Miller chiama la CATENA GENERAZIONALE
DELLA SOFFERENZA: i modelli educativi sbagliati si ripetono da genitore a figlio, perché non
conosco altre possibilità educative. Se l’educazione è autoritaria è difficile che il naturale processo
auto-regolativo possa realizzarsi, perché subirà prima un’inibizione e poi una deviazione.
Quindi la soluzione pedagogica quale potrebbe essere se l’obiettivo che ci poniamo è che il
bambino si regoli da sé?
- Innanzitutto è importante dare un ESEMPIO POSITIVO DI SE STESSI.
- Bisogna ACCETTARE LA NATURALE CICLICITA’ dei processi di crescita del bambino,
accettare che ha i suoi momenti di crisi e i suoi momenti di stabilità, SENZA INIBIRLI.
- Bisogna utilizzare la “TECNICA DEL NON FARE”: meno si fa, meglio funziona il sistema.
Non significa non fare nulla, non significa credere nello “spontaneismo” che invece non è
affatto funzionale.
La norma si scontra con il gioco (“ludus”), il normativo è antitetico a quello che è ludico/ludiforme?
No! Perché anche il gioco è costituito da delle norme. Nei contesti scolastici tradizionali NON SI
TIENE CONTO DELL’INTELLIGENZA CORPOREO-CINESTETICA, mentre il bambino avrebbe
bisogno di fare esperienza diretta attraverso il proprio corpo. I bambini si sentono come incatenati
in questa situazione e spesso non vedono l’ora di uscire dalla classe per potersi sfogare. Quindi
come si può fare? Per esempio si potrebbe dare importanza alla SCUOLA LABORATORIALE.
LA PROBLEMATICA ANTROPOLOGICA