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Uno dei punti chiave che caratterizzano invece l’attività di Lóczy è il “non intervento” da parte
degli adulti nei momenti del gioco libero e delle attività autonome.
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Sorprende osservare il notevole investimento affettivo dei bambini nello svolgimento di queste
attività, per le quali provano un grande piacere e che consentono loro di sviluppare l’attenzione,
la concentrazione, la perseveranza e il gusto dello sforzo.
Di fatto, i continui interventi diretti dell’adulto privano il bambino della gioia di fare da solo, anche
se gli procurano anche un certo piacere di dipendenza di cui poi non saprà fare a meno.
Il bambino che cresce in comunità non potrà, per ragioni organizzative, godere delle attenzioni
dirette di cui avrebbe desiderio e ciò finisce per generare in lui frustrazione.
L’ideale sarebbe trovare un equilibrio tra intervento e non-intervento, cosa fattibile in famiglia,
ma certamente difficile in comunità.
Ecco perché la suddivisione chiara tra “attività senza intervento dell’adulto” e “attività con
l’intervento dell’adulto” tipica di Lóczy è una delle regole più interessanti.
Nei momenti di cura il bambino può contare sull’attenzione esclusiva di una delle tre educatrici.
Si tratta di un evento piacevole che avviene regolarmente al momento previsto e atteso.
E’ una certezza che sviluppa nei bambini la capacità di aspettare e all’educatrice consente di
dedicarsi esclusivamente al bambino senza sensi di colpa per trascurare nel frattempo gli altri.
E) Lotta all’alienazione dell’ambiente e alla povertà delle relazioni sociali
Altre due cause che frequentemente ostacolano lo sviluppo armonioso dei bambini che
crescono in comunità sono la scarsa apertura verso l’esterno e la mancanza di relazioni sociali
diversificate.
Capita in molti istituti che i bambini, durante la permanenza, non abbiano occasioni per scoprire
il mondo che sta al di fuori quello del consueto quadro istituzionale e che abbiano, all’interno
dell’istituto, una molteplicità di contatti superficiali e inconsistenti.
I bambini rischiano di sviluppare una socievolezza superficiale, di scarsa durata e ben presto
danno segnali di frustrazione nei rapporti con gli adulti. Spesso si mostrano aggressivi nei
confronti dei compagni, oppure tendono ad isolarsi.
A Lóczy queste difficoltà sono molto ridotte. Il bambino acquisisce sicurezza grazie alla
partecipazione allo stesso gruppo e alla relazione con le stesse educatrici.
Quando ne ha l’opportunità, è capace di relazionarsi attivamente con gli altri adulti, anche quelli
a lui sconosciuti.
Le persone con cui i bambini hanno occasione di entrare in relazione sono numerose (il medico,
la maestra d’asilo, il giardiniere, i visitatori, coloro che si occupano dei diversi lavori materiali),
ma tutte loro offrono al bambino l’occasione di entrare in un rapporto autentico, anche se di
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natura chiaramente diversa da quello che essi hanno con le educatrici. Questo per evitare
confusione e disorientamento nei bambini.
Naturalmente anche a Lóczy non si raggiungono la varietà e la ricchezza delle relazioni che la
vita in famiglia consente, ma si evitano la monotonia e l’angoscia di dover affrontare impreparati
un mondo sconosciuto.
Nelle relazioni tra pari, colpisce particolarmente la rarità dei conflitti. Durante i primi mesi di vita,
l’altro bambino diventa per ciascuno un giocattolo incantevole, da toccare, succhiare, guardare.
Verso gli 8 mesi capita che i bambini si intralcino tra loro, ma è evidente una certa tolleranza e
l’educatrice è raramente costretta ad intervenire.
I litigi che normalmente caratterizzano i rapporti tra i bambini fra l’uno e i due anni non sono
particolarmente frequenti, con la crescita scompaiono, per lasciare il posto a relazioni sempre
più volontarie e preferenziali.
Questa positiva situazione nei rapporti tra pari dipende sia dalla relazione rassicurante di ogni
bambino con la propria educatrice, sia dalla distribuzione attenta ed accurata dello spazio e dei
giocattoli.
3. Creazione di un maternage compatibile con la vita in istituto
A Lóczy il tipo di relazione offerto ai bambini è originale e profondamente diverso dalle abituali
cure materne.
Spesso col termine maternage si intende indicare quella parte delle cure materne
comprendente le coccole, le carezze e la tenerezza. Sicuramente si tratta di una parte
importante, ma che non esaurisce il maternage.
In psichiatria, col termine maternage si indicano le cure prestate al malato all’interno di un
stretto, che provoca l’instaurarsi di una relazione di dipendenza che può favorire
rapporto molto
nel malato una regressione usata a scopo terapeutico.
A Lóczy il maternage è qualcosa di molto particolare. Infatti le cure prestate ai bambini sono
limitazione (addirittura assenza) di manifestazioni d’affetto tra educatrice e
basate sulla evidente
bambino.
Sorge una domanda: questo tipo di cure rappresenta un sostituto del rapporto con la madre
oppure serve per stabilire una relazione efficace che, sebbene diversa dal rapporto madre/figlio,
è l’unica possibile all’interno di un istituto?
Le numerose osservazioni fatte portano ad affermare che è assolutamente sbagliato pensare
che una donna possa curare i bambini in istituto basandosi sulla propria sensibilità materna.
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Infatti se si instaurasse un simile rapporto, il bambino sarebbe portato a dare e chiedere sempre
di più. Si genererebbe in lui un livello di aspettativa che non può essere soddisfatta dall’adulto
che finirebbe per provare un senso di colpa. Il bambino, da parte sua, non ricevendo ciò che
chiede, vivrebbe una situazione di rifiuto.
Il personale che lavora coi bambini in comunità elabora normalmente delle difese per evitare un
simile rapporto affettivo, con la conseguente carenza patita dai bambini che si trovano in questa
situazione.
Come evidenziato fin dall’inizio, è fondamentale notare che a Lóczy tutto si fonda
sull’osservazione che le relazioni spontanee di tipo materno non sono corrette e non portano
alcun beneficio né al bambino né all’educatrice. Si è però consapevoli della possibilità di
stabilire una relazione diversa, per forma e natura, da quella madre/bambino, ma pur sempre
reale e benefica.
Analizziamo ora le principali caratteristiche dei modelli relazionali (pattern relazionali) tra
da un lato, ed educatrice/bambino dall’altro, per evidenziarne differenze e
madre/figlio,
analogie.
Il pattern relazionale madre/bambino:
● è diverso da una coppia all’altra;
● si esprime in modi diversi, lungo tutta l’esistenza dei soggetti e la sua costanza plasma
lo sviluppo del bambino;
● il pattern è indirizzato dalle motivazioni profonde della madre, dai suoi moti affettivi che
gli imprimono una direzione e una qualità difficilmente modificabili;
● il pattern relazionale è organizzato dai reciproci slanci affettivi.
Il pattern relazionale educatrice/bambino:
● si tratta, anche in questo caso, di un pattern che ha forza e consistenza, perché si
manifesta durante tutta la vita del bambino e diventa un elemento fondamentale per la
strutturazione della sua personalità;
● il pattern è essenzialmente lo stesso per ogni coppia educatrice/bambino. Questa
caratteristica è importante perché facilita il transfert affettivo nel caso di subentro di una
nuova educatrice;
● il pattern non è determinato dalle motivazioni personali delle educatrici, ma viene loro
imposto, limitandone e proteggendole dagli impulsi materni. In questo modo si cerca
anche di assicurare l’uniformità del pattern in modo che esso possa diventare un fattore
di organizzazione della personalità del bambino;
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● dettato dall’esterno e orientato in direzione opposta rispetto a quella che
poiché
seguirebbero i gesti spontanei delle educatrici, il modello ha una struttura fragile. Ne
consegue che la sua realizzazione richiede un’organizzazione complessa, sottoposta a
una costante vigilanza. Tale organizzazione testimonia la profonda tenerezza verso i
bambini e il desiderio che essi crescano sani, che abbiano davanti a loro tutte le
possibilità e possano al più presto fare a meno degli adulti, in particolare dei genitori che
non hanno avuto;
● la relazione educatrice/bambino si stabilisce e consolida lentamente. Essa mantiene un
carattere poco coinvolgente dal punto di vista emozionale. Non ha né la ricchezza né la
forza degli slanci affettivi della relazione madre/figlio, ma ha il merito di essere
compatibile con la vita in istituto;
● il pattern attraverso cui si sviluppa la relazione educatrice/bambino svolge la funzione di
holding (= sostegno) descritta da Winnicott.
Analisi dell’interazione educatrice/bambino
Il pattern relazionale è un insieme pluridimensionale, definito dalla quantità delle interazioni, la
loro scansione temporale, la loro forma, sfumature e punti di riferimento.
Questi elementi sono interdipendenti e legati da un filo conduttore.
A Lóczy il filo conduttore è rappresentato da:
● investimento nelle attività autonome;
● stretta regolamentazione di vicinanza/distanza;
● controllo della richiesta affettiva per evitare lo sviluppo di esigenze che potrebbero
diventare fonte di insoddisfazione.
A Lóczy viene regolata la quantità di interazione e la sua distribuzione temporale, in modo da
assicurare che durante le cure individuali il bambino possa beneficiare dell’attenzione esclusiva
dell’educatrice. Durante le cure, quindi, la quantità di interazione è continua.
momenti l’interazione si riduce per consentire al bambino di rivolgere la propria
Negli altri
attenzione al gioco e all’attività autonoma.
Rispetto alla forma, nei periodi tra una cura e l’altra si tratta di una relazione indiretta:
l’educatrice valuta da lontano la necessità di mettere a disposizione dei bambini nuovi giocattoli,
di intervenire verbalmente e brevemente a causa dei pianti o dei capricci di qualcuno.
Durante le cure, l’interazione diventa diretta.
Rispetto alle modalità di relazione, si privilegiano quelle che favoriscono lo sviluppo
dell’autonomia del bambino. I modi prevalenti sono lo sguardo e la parola che possono essere
utilizzati anche a distanza. 27
Si presta grande attenzione ai gesti dell’educatrice, al loro armonizzarsi con i movimenti
spontanei del bambino, mentre si limitano al massimo i vezzeggiamenti, le carezze, ecc. che
rischiano di