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Dal punto di vista pedagogico, i servizi educativi devono però prevedere, come afferma Massa, una

temporalità iniziatica, cioè una temporalità che porta i soggetti altrove per riconsegnarli al mondo

cambiati. Sono tempi che permettono di istituire percorsi che si differenzino da quelli abituali,

consentendo agli eventi educativi di accadere.

Il processo educativo è contemporaneamente caratterizzato da:

1) discontinuità, perchè istituisce separazioni che consentono ai soggetti di distanziarsi dal mondo della

vita;

2) continuità, perchè deve curare continuamente le connessioni e le mediazioni col mondo della vita,

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del quale i soggetti continuano a fare parte.

Nel senso comune è diffusa una visione negativa della discontiunità educativa, nella convinzione che la

continuità sia un obiettivo da perseguire ad ogni costo.

E’ una visione che dimentica che ciascuno di noi ha bisogno di vivere l’esperienza della differenza per

favorire l’emergere di una posizione personale e riflessiva rispetto a quanto vissuto nel mondo della vita.

C) La presenza e l’uso degli oggetti [integrare con osservazioni relative al tirocinio]

E’ importante riflettere su quali siano gli oggetti che animano i contesti in cui avviene la cura e i processi

educativi e i valori ad essi attribuiti, intenzionalmente o non.

La presenza di determinati oggetti nei contesti educativi permette di comprendere quale sia il modello a

cui si tenderà ad educare i soggetti.

L’esame degli oggetti ammessi e di quelli proibiti, informa sulla percezione che gli educatori hanno delle

capacità degli educandi di esprimere e gestire i desideri e del loro senso di responsabilità.

Gli oggetti rivelano anche come gli educatori concepiscono il proprio ruolo e la propria funzione.

D) Le regole di comunicazione e i linguaggi utilizzati

Riflettere sulle regole di comunicazione significa interrogarsi su come le persone, in un determinato

contesto, stiano insieme.

Esse indicano come viene riconosciuto l’interlocutore all’interno di una relazione educativa: come

soggetto attivo, capace di compiere scelte e assumere responsabilità, oppure come soggetto passivo,

incapace di iniziativa.

L’approccio nei confronti dell’altro tende ad essere prevalentemente verbale e, qualora il canale verbale

sia chiuso o faticoso, l’educatore è in difficoltà.

La parola è solo uno degli strumenti che si possono usare per “andare verso l’altro”, quello che

conosciamo meglio, perché è un medium immediato nella relazione con l’altro.

La parola viene articolata con la voce e quindi dietro la parola c’è il corpo.

Attraverso la voce, la parola diventa inscindibile dalla fisicità, dalle espressioni del viso, dalla postura e

dai movimenti di chi la pronuncia.

Attraverso la parola è possibile condividere storie, modi di interpretare la vita, di attribuirle un senso. Si

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attiva una comunicazione che apre a una novità, a qualcosa di diverso da ciò che già si conosce e a cui

si è abituati.

Nella relazione educativa diventa fondamentale porre al centro dell’attenzione il rapporto tra la parola e

l’esperienza. Non sempre è facile, perchè siamo abituati a credere che la parole abbiano una vita

propria e che i concetti che esse esprimono possano sussistere in sé, senza che necessariamente sia

evidenziato un legame con l’esperienza.

E’ il caso di numerosi concetti e rappresentazioni relativi, ad esempio, alla disabilità o alla devianza che

tendono a sovrapporsi alle persone fino a renderle invisibili.

Anche nella scuola si ha l’impressione che i contenuti di cui parlano le diverse discipline vadano per

conto loro, che non provengano e non riguardino alcuna esperienza vissuta. Da ciò deriva l’impressione

di separatezza della scuola e di ciò che in essa si fa rispetto al mondo fuori di essa.

Curare l’esperienza educativa significa sforzarsi di comprendere come, nella relazione, vengano scelte,

pronunciate, modificate le parole, affinchè esse possano fungere da mediatrici nella relazione ed essere

uno strumento utile sia nell’incontro con l’altro che nella costruzione di contesti in cui sia possibile

l’apprendimento dall’esperienza.

E) I riti

Nell’istituire dei contesti educativi occorre ricordare il ruolo fondamentale dei riti.

Il rito serve:

● per passare da uno status a un altro,

● per consolidare legami,

● per vivere in modo adeguato aggressività e gioia,

● per introdurre le persone in nuovi contesti sociali e familiari.

Il rito è una modalità di mediazione che serve ad affrontare esperienze complesse sia per il

significato che hanno nell’esistenza dei soggetti, sia per il livello di affettività implicata, sia per il loro

valore sociale.

Il rito è un dispositivo che ritaglia una cornice nella routine e nelle abitudini quotidiane e

permette ai soggetti di centrarsi sulle loro potenzialità, per imparare ad esprimerle in modo adeguato in

quell’ambiente esterno che momentaneamente è stato messo tra parentesi.

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(Ad esempio, il momento dei pasti per un bambino molto piccolo può funzionare come rito. Ciò

che accade durante il rito del pasto non è semplicemente l’operazione del nutrirsi, ma è

l’apprendere a nutrirsi in modo da trasformare questa esigenza in sperimentazione di sé, in

comunicazione sociale ed affettiva e in conoscenza di ciò che sta fuori da sé).

2) Le persone nella cura e nei processi educativi

La cura delle persone riguarda una pluralità di dimensioni tra loro intrecciate.

A. Lo sguardo

Lo sguardo:

● serve a ciascuno per osservare, conoscere, giudicare;

● attraverso il loro sguardo, gli altri ci osservano, ci conoscono e ci giudicano.

Il modo di guardare e di guardarsi influenza sensibilmente la situazione educativa e si riflette sul tipo di

cura che potrà essere realizzata.

Ci si rende conto dell’esistenza dell’altro nel momento che egli entra nel nostro campo visivo.

Lo sguardo permette di abitare lo spazio della relazione, con lo sguardo si può andare verso l’altro

anche senza muoversi, perché la vista è un “senso a distanza” che non richiede il contatto fisico.

Attraverso lo sguardo e nella relazione tra gli sguardi dei soggetti all’interno di una situazione educativa,

si esprime il loro modo, connotato emotivamente, di incontrare il mondo e gli altri.

Lo sguardo è un gesto ambiguo, perchè può esprimere contemporaneamente attrazione e timore,

curiosità e paura.

Come “senso a distanza”, lo sguardo che partecipa al processo di conoscenza dell’altro, corre il rischio

di decontestualizzare e categorizzare le situazioni e le azioni educative.Quindi esso, per poter essere un

mediatore nella relazione educativa, deve essere pensato e progettato.

B. Il corpo

La cura della persona è anche cura del corpo.

Il corpo è il “luogo” fondamentale di interazione, comunicazione e scambio con l’ambiente, luogo di

esperienza di sé e della relazione con gli altri e con il mondo.

Il corpo, nel momento in cui si mostra e si esprime, è già relazione, indipendentemente dalla volontà

delle persone coinvolte. 11

Se si vuole curare l’esperienza della relazione educativa, il corpo è il primo elemento da considerare in

quanto primo mediatore e campo originario di esperienza educativa nella quale è importante aver cura

dei corpi di tutti, di chi è educato e di chi educa.

Il corpo deve essere visto come luogo animato da un’intenzionalità e non come un oggetto su cui è

possibile intervenire attraverso un progetto preconfezionato.

Riflettendo sull’immagine di corpo veicolata dalle diverse culture, notiamo che la cultura orientale si

riferisce ad un’immagine di corpo vitale, irradiato di energia.

La cultura occidentale tende a rivolgere al corpo uno sguardo clinico, che lo considera come una

macchina.

La dimensione corporea rimanda immediatamente alla concretezza della pratica educativa.

Nel loro lavoro gli educatori incontrano corpi diversi, che si esprimono usando un particolare

repertorio di gesti, a volte difficili da comprendere.

Corpi altri che gli educatori percepiscono a volte come estranei, quasi appartenessero a mondi lontani.

A volte i corpi degli altri ci respingono, perchè non riconosciamo alcuna somiglianza con il nostro corpo.

Allora si corre il rischio di pensarli come corpi­oggetto, che è la strada più facile per vincere la

complessità dell’esperienza.

L’incontro con le persone, quindi col loro corpo, è inevitabilmente incontro con la dimensione

della differenza.

Se consideriamo la differenza come qualcosa che ci rende incompatibili con l’altro, essa diventa

diversità.

La diversità porta alla costruzione di muri che ci costringono a osservare l’altro da strette fessure,

distorcendone l’immagine.

Per poter tollerare la differenza con l’altro occorre muoversi, compiendo il percorso dal proprio al

corpo dell’altro, per avvicinarsi il più possibile alla condizione dell’altro, mantenendo la propria e

tornando sempre al proprio posto.

La diversità non permette il movimento descritto.

Per vivere produttivamente la differenza, occorre riflettere sull’empatia che implica un contatto

corporeo, necessita di mediazioni, richiede esercizio, comporta la creazione delle condizioni

materiali che consentono di avvicinarsi all’altro. L’empatia è una competenza che si può imparare.

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3) Il sé nella cura e nei processi educativi

Gli educatori, nel contesto in cui operano, ricoprono un ruolo e occupano una posizione che

costantemente risentono dal rapporto che essi hanno con i propri limiti, le proprie potenzialità, i propri

modelli di educazione, di educatore e di educando.

La cura di sé riguarda l’insieme delle pratiche relative al rapporto che un soggetto ha con sé

stesso all’interno dell’ambiente di riferimento.

Occorre valutare come e con quali strumenti sia possibile per gli educatori giungere alla consapevolezza

del proprio stile educativo, soprattutto quando essi devono affrontare situazioni critiche confrontandosi

con la paura, l’aggressività e la sofferenza.

Attraverso la cura di sé, l’educatore deve arrivare a conoscere meglio qualcosa di sé, affinché il proprio

agire diventi sempre più coerente con le proprie finalità educative.

4) Le relazioni nella cura e nei processi educativi

La relazione è uno degli oggetti pedagogici per eccellenza, perchè l’edu

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Publisher
A.A. 2012-2013
35 pagine
28 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PED/03 Didattica e pedagogia speciale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher assuntarappi di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Didattica e pedagogia dell'inclusione e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano - Bicocca o del prof Palmieri Cristina.