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Berkeley.
La filosofia prima è l’ontologia, poi emerge la gnoseologia.
La filosofia del 1900 riscopre la centralità del linguaggio e/o il rapporto tra mente e linguaggio. Fino
a che punto il linguaggio è necessario alla strutturazione dei pensieri? Il linguaggio si
riappropria della sua funzione primaria (Michael Dammit, “Origini della filosofia analitica”). Il
linguaggio è sinonimo di comunicazione o no? Si parte dal dialogo che l’anima fa con se
stessa o con quello che fa con altri?
Nel titolo, “la rappresentazione di sé”, a fare il problema è il sé (la soggettività). In cosa consiste il
sé? È un flusso di rappresentazioni o le condizioni che rendono possibili le rappresentazioni?
È chiaro che gli individui sviluppano, nel corso della loro vita, rappresentazioni di sé, ma fino a che
punto la realtà coincide con esse? Secondo Nietzsche il linguaggio è anzitutto metafora, ogni
segno rinvia a diversi significati e quindi non si può parlare di assolutezza del significato. Di
conseguenza anche l’Io non è assoluto. Attraverso le definizioni si può creare una corrispondenza
biunivoca tra segno e significato. L’idea qui è che le cose ci sono e che bisogna trovare il modo
migliore per conoscerle. Ad esempio, che cosa è la volontà? La cognizione? Per rispondere si
utilizza un elemento di cautela e si considerano come formule di autodescrizione. “la volontà vuole
volere” dice Agostino; nel “De anima” si spiega che il desiderio muove il corpo e non il pensiero.
La volontà è un motore mosso, ha bisogno che qualcosa la muova e trascende se stessa perché si
autodetermina.
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L’anima , ponderando le alternative del problema, giunge, se le cose vanno bene, ad una
soluzione e allora il dilemma viene sciolto. In questo modo l’anima inizia ad opinare tale
risoluzione, nella misura che essa le pare convincente. L’anima diviene, dunque, dell’avviso che
rispetto a qualcosa. Attraverso questo dialogo che l’anima fa con se stessa, i due interlocutori
interni giungono ad una posizione comune e così facendo si unificano. Il linguaggio è, quindi, il
medium con il quale l’anima opera un processo di riunificazione. È chiaro che nella visione
platonica, questa riunificazione avviene tra sé e sé, ovvero non ha bisogno di passare attraverso
l’altro ed è per questo che si tratta di un dialogo silenzioso che l’anima fa con se stessa; al
contrario, Socrate credeva che fosse imprescindibile la comunicazione con terzi individui, al fine di
giungere ad una conclusione (arte della maieutica).
Seguendo il ragionamento di Platone, viene da chiedersi: cosa resta della comunicazione? Che
rapporto c’è tra filosofia e comunicazione?
Sembra l’inizio della storia della subordinazione della dimensione comunicativa rispetto allo
strutturarsi progressivo della filosofia ed è l’inizio dell’idea di autarchia (non avere bisogno di altri;
ciò può essere messo in discussione con il concetto di maestro/allievo).
Ciò subirà delle modifiche nel corso del tempo. Possiamo operare la distinzione di 3 grandi
stagioni, relativamente alla questione gnoseologica ed ontologica.
Periodo antico medioevale:
Durante questa prima fase, si vede il dominio del problema ontologico. La domanda principale è
quali sono le strutture dell’essere? E di che cose è fatto esso in ultima analisi? Vi è quindi un
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interesse verso la filosofia prima, ovvero si parla dell’essere in quanto essere.
1 Si era già accennato alla grande elaborazione semantica della parola anima, che può essere intesa come
coscienza o mente.
Periodo moderno:
La svolta si trova in Cartesio, anche se si può affermare che era già nell’aria (gli autori vengono qui
visti come punti di condensazioni di idee). La questione ontologica cede il primato a quella
gnoseologica, poiché, prima di pronunciarmi sulla natura delle cose, devo essermi accertato della
mia capacità di conoscerle e dunque, bisogna capire come funziona l’anima. La conoscenza deve
quindi ripartire dall’Io. La domanda chiave è: si può avere accesso all’essere? Sorge la
questione che non si può dare per scontato che ciò che appare è ciò che realmente è; o meglio, il
pensiero produce certamente pensieri, ma non possiamo essere certi che si pensi ciò che è.
Cartesio inizia dunque la sua ricerca nelle “meditazioni” (=pensiero) con l’approccio scettico,
ovvero dubitando di qualsiasi cosa. Lo scetticismo viene sconfitto, poiché esiste almeno una verità
sulla quale non si può dubitare, ovvero il fatto che sto dubitando (cogitatio est!). Per capire questo
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concetto è utile l’esempio della gomma che cerca di cancellare se stessa.
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La filosofia di Cartesio parte dall’Io e non dall’essere; l’Io diventa il punto di Archimede della
conoscenza, grazie al quale il filosofo riuscirà a produrre altre verità certe (pars costruens). L’Io è
il pensiero, al di fuori dal mondo, che diventa l’oggetto (il mondo) per un Io che si pensa
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come soggetto . Cartesio, partendo dall’Io arriverà a costruire le verità di altri e Dio.
Periodo novecentesco:
Nel Novecento cresce l’importanza che il linguaggio ha nella conoscenza, poiché il pensiero si
sviluppa attraverso il linguaggio; il linguaggio è la condizione strutturale fondamentale del pensiero.
Si pensi alle teorie scientifiche, che per prendere corpo necessitano del linguaggio. La scienza
viene vista non come sapere depositato, immutabile, ma come pratica sociale del ricercare, cosa
che rende evidente la centralità del linguaggio e della comunicazione. Galilei sosteneva che un
contenuto è scientifico se e solo se viene sottoposto alla critica della comunità; i risultati vanno
pubblicati. È chiaro che per poter essere criticate e giudicate, devono essere in primo luogo
divulgate. Si ritorna quindi alla questione sapere-linguaggio-comunicazione.
Nel Novecento vengono tradotte questioni ontologiche e gnoseologiche, anche perché esse sono,
in primo luogo, logos e dunque appare naturale concentrarsi sul linguaggio.
Una domanda molto importante è: perché dovremmo dedicarci all’episteme? Perché è il tipo di
vita che assicura la massima felicità all’uomo. Ecco che così il fine ultimo di tutta questa ricerca è
la felicità.
Si può notare che non compare, fino a questo punto, un riferimento all’etica. Per non trascurare
questo aspetto, un piccolo accenno è doveroso. Ledinas, che si è formato sulle pagine di Husserl
(che studieremo), parla di etica come filosofia prima. Se le cose fossero così, allora l’etica avrebbe
2 Delle cose si può parlare in diversi modi (es: il botanico considera solo le piante e non tutti gli enti). La
filosofia parla dell’ente in maniera non selettiva, poiché vuole fare emergere tutto dell’ente (trapassa anche la
teologia). Aristotele sosteneva che deve esistere un sapere in grado di interrogarsi sulle strutture dell’essere
in quanto essere ed è proprio questo sapere ad essere chiamato ad interrogarsi sui principi primi. La
filosofia, per poter essere una scienza, deve oltrepassare l’esperienza (l’emperia) ed approdare all’episteme.
L’emperia fornisce il “che” delle cose, mentre l’episteme si occupa del “perché”. Si può affermare di
conoscere una cosa, solo quando ne so indicare le cause (concetto di archè).
3 Anche il criticismo kantiano può essere visto come filosofia della conoscenza. Infatti, vi è una riflessione
della ragione su se stessa, per cercare di portare alla luce le sue possibilità e i suoi limiti. Esistono due tipi di
limiti: quelli superabili con le conoscenze e quelli insuperabili per natura.
4 Da Cartesio si svilupperanno poi due filoni: quello spiritualista (irriducibilità della mente al corpo) e quello
materialista (con eccezione della mente si può costruire una scienza con idee chiare e distinte).
5 Il soggetto è ciò che si auto fonda e fonda altri oggetti
il primato sia sulla gnoseologia, sia sull’ontologia e alla domanda “perché essere etici?” si
risponderebbe: perché si vive meglio.
Ci resta ora da analizzare l’ultima parte del titolo, ovvero “nella rappresentazione di sé”. Questa
locuzione è di un’importanza strategica notevole, poiché ne designa la prospettiva. Si parte
dall’assunto che noi siamo nel mondo e siamo in grado di percepirlo. La domanda, posta prima di
tutti da Platone, è: ti ès ti? (che cosa è?). Il filosofo si chiede cosa è a determinare il profilo della
cosa. La risposta a questa questione prende il nome di usia, termine che viene tradotto con
essenza, ciò che fa sì che una cosa sia quella che è, ciò cogliendo il quale la cosa si manifesta in
ciò che propriamente è (es: la circonferenza può venire confusa con il cerchio, ma il cerchio non è
davvero una circonferenza e quindi, con questa idea, la circonferenza non ci appare per ciò che
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realmente è). “Per ciò che essa è” riprende il concetto greco di ciò che si impone alla vista, nella
sua evidenza, cioè a partire dalla sua forma manifestativa.
Possiamo dire di cogliere le cose, solo quando ne cogliamo l’essenza. Ciò significa che l’essenza
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stessa si impone a noi nella sua apparenza (in altri dialoghi, dice Platone, ne cogliamo l’idea ).
Parlando di linguaggio esiste una struttura discorsiva adatta all’espressione dell’ Eidos (dell’idea) e
cioè la definizione (horismos). Bisogna prestare attenzione al fatto che non tutte le proposizioni
enunciative sono definizioni. La domanda che sorge è dunque: come deve essere strutturata
una definizione? Per rispondere partiamo da un esempio. La circonferenza è il luogo geometrico
di tutti i punti equidistanti dal centro. Si può notare, che in questo esempio, compaiono due
elementi fondamentali di tutte le definizioni: il genere prossimo e la differenza specifica. “Luogo
geometrico di tutti i punti del piano” è il genere prossimo; “equidistanti dal centro” è la differenza
specifica. Questo modo di definire ci arriva da Platone, il quale, a proposito del definire, sosteneva
appunto che “si fa indicando il genere prossimo e indicando dentro quel genere ciò che lo
distingue”.
L’importanza delle definizioni è