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Estratto del documento

Nel ragionare sulla conoscenza, non si parte da “cosa è?”, ma dal come (modalità di

rappresentazione). Ti ès ti? Può anche essere inteso come che cosa è ciò che osservo? Fino a

Descartes vi è un continuum di razionalità e pensiero su base ontologica; la natura si credeva

fosse fatta per essere conosciuta (vi erano comunque venature scettiche già molto prima di

Descartes). Descartes pone in dubbio questa idea, attraverso il suo metodo e arriva a dubitare di

qualsiasi cosa, fino a quando giunge ad un punto dove ens et verum convertuntur (il cogito),

ovvero ciò che è e ciò che è vero coincidono. In questo caso si dice che l’ente è aperto alla

conoscibilità.

Domanda gnoseologica: come osservo ciò che osservo? La domanda verte non sul contenuto,

ma sul modo di osservare. In forza di cosa io osservo? Bisogna notare che in questo caso non si

esclude la possibilità di conoscere le cose, ma pone il come su un piano più alto. Vi è dunque

un’osservazione dell’osservazione e dell’osservatore. Il discorso può essere poi approfondito con

un’ulteriore questione: perché devo osservare così e non altrimenti? Cosa vedrei se

osservassi diversamente? Si parla di contingenza degli schemi osservabili, ovvero della

possibilità di generare schemi conoscitivi differenti e quindi le idee seguenti sono prese come

decisioni teoriche (Leibniz). Tutto è esposto alla pluralità dei modi possibili e l’accento cade

sulle forme della rappresentazione; rispetto al sé, la domanda è sugli schemi rappresentativi e sul

loro modo di funzionare. La conseguenza è che il rapporto con la cosa diventa più indiretto, poiché

è sempre moderato, veicolato da qualcosa (gli schemi conoscitivi appunto). Esiste un livello in cui

esaminiamo e usiamo questi schemi per vedere ciò che ci consentono di vedere. Apparentemente

ciò non sarebbe possibile, in quanto sarebbe come smontare un martello mentre lo si usa, però, in

realtà, noi possiamo distinguere le distinzioni, possiamo osservare il modo in cui osserviamo.

Esistono due tipi di osservatore o osservazione.

Che cosa osservo? È la domanda dell’osservatore di primo ordine, che pensa di avere in mano la

realtà.

Come osservo? È la domanda dell’osservatore di secondo ordine, che osserva i modi

dell’osservazione. Egli non perde di vista le cose, ma tiene d’occhio il modo in cui osserva le cose

9

che osserva.

8 Lezione 4.

L’antropologia si pone il problema di definire l’uomo. Tra i vari modi di dire “uomo” quale usare? I

Greci lo definivano “il mortale”, per distinguerlo dagli dei. Questa distinzione imponeva ai mortali di

non sfidare gli immortali (come fece Prometeo), perché essi puniscono, ma non perché sono

cattivi, bensì per la natura che regge il cosmo e non lascia spazio al caos. Successivamente,

l’uomo divenne “animal rationalis” e poi “colui che ha il logos, il linguaggio” (Aristotele). Questa è

un’altra antropologia, un altro modo di auto rappresentarsi rispetto a quello che faceva appello alla

razionalità. Nel corso del tempo, gli uomini si sono identificati come “i parlanti”. La parola è

linguaggio, comunicazione, riflessione, è un dire le cose e parlare con altri. Si può, inoltre,

parlare “con” e parlare “di”. “Di” e “con” sono legati, in caso contrario si ha la chiacchera (si pensi al

gossip, dove si parla con qualcuno di qualcun altro). Tra le forme del parlare spicca quella in cui

l’anima parla con se stessa (“intrattenermi con i miei pensieri” – Descartes). Leibniz afferma che ci

vuole molto esercizio per coltivare questa abilità e un buon metodo è quello di praticarla in luoghi

affollati, dove si tende a venire distratti in continuazione. 23.09.2015

Lezione 4

L’uomo è nel mondo e si muove in esso, trattenendo delle relazioni. A volte queste relazioni

mostrano delle problematiche e, quindi, sorge la domanda sul “che cosa?” (osservazione del

primo ordine). L’osservatore del secondo ordine, ovvero colui che osserva il come si osserva,

nasce da Kant e con esso prende anche vita la filosofia sulle condizioni che rendono possibile il

conoscere (apriori).

La chiave di comprensione del mondo diventano quindi le condizioni di possibilità, ovvero la

ricerca delle condizioni che rendono possibile le cose e la loro conoscenza. Ciò che emerge è che

esistono delle possibilità di rapporto con il mondo, ma sottostanno a delle condizioni. Cosa

succede se vario le condizioni? Il reali inizia ad essere pensato e sperimentato attraverso le

possibilità.

“Condizioni di possibilità” ha in sé due sensi complementari:

1) La possibilità di conoscere le cose è limitata da delle condizioni, dei presupposti; a l’uomo

non è data una conoscenza assoluta (sciolta dagli apriori) delle cose ed abbiamo

solamente un margine di manovra rispetto alle conoscenze. Le cose ci appaiono perché il

10

soggetto fissa le condizioni. Il soggetto diventa quindi trascendentale (diverso dal

soggetto empirico, in cui l’individuo è differenziato dalle esperienze che fa). Ciò che non si

insinua nelle forme di spazio e tempo non è conoscibile, quindi Dio, non apparendo, non è

fenomeno e la teologia non è dunque una scienza.

2) Le condizioni, che per un verso ci limitano, sono anche condizioni di possibilità, che

aprono, che schiudono. Per capire il concetto è utile l’immagine kantiana della colomba

che, volando, si affatica per l’aria e desidera che non ci sia, ma è proprio quest’ultima che

la sostiene.

9 È pensabile un osservatore ultimo (terzo ordine), che osserva le cose e come esse vengono osservate? La

risposta potrebbe trovarsi nel Dio monade di Leibniz.

10 I filosofi antichi chiamavano trascendentali quei termini applicabili a qualsiasi oggetto. Ad esempio, verde

non è applicabile a tutti gli oggetti, mentre il termine ente lo è. Altri termini trascendentali sono unum, verum.

L’attributo dell’essere è trascendentale. Aristotele direbbe “è una sostanza nella sostanza”, ha forma e

materia. La sostanza diventa il cardine della metafisica. Tornando a Kant, il perimetro delle condizioni del

conoscibile è incluso nel soggetto, che quindi diventa trascendentale.

Depurando il soggetto empirico si arriva alle conoscenze universali per l’uomo, grazie agli apriori.

Se ciò non fosse possibile, non si potrebbe avere una conoscenza oggettiva (che avanza pretese

di oggettività) del mondo. Queste condizioni pure, sono le condizioni di possibilità.

Che rapporto esiste tra conoscenza e realtà? Kant giustifica le pretese di oggettività dello

scienziato nello descrivere i fenomeni legati dalla causalità (categoria kantiana). Si deve

dimostrare che chiunque voglia descrivere la natura deve usare il principio di causalità. L’errore di

Hume, secondo Kant, è quello di vedere la causalità come affezione delle cose (punto di vista

ontologico), mentre essa è da collocarsi nei modi della conoscenza. L’apriori, il modo di conoscere,

rende possibile una conoscenza universale, ma non ne assicura la verità; è necessaria la

conferma empirica.

Il trascendentale, cioè l’insieme degli apriori, non ha nulla da temere dall’esperienza, perché è ciò

che rende possibile l’esperienza entro la quale noi incontriamo i possibili oggetti dell’esperienza.

Le immagini di sé sono descrizioni o ricostruzioni di sensi, alla luce dei quali il sé si auto

interpreta? Nel primo caso esiste già una struttura del sé, ne secondo esso è frutto delle

esperienze sensibili. Che bisogno c’è di elaborare rappresentazioni di sé? Una possibile

risposta potrebbe essere: perché si ragiona in termini di riduzione di complessità. Che cosa è la

complessità? Un sistema sperimenta complessità tutte le volte che non stabilisce corrispondenza

punto a punto (biunivoca) tra gli elementi che lo costituiscono e gli elementi fuori di sé, o gli altri del

sistema. In che modo un sistema può tenere test alla complessità naturale? Selezionando o

rispondendo in sequenza (esempio del panettiere e della clientela). Ci si trova costretti ad avere un

rapporto selettivo, ma dove c’è selezione c’è contingenze, ovvero ci sono diverse maniere di

selezionare. Talvolta si possono creare situazioni dilemmatiche (es: prima gli anziani o chi era in

fila?) e si rischia la paralisi. Nel rapporto che ogni individuo ha con il mondo e con sé, si trova nella

stessa situazione e quindi deve applicare criteri di differenziazione per andare avanti, senza far sì

che la vita sia un evento casuale, random. Le rappresentazioni sono modelli che si usano come

fattori di orientamento in vista delle percezioni che ci attendono. Ma come ci si raffigura la

complessità? Si può parlare di complessità esistenziale, sociale e temporale.

Complessità esistenziale:

Heidegger sosteneva che la questione dell’essere emerge dall’uomo, ma dato che questo termine

è troppo connotato metafisicamente, cambia la sua accezione e definisce la sua condizione

fondamentale come l’essere che è nel mondo (concetto di dasein, che significa esserci nel

mondo). Cosa vuol dire mondo? E esserci? L’uomo è presso il mondo, l’uomo è perennemente

trascendente perché è presso le cose; è, prima di tutto, estroverso. Non c’è bisogno di isolare la

res cogitans, perché l’uomo è mondano. Il mondo non è il cosmo o la sommatoria di cose, ma si

configura come un orizzonte di possibilità. Heidegger parla del mondo come totalità dei rimandi

(es: andare in aula rimanda a scuola, lavoro, futuro). Tuttavia, non si tiene conto di tutti i rimandi,

poiché si vuole ridurre la complessità. Essere nel mondo significa selezionare le possibilità

rilevanti; esistere significa avere da scegliere; non si può mantenere la possibilità nell’equi

possibilità, perché anche se lo si potesse fare, il farlo sarebbe una possibilità.

Complessità sociale:

Noi abitiamo con altri e dunque le possibilità che ognuno si manifesti come mondo nel mondo si

moltiplicano, perché ci sono miliardi di mondi nel mondo. Esistere è coesistere. Il tentativo di

isolarsi, come fa l’eremita, è vano, perché è in funzione degli altri ch

Dettagli
A.A. 2015-2016
18 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/01 Filosofia teoretica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Daniel Zanatta di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Gnoseologia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Scuola Normale Superiore di Pisa o del prof Nobile Mauro.