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P.robustus ha una distribuzione esclusivamente sudafricana e una cronologia circoscritta all'intervallo 1,9-1,6 Ma. Tutte
le specie mostrano una stessa morfologia di base, che conferisce al gruppo l'appellativo di “australopitecine robuste”.
Il termine robuste si riferisce alle dimensioni e alla potenza dell'apparato di masticazione denti ma anche mascelle,
muscoli e sovrastrutture ossee per l'inserzione di questi. Per quanto riguarda la dentatura, si assiste a una variazione del
modello “molarizzato”, denti anteriori assai ridotti e denti posteriori molto grandi, unitamente a un elevato spessore
dello smalto dentario. Le ossa mascellari sono altrettanto sviluppate e la mandibola viene messa in azione da muscoli
masticatori. Le dimensioni e la potenza di questi muscoli condizionano la morfologia cranio-facciale in Paranthropus,
in primo luogo, osserviamo una caratteristica cresta saggitale sulla sommità del cranio, che da inserzione a muscoli
temporali che avvolgono la scatola cranica. Le fosse temporali ( lo spazio che si crea dietro le orbite, fra arcata
zigomatica e parete laterale del cranio) sono molto ampie e danno alloggiamento alle stesse masse muscolari prima che
esse trovino inserzione sul ramo (apofisi coronoidea) della mandibola. Di conseguenza, le arcate zigomatiche sono
vistose perché devono fornire adeguate aree di inserzione ai potenti muscoli masseteri che vanno a inserirsi sull'angolo
mandibolare. Lo scheletro facciale tende ad accorciarsi e a farsi quasi concavo, assicurando una maggiore efficienza al
sistema di leve mosso dai muscoli e agito da mascelle e denti. Nel P.aethiopicus abbiamo la conservazione di caratteri
ancestrali che agganciano l'intero genere Paranthropus ad Australopitechus;proprio in questa specie notiamo un muso
molto sviluppato e proteso in avanti. Nelle due forme successive constatiamo quella riduzione e quell'appiattimento
della faccia che sono tipiche del gruppo e che costituiscono l'efficienza del sistema masticatorio. Probabilmente, le
particolari risorse alimentari disponibili in savana guidarono la tendenza a dover fare a meno di foglie e frutta e a
incrementare la componente più coriacea della loro dieta, composta da alimenti difficili da masticare, come semi e
radici, una sorta di dieta “granivora”.
In questo stesso contesto, c'era un'altra componente della dieta dei primi ominidi, cioè la componente “carnivora”, è
probabile infatti che, come fanno gli scimpanzé, anche gli ominidi potessero cibarsi occasionalmente di carne. Fu una
vera rivoluzione biologica: metabolica e comportamentale; fu una rivoluzione nelle strategie adattative quando, intorno
a 3 o 2,5 Ma, fummo praticamente costretti ad avventurarci nelle savane dell'Africa Orientale. Il passaggio, non fu
brusco: non avvenne cioè sotto forma di rapida trasformazione da primate frugivoro, o da ominide granivoro, a
predatore. Piuttosto, si può ritenere che il cambiamento comportamentale e biologico avvenne in modo graduale e si
basò sullo sfruttamento secondario di risorse alimentari rese disponibili dall'attività di caccia dei grandi predatori della
savana. Il nostro adattamento carnivoro originario fu dunque da “saprofaghi”, cioè da organismi che si nutrono di
sostanze contenute nella materia organica.
Conosciamo i primi rappresentanti del genere Homo dal 1964, quando Louis Leakey, Phillip Tobias e John Napier
definirono la specie H.habilis sulla base di un limitato numero di resti rinvenuti nella gola di Olduvai, in Tanzania,
riferiti a meno di 2 Ma. La diagnosi venne basata su alcuni caratteri morfologici; inizio di encefalizzazione, con volumi
endocranici intorno ai 650 ml, sia una riduzione delle dimensioni dei denti posteriori. Inoltre, un aspetto si aggiunse agli
altri e contribuì a conferire alla più antica specie del genere Homo l'appellativo habilis: l'associazione stratigrafica di
questi resti fossili con l'evidenza dei più antichi manufatti in pietra. SI entra qui nel Paleolitico, precisamente Modo 1
del Paleolitico inferiore (Olduviano). Le prime evidenze di manufatti di Modo 1 si hanno comunque in Africa orientale
a partire da almeno 2,5 Ma e poi sempre più abbondanti, all'incirca a partire da 2 Ma. Dopo il 1964, i resti fossili e i
manufatti riferibili a H.habilis sono aumentati di numero e qualità. Una tappa chiave cade all'inizio degli anni 90 del
secolo scorso, quando il ricercatore inglese Bernard Wood propose di suddividere in due la documentazione fossile di
H.habilis. Allora, in base a una serie di criteri riguardanti alla morfologia dello scheletro e dei denti propose di
frazionare l'eccessiva variabilità mostrata dai fossili, ipotizzando l'esistenza di due specie distinte. A questo scopo,
reintrodusse la denominazione H.rudolfensis per parte dei fossili riferiti al caro vecchio H.habilis. Sia H.habilis che
H.rudolfensis hanno avuto una distribuzione in Africa orientale, fra l'Etiopia meridionale, il Kenya e la Tanzania. Le
datazioni dei reperti finora rinvenuti sono comprese nell'intervallo 2,4-1,6 Ma, con la specie H.rudolfensis documentata
nella fascia cronologica e H.habilis in quella più recente. H.habilis si caratterizzerebbe per una capacità cranica modesta
e dentatura ridotta ma proporzioni corporee che si mantengono legate a un modello locomotorio in parte arboricolo, con
bipedismo facoltativo. Al contrario, H.rudolfensis avrebbe avuto dentatura da Australopitechus, con caratteristiche
affini a quelle di Paranthropus, ma capacità cranica maggiore (750 ml) ed elementi a proporzioni post cranio più simili
alle successive forme del genere Homo, indizi di un bipedismo ormai “obbligato”.
Gli ominidi sono dunque comparsi in Africa intorno a 6 Ma, quando un'impennata del inaridimento delle regioni ha
prodotto una diffusa frammentazione dell'ambiente forestale. Mentre in foresta hanno continuato a prosperare gli