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Sanzio è un elogio alla ripetizione teatrale; sia perché il testo di partenza è
Giulio Cesare Vita di Cesare
il di Shakespeare – a sua volta ispirato a di Plutarco –
il Giulio Cesare
sia perché c’è una stretta connessione tra messo in scena nel 1997
e questa nuova versione.
Giulio Cesare. Pezzi staccati
Il ci trasporta alle origini della Storia e del Teatro (la
Roma antica e Shakespeare), mettendo in scena l’essenza primaria della logica
rappresentativa: la voce. La voce è lo strumento attraverso cui ognuno di noi è
portatore, più o meno consapevole, del linguaggio verbale. Non a caso lo
spettacolo si dibatte tra un linguaggio fisico e visivo e l’uso della parola, al fine di
Giulio Cesare
svuotarne il suo valore comunicativo. Nel del regista Romeo
Castellucci la parola si pone sul palcoscenico come segno semantico primario e
attraverso l’oggetto voce si innesca un’indagine dai continui rimandi sensoriali,
supportati da plurime citazioni. La citazione, parola che deriva dal verbo citare,
gioca un ruolo fondamentale sia nello spettacolo in questione, sia nella dimensione
teatrale in generale, in cui un testo viene declamato da attori e presentato (di
nuovo) al pubblico.
Nell’opera di Castellucci, la citazione non è solamente testuale/verbale, ma la
ritroviamo anche nei movimenti dei corpi in scena, che sembrano provenire
dall’iconografia pittorica e scultorea che per secoli ha narrato le famose gesta di
Giulio Cesare. Pezzi staccati
Giulio Cesare. è un viaggio verso le origini della parola
nel Teatro. Da qui si innesca una ricerca che oscilla nel tempo (andando avanti e
indietro), in direzione degli archetipi insiti nel Teatro, come forme primitive e
originarie di pensiero. L’opera di Castellucci è un lavoro che vive costantemente la
ricerca di una forma di pensiero primaria, irraggiungibile perché verbalizzata.
La parola, e di conseguenza la retorica, appaiono direttamente sulla scena
diventando l’attore principale; l’ordine o il disordine del linguaggio regna sovrano
tra spettatori e interpreti. La struttura drammaturgica dell’opera si divide in tre
parti, marcate da una precisione formale in cui la parola emerge come suono,
come visione e come scrittura.
Nella prima parte un attore si avvicina al limite della scena lasciando un gruppo di
attori alle sue spalle. Con un endoscopio ‘introduce’ il suo corpo e il suo nome “…
vskij” scritto su una spilla. Si infila la microcamera nella narice e declama il
discorso del ciabattino che descrive ciò che avverrà nel Senato Romano, ovvero
l’uccisione di Cesare. Sul fondo vengono proiettati i movimenti della sue corde
vocali ripresi dall’endoscopio e le parole perdono sempre più di significato davanti
alla visceralità dell’immagine. Nel secondo momento, Giulio Cesare vestito con una
tunica rossa, si rivolge alla folla, non con le parole, ma è muto ed enfatizza i gesti
della declamazione. Un microfono amplifica il suono dei movimenti del corpo e del
tessuto da lui indossato. Sul fondo della scena un attore scrive su un cavallo ‘Mene
Teke Peres’. Scopro successivamente tramite una ricerca su internet che le tre
parole scritte provengono dall’enigma profetico che Daniele svela al re Baldassar,
come narrato nell’Antico Testamento. La scrittura si ripropone, come per “…vskij”
(che forse sta per Stanislavskij), in quanto elemento indiziario che deve essere
interpretato da colui che legge. Nel terzo momento, Marco Antonio declama
l’orazione funebre. Il personaggio è interpretato da Dalmazio Masini, attore
laringectomizzato. Il suono della sua voce si traduce nel soffio che fuoriesce della
sua ferita. La fisicità sovverte le parole e ancora una volta ritorna la scrittura: tre
lettere ARS (ars retorica) sono incise sul piedistallo da cui l’attore pronuncerà il suo
inudibile monologo.
Una fila di lampadine vengono spente come fiamme di candele da un meccanismo
di compressione ad elica, e quello che rimane sono le visioni di un linguaggio che
non c’è più.
Genesi (1999)
Nella stessa linea espressiva dei corpi alterati (l’Agamennone-down, il Cicerone obeso,
l’Antonio laringectomizzato e i Bruto e Cassio interpretati da due ragazze anoressiche
nel Giulio Cesare) o del frequente uso dei bambini, l’animale sembra rinviare ad una
peculiare concezione del male, così come ad una predilezione per la messa in
evidenza del mostruoso, dell’imperfetto e di una creazione divina (pensiamo a Genesi)
che sembra produrre unicamente corpi sfregiati ed oltraggiati che condividono con il
ferino il caos e la mostruosità. Quando il tentativo di creazione si fa umano, il risultato
sembra non essere migliore, come testimonierebbe l’Atto primo di Genesi dove, nel
laboratorio scientifico di Marie Curie, vengono portati a termine degli esperimenti
orribili per eguagliare le creazioni tanto del divino come del diabolico. Tutti gli oggetti
degli esperimenti sono racchiusi in teche di vetro (altro elemento variamente
trasversale nelle messe in scena del gruppo) e vi si annoverano: un pastore tedesco
imbalsamato che riproduce una masturbazione macchinica, due ali che battono,
private del corpo centrale, ad un ritmo ossessivo e frenetico, due grosse pecore che
riproducono una copulazione infinita. Nel finale della scena faranno la loro apparizione
una serie di altre teche «tutte riempite con animali impagliati: pecore, montoni, volpi,
cani, uccelli, pesci, capre... Tutti stanno a guardare il tentativo di uno di loro di
svegliarsi e camminare fuori dalle pareti di vetro della propria conservazione»
(Castellucci, 2001: 237).
In più, il senso dell’innesto macchinico assume un valore aggiunto se calato all’interno
di una poetica del corpo, come quella che sviluppa la Socìetas, che ne fa un sito
abietto e produttore di rifiuti e di umori, la cui esibizione sembra ricercare un
primordiale non ancora articolato e declinato. Il sacrificio del corpo (che è dell’attore e
del personaggio, abbiamo visto) è declinabile contemporaneamente in due usi: quello
che ne fa oggetto sacrale e olocausto del sé offerto alla divinità ma anche richiamo
alla solidarietà metamorfica dell’attore con l’animale, che evoca ambientazioni da
mattatoio. Sintomatico è in questo senso il processo dell’eviscerazione, che pure
ritorna ricorrentemente nelle prassi sceniche della Socìetas, e di cui è emblematica
una scena di Genesi, ambientata ad Auschwitz, in cui una bambina abbigliata da
bianconiglio (un’altra volta Carroll) descrive la natura di alcune riproduzioni di organi
espiantati che calano sulla scena, rivendicandone la proprietà.
Tra il 2002 e il 2004 la Societas vara un grande progetto europeo che coinvolge 10
teatro + la loro sede, nella produzione di 11 episodi (della tragedia, che diventeranno
atti) Tragedia endogonidia= meccanismi cellulari che si riproducono per
endogenesi Ogni episodio è prodotto da un teatro
europeo, è frammentato, c’è quindi una visione frammentaria e sintetica.
In un articolo scritto nel febbraio del ‘97 Castellucci fa delle considerazioni sulla sua
commedia organica:
1. Rigetta la questione della contemporaneità,
vuole accentuare il carattere antico, lontano della tragedia greca.
“rendere contemporaneo un testo tragico è un farso”
La tragedia non è questione di poesia, se vogliamo cercare di recuperare qualcosa
della tragedia dobbiamo muoverci su un altro livello, non quello letterario ma il livello
organico (natura, dimensione del materiale, regno vegetale e animale);
2. Il nucleo della tragedia non è tragico è pre-tragico
3. E’ presente la fiaba, fa parte del mondo pre-tragico, arcaico, antico. Le fiabe
esistono da sempre e appartengono alla dimensione di infanzia.
“Ho colto il baricentro della trilogia nel suo fatto infantile, nel ritorno degli adolescenti”
È una tragedia in cui vede degli adolescenti protagonisti, ripercorrono un copione
obbligato indipendentemente dalla loro volontà;
C’è un confronto con il testo, il testo può essere fondamentale ma può essere
comunque assente durante la scena.
Le scelte che il regista compie, per quanto strane, sono estremamente motivate
fondate su una lettura profonda del testo, del suo contesto e del suo retroterra.
Lettura di cosa è stata la civiltà greca e quali sono stati gli antefatti.
E’ interessante il tipo di relazione tra registra e testo, smascherare il testo che doveva
essere il più centrale possibile. Per poterlo smascherare il testo deve essere centrale.
Il teatro doveva nascere di parto doloroso, dalle spoglie di un testo (frammenti, ciò che
troviamo nel testo).
l’Epopea della polvere
Ne Castellucci fa una descrizione, una sinossi, trascrizione di ciò
che accade in questo spettacolo, scena dopo scena descrivendoci e qualche volta
spiegandoci tutte le scelte fatte.
ANALISI
Persone nel dramma: la scolta, il coniglio Corifeo, il coro di gesso, Egisto, Clitennestra,
Cassandra, Araldo, Agamennone, Oreste, Pilade, Elettra, Ermes, Apollo, La Pizia, Atena,
Le erinni. I scena: LA SENTINELLA
- seminuda;
- con un ombrello aperto come difesa;
- in aria, posizione acrobatica, equilibrio stabile;
- partitura sonora: suoni di guerra, cannonate, situazione di guerra;
- evoca l’immagine del pipistrello;
II scena: IL CORO
- corifeo è un grande coniglio;
- il coro è composto da 12 piccoli conigli di gesso
- coniglio= simbolo di avidità, di codardia;
- mentre il coro ricorda l’antefatto (il sacrificio di Ifigenia), si vede il corpo di
Ifigenia (adolescente, vestita di bianco, capelli biondi, appesa in aria);
- scende un frammento di tela dove si vedono una lampadina e una testa di un
cavallo urlante (riferimento alla Guernica di Picasso);
- scena di Sodomia che prelude l’ingresso in scena della protagonista:
Clitennestra
entra coperta di seta nera, donna in carne con voce strana, quasi per non chiarire
l’identità sessuale, mentre entra in scena, traffica sul palcoscenico Egisto = amante di
Clitennesta
- Tensione con il coro che fa si che ad un certo punto Egisto se la prenda con i
conigli, tre di loro vengono fatti esplodere da delle cariche meccaniche;
III scena: INGRESSO DI AGAMENNONE
- Agamennone è interpretato da un ragazzo affetto dalla sindrome di Down
(perché da un lato Agamennone è imponente, regale e dall’altro è innocente,
infantile);
- entra in modo scanzonato, alla sua presenza verranno associate musiche
scanzonati e applausi;