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CONCETTI E PRASSI DEL MODELLO GIAPPONESE
L'economista B. Coriat si è occupato approfonditamente del modello giapponese dedicando ad esso il suo libro "Ripensare l'organizzazione del lavoro - Concetti e prassi nel modello Giapponese".
In questo libro l'autore parte dalle considerazioni di Ohno, direttore della Toyota ed inventore del modello giapponese, analizzando le caratteristiche dell'impresa nipponica, le sue differenze rispetto all'impresa americana nonché la questione dell'esportabilità del modello in altri contesti. Ne emerge un'analisi di stampo "razionalista" attenta e puntale che lascia spazio alla riflessione su un modello di organizzazione tanto discusso.
Ohno sosteneva che il "metodo Toyota" (altro nome con cui viene identificato il modello giapponese) poggia su due principi:
- la produzione just in time
- l'auto-attivazione della produzione
Su questi due aspetti si basa...
l'intera organizzazione del lavoro e da essi discendono altri fattori fondamentali del modello in questione (tra cui, tanto per citare il più famoso, lo zero stock). In particolare Ohno si sofferma sulle condizioni che hanno reso necessaria la creazione di un nuovo modello produttivo, poiché ad un certo punto della sua storia, il Giappone si è trovato nella necessità di produrre piccole quantità di numerosi tipi di prodotto. Dato questo particolare bisogno è emersa la necessità di una produzione tendente alla diversificazione e pertanto l'esigenza di un sistema altamente flessibile. Questa condizione particolare in cui si è trovato il paese del sol levante era, infatti, in contrasto con il sistema di produzione di massa del modello tayloristico. Si trattava in sostanza di, per usare le parole di Ohno, "pensare all'inverso" rispetto alle teorie di Taylor e Ford, ossia di pensare un sistema funzionale alla.produzione di piccole serie di prodotti differenziati anziché alla produzione su larga scala di prodotti identici o di massa. Bisogna ricordare che Ohno si era formato alla scuola americana ed aveva dunque una grande conoscenza dei metodi tayloristici di organizzazione del lavoro. La particolare situazione giapponese indusse Ohno a chiedersi quale meccanismo utilizzare per aumentare la produttività quando la quantità richiesta e pertanto prodotta non subiva alcun incremento. In relazione ad una simile condizione tutto il savoir-faire della produzione di massa non era, infatti, più utilizzabile e pertanto si rendeva necessario pensare un "nuovo" metodo di produzione diretto alla differenziazione di piccole quantità di prodotti. La ricerca di questo nuovo metodo porta Ohno a scontrarsi con alcuni problemi primo fra tutto quello degli stock. Tale problema era particolarmente pressante per il Giappone data la carenza delle materie prime e.l'elevato costo di quelli che erano all'ora i sistemi di produzione. Partendo dalla questione degli stock, Ohno giungerà ad una serie di scoperte che porteranno alla creazione dell'attuale modello giapponese. La prima di queste scoperte, basandosi sulla questione degli stock e del fatto che dietro ad essi si nasconde una capacità produttiva esuberante, giunge a definire i contorni della cosiddetta "fabbrica snella" cioè la fabbrica le cui funzioni produttive, il capitale fisso ed il lavoro impiegati sono ridotti ai coefficienti strettamente necessari per far fronte alla domanda giornaliera o settimanale. Quindi come prima caratteristica una fabbrica con un organico minimo. Tale caratteristica è uno dei due modi individuati da Ohno per aumentare la produttività (l'altro più famoso e semplice consiste nell'aumentare il volume di produzione). Quindi utilizzare lo stock come strumento metodologico, così comeper Taylor lo fu la one bestway, per individuare la manodopera esuberante e razionalizzare la produzione. La fabbrica minimache ne emerge è dunque una fabbrica flessibile in grado di affrontare con un ristretto numero didipendenti le variazioni quantitative e qualitative del mercato. L'altra scoperta di Ohno è relativa al metodo di "gestione con gli occhi" ossia essere in grado inogni momento di esercitare un controllo visivo e diretto sui lavoratori subordinati, eliminando cosìogni elemento superfluo ed individuando seduta stante la comparsa di eventuali problemi nelmeccanismo di funzionamento. Ciò significa mettere in evidenza gli standard operativi su ogniposto di lavoro tramite l'utilizzo degli Andon, tabelloni luminosi situati al di sopra di ogni segmentodella produzione, che informano sul funzionamento della linea e su eventuali difficoltà che possonoemergere disturbando il normale e programmato corso della produzione. I capi,In tal modo, possiedono le informazioni necessarie per garantire che la produzione prosegua nel modo stabilito oper risolvere eventuali problemi. Se si sommano queste due scoperte, fabbrica snella tramite la gestione con gli stock ed il metodo digestione con gli occhi, si nota come la fabbrica giapponese sia basata sulla flessibilità e sulla ricerca degli incrementi di produttività dall’interno. Si può affermare che la fabbrica giapponese si contrappone alla fabbrica america fordista, la quale può definirsi una fabbrica “grassa” in quanto accumula stock e ritiene che la sua efficienza dipenda dalla velocità d’esecuzione dell’operaio singolo.
Utilizzando il metodo comparativo e mettendo quindi a confronto le caratteristiche dell’impresa giapponese contemporanea e quelle dell’impresa fordista americana, emergono delle differenze importanti. In particolare Aoki, al quale si può attribuire il merito di aver
interna: l'impresa giapponese si basa principalmente su finanziamenti interni, come prestiti bancari a lungo termine, mentre l'impresa americana si affida maggiormente a finanziamenti esterni, come azioni e obbligazioni emesse sul mercato finanziario. b. la gestione delle risorse umane: l'impresa giapponese adotta un approccio più collaborativo e incentrato sul team, con una forte enfasi sull'addestramento e lo sviluppo dei dipendenti, mentre l'impresa americana tende ad essere più individualistica e basata sulle prestazioni individuali. Questi tratti distintivi hanno contribuito a creare un modello di impresa giapponese noto per la sua efficienza, flessibilità e capacità di adattamento alle mutevoli condizioni di mercato.dell'impresa: l'impresa giapponese è caratterizzata dal fatto che i rapporti incrociati a breve o lungo termine, tra l'impresa e le istituzioni finanziarie, sono in grado di garantire all'impresa stessa autonomia di gestione e stabilità nel lungo periodo, caratteristica questa che manca all'impresa americana gravata dal peso di vincoli finanziari di diverso ordine e dalla redditività a breve termine;
la divisione del potere tra i tre agenti dell'azienda ossia proprietari, amministratori e lavoratori: Aoki ritiene che gli amministratori siano i "mediatori" degli interessi dei lavoratori e degli azionisti. Se entrambi questi ultimi sono ugualmente rappresentati (azionisti - consiglio di amministrazione, lavoratori - sindacati) l'attività degli amministratori si basa nell'ottimizzare i bisogni di entrambe le parti. In tal senso l'impresa giapponese può definirsi impresa cooperativa.
Poiché è volta alla ricerca del miglior compromesso tra le parti che la compongono. Se si valuta questa opposizione tra le caratteristiche dell'impresa americana e dell'impresa giapponese, occorre considerare anche altri due fattori messi in evidenza da Aoki:
Il primo riguarda la struttura di scambio di informazioni implicita nei due modelli di azienda. Infatti, mentre l'impresa americana si basa su una struttura di scambio di informazioni verticale e di tipo gerarchico, quella giapponese si avvale di una struttura orizzontale nella quale il principio gerarchico è attuato in base a procedure di incentivazione dei contratti impliciti ed espliciti che legano i diversi agenti che concorrono alla realizzazione degli obiettivi dell'impresa.
Il secondo fattore è inerente al fatto che in un contesto di grande incertezza quale è quello attuale, la struttura snella ed orizzontale dell'azienda giapponese è più efficiente di
quella rigida e verticale dell'impresa americana. La parte più interessante dell'analisi di Coriat riguarda la questione dell'applicabilità del modello giapponese divenuto famoso data la sua efficienza ormai riconosciuta. L'autore comincia la sua analisi ponendosi una importante domanda: bisogna augurarsi il trasferimento del modello giapponese? Per rispondere a tale questione è necessario considerare tre serie di osservazioni. La prima riguarda il fatto che il modello giapponese già da tempo viene copiato o comunque si tenta di applicarlo ad altre realtà. Questo perché nel quadro del sistema attuale di produzione che si può definire internazionalizzato, il modello giapponese assume tutta la sua validità in quanto corrisponde alla fase attuale del capitalismo caratterizzata dall'ascesa della concorrenza, dalla differenziazione e dalla qualità. Il metodo giapponese a partire dal suo principio costitutivoindica imezzi per realizzare incrementi di produttività, i quali corrispondono alle norme odierne della concorrenza e competitività del mercato. 6 Un'altra osservazione concerne il fatto che attualmente si assiste all'importazione o all'imitazione di alcuni fattori particolari e specifici dell'impresa giapponese (ad esempio la gestione senza stock) piuttosto che al trasferimento del modello nel suo complesso. Anzi molto spesso la questione giapponese viene utilizzata come scusa dietro la quale nascondersi per giustificare l'individualizzazione dei rapporti di lavoro. Per concludere una terza osservazione è inerente al fatto che rispetto al concetto giapponese del "pensare all'inverso" non tutto è negativo. In modo particolare la messa in discussione della divisione del lavoro da cui il modello prende avvio per costruire una flessibilità interna sembra in armonia con alcuni bisogni e domande sociali che si.anifestarsi da alcuni anni nel mondo delle imprese. L'aspetto della regolazione contrattata in modo specifico può modificare l'intera dinamica dei rapporti di lavoro. Se si considera il m