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COMPRENSIONE DELL'INTENZIONE

Le caratteristiche del sistema mirror lo rendono adatto per essere alla base di una serie di

funzioni di natura sociale.

Vi sono delle patologie che possono avere a che fare con una mancanza della capacità di

leggere l'intenzione.

Questo è stato affrontato da un punto di vista neurale, limitando il campo a un determinato

concetto di intenzione, come questo si è evoluto nella ricerca sull'uomo e i risvolti nella

patologia e nell'autismo.

L'intenzione ha a che fare con un atteggiamento volontario da parte di un individuo.

L'intenzione ce l'ha tanto l'uomo quanto la maggior parte delle specie animali, almeno quelli

che rientrano nella classe dei mammiferi. Un primo approccio sperimentale allo studio

dell’intenzione è stato ideato da Libet, il quale si è chiesto cosa vuol dire quando parliamo di

atto intenzionale. Un atto si ritiene intenzionale quando:

- sorge dall’interno;

- non vi sono restrizioni imposte dall'esterno o che controllino direttamente o indirettamente

l'inizio e l'esecuzione dell’atto;

- i soggetti percepiscono introspettivamente che stanno eseguendo l’atto di loro iniziativa,

dando l’avvio o bloccandosi quando lo desiderano.

Sperimentalmente, bisogna mettere i soggetti in una condizione tale che sperimentano che

l’esecuzione di un atto è evocata direttamente da loro stessi, senza che venga suscitato da

qualche stimolo. Questa situazione soggettiva è difficile da misurare, quindi era necessario

avere una misura soggettiva e metterla in relazione con una misura oggettiva, di tipo

elettroencefalografico.

L'esperimento ideato da Libet era il seguente: in una condizione di riposo, un soggetto ha il

braccio su un tavolo, doveva semplicemente estendere il polso quando voleva, quindi un atto

internamente generato. Siccome sappiamo che quando eseguiamo un movimento, in realtà

l'inizio si ha già a livello elettromiografico prima ancora che si veda lo spostamento articolare,

quindi il reale inizio del movimento viene valutato sull’inizio della variazione elettromiografica.

Ai soggetti venivano messi degli elettrodi sui muscoli che fanno estendere il polso in modo da

poter registrare l’inizio reale della registrazione elettromiografica: se il muscolo si contrae è

perchè c'è stato un comando motorio, che deriva direttamente dalla corteccia.

A livello corticale viene misurato una specie di EEG, vengono posti degli elettrodi sulla

sommità del capo in posizione centrale coincidente con la corteccia supplementare. Già

all'inizio degli anni '80 con la PET si era visto che c'era un'attivazione a livello supplementare

quando un soggetto immaginava di svolgere una sequenza di opposizione tra le dita, quindi si

sapeva l'importanza di questa regione in aspetti comandati a livello interno, in aspetti di

natura preparatoria (la corteccia supplementare si attiva prima della motoria primaria; la

corteccia supplementare è una corteccia premotoria).

34

La percezione soggettiva dell'intenzionalità del proprio atto si è valutata chiedendo ai soggetti

di guardare contemporaneamente un oscilloscopio, in cui c’era un indice che si muoveva e

dire dove si trovava la lancetta dell'orologio quando ritenevano di essere diventati consci della

loro intenzione di muovere il polso.

Il potenziale di prontezza ha una caratteristica sorprendente, perchè comincia ad attivarsi

parecchio prima rispetto a quando il soggetto diventa consapevole del proprio movimento.

Quello che si vede è che se prendiamo il punto 0 come il momento in cui comincia a vedersi

la prima variazione elettromiografica che precede lo spostamento dell'articolazione, il

soggetto giudica di essere diventato consapevole circa 200 ms prima, solo che il readiness

potential comincia almeno 550 ms prima del reale inizio del movimento: l'attivazione

corticale inizia prima che noi diventiamo consapevoli di voler muovere.

In realtà, questo dato è stato ulteriormente “peggiorato” da dati registrati successivamente,

che facevano vedere che l'attività cominciava prima a livello della corteccia prefrontale prima

di un movimento volontario, precedendolo di circa 8 secondi.

La mia attività corticale inizia molto prima di quando io divento consapevole. È verosimile che

l'attività corticale si accumula, quando supera un livello soglia io divento consapevole, ma

l'attività inizia prima.

Questo esperimento rappresenta un momento di riflessione concettuale su quella che è

l’intenzione: sulla base di quanto visto, possiamo trovare una misura neuronale di quella che

è la mia attività volontaria relativa all'esecuzione di un movimento.

Questo studio si è correlato con riflessioni di natura filosofica, che si sono chieste che cosa è

l’intenzione: certamente è stata distinta una intenzione iniziale molto precoce, chiamata prior

intention, che potrebbe essere la pianificazione a distanza su ciò che faremo poi; poi però

c'è la intenzione in azione, cioè la realizzazione dell'intenzione di svolgere una determinata

azione, che è direttamente correlata con l'esecuzione di un'azione.

Tra tutte le varie proposte a livello filosofico del concetto di intenzione, ci sono due concetti

unificanti: 1) il concetto di scopo —> un’azione intenzionale ha uno scopo; 2) lo scopo viene

raggiunto attraverso dei mezzi, quindi durante l'intenzione in azione devo anche

programmare il modo per raggiungere un determinato scopo finale.

Andiamo a vedere dal punto di vista neurofisiologico come è stato affrontato il concetto di

intenzione.

Ci sono 3 filoni di studio che sono andati a indagare aree differenti che hanno a che fare con

atti finalizzati all'interno della corteccia cerebrale:

- l'area F6 (area pre-supplementare motoria);

- l'area MIP (nella corteccia intraparietale labbro dorsale): i neuroni dell’area MIP entrano in

gioco quando la scimmia prepara un determinato atto di raggiungimento (area di braccio);

- l'area LIP (labbro ventrale del solco intraparietale): i neuroni della LIP preparano un

movimento saccadico —> movimento di raggiungimento con gli occhi (area oculomotoria).

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Organizzazione dell’azione

C’è una terza proposta che prende in considerazione la codifica di un'azione complessa.

L'azione di fatto è formata da vari atti motori —> l’azione è il risultato di una sequenza di atti

motori per il raggiungimento di uno scopo finale. Afferrare un bicchiere per bere è uno scopo

finale, ma per fare questo devo raggiungere e afferrare, portare verso la bocca e aprire la

bocca, quindi abbiamo una serie di atti connessi l'uno all'altro in maniera fluida che portano al

raggiungimento dello scopo finale motorio (portare il bicchiere alla bocca).

Gli atti motori hanno anche loro uno scopo, ma questo scopo è sottordinato rispetto allo

scopo dell’azione, che viene raggiunto attraverso una concatenazione di scopi intermedi

(acquisizione di una posizione, possesso di un bicchiere, portare il bicchiere verso la bocca).

Tutto questo avrà naturalmente una componente esecutiva quando gli atti motori saranno

trasformati in movimenti, e questi ultimi in contrazioni muscolari.

Un'azione la possiamo anche rappresentare completamente nel nostro cervello senza

neanche eseguirla. Fare la distinzione tra atto e azione è qui fondamentale.

Si può dire che all'interno di due azioni differenti, con scopi finali diversi, possiamo rintracciare

atti motori simili: es. posso prendere un bicchiere per portarlo alla bocca o per metterlo nel

lavandino —> i due scopi finali sono diversi ma il primo atto, quello di afferrare, è identico, ma

questo atto identico prelude a un atto successivo che non è identico. Il sistema nervoso, per

eseguire questa concatenazione, deve aver programmato già dall'inizio quali saranno gli atti.

Abbiamo uno scopo finale, che viene realizzato attraverso dei mezzi, ma questi mezzi

possono già essere gli atti motori; gli atti motori si possono a loro volta decomporre nei vari

movimenti.

Neuroni di F5 e PFG in una sequenza motoria

Molto spesso i neuroni si attivano in relazione allo scopo degli atti motori. Se ci poniamo in

una situazione per cui abbiamo due azioni differenti con lo stesso atto motorio all'inizio, i

neuroni che registro durante l'esecuzione di questo atto motorio si attivano nella stessa

maniera se questo atto motorio appartiene ad azioni differenti? Studio in cui la scimmia,

partendo da una posizione iniziale, doveva prendere un oggetto che poteva essere un pezzo

di cibo che la scimmia prendeva e portava verso la bocca per mangiarlo, oppure un oggetto

che la scimmia riponeva in un contenitore, che poteva essere posto vicino al punto dove si

trovava il target oppure su un contenitore messo vicino alla spalla (quindi vicino alla bocca).

Dal punto di vista cinematico i due atti si assomigliano.

Come si comportano i neuroni registrati in regioni sensibili agli atti motori di afferramento,

quindi l'area F5 e l’area PFG?

Risultati:

Sia nell'area PFG sia in F5 ci sono neuroni che durante l'afferramento si attivano in maniera

diversa: 36

- due neuroni appartenenti alle due aree si attivano di più quando la scimmia prende per

mangiare rispetto a quando prende per mettere;

- ci sono neuroni che mostrano una attivazione maggiore nel prendere per mettere

rispetto al prendere per mangiare;

- altri neuroni che non discriminano tra le due situazioni e si attivano in maniera uguale.

Dunque, lo stesso neurone durante lo stesso atto motorio, ma inserito in situazioni differenti,

si attiva in maniera differente, quindi è modulato dal fatto che lo stesso atto motorio è

presente in due differenti azioni finalizzate. Questi neuroni riflettono quella che è l'intenzione

dell’agente: l’intenzione della scimmia è definita fin dall’inizio —> questi neuroni riflettono

questa intenzione.

A livello di popolazione, esistono due popolazioni diverse: quella dei neuroni che si attivano di

più durante il prendere per mangiare e quelli che si attivano di più durante il prendere per

mettere.

È vero che i neuroni afferramento sono simili nelle due aree, ma esistono delle differenze?

Se andiamo a vedere i neuroni che sono modulati da queste preferenze e creiamo l'indice di

preferenza, tale indice è maggiore nella corteccia parietale rispetto a quella premotoria.

Se misuriamo il differenziale di attività e vediamo cosa succede di questo differenziale

durante varie fasi dell’afferramento, si vede che c'è una differenza tra le due aree nella

Dettagli
Publisher
A.A. 2018-2019
61 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/02 Psicobiologia e psicologia fisiologica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher IRENE1989 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Neuroscienze sociali e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Parma o del prof Fogassi Leonardo.