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IL DESIGN IN ITALIA

I progetti e i prodotti degli anni tra le due guerre sono informati dall’etica dell’orgoglio e della modestia. Il prodotto forse più emble-

matico di questo periodo è la Fiat 500 Topolino del 1934, progettata da Dante Giacosa e programmata per essere la prima automobile

popolare italiana. Dopo la seconda guerra mondiale il progetto del prodotto industriale si ideologizza, la ricostruzione sembra privile-

giare due settori d’intervento l’industrializzazione dell’edilizia e l’arredamento della casa popolare.

Ma per ciò che attiene a più concrete realizzaioni, esistono dei prodotti ancor più tipici del clima postbellico. Parliamo dell’invenzione

dello scooter, alla vespa e alla lambretta; collegata in qualche modo è l’invenzione della vettura Isetta. Se essi rappresentano la versione

“povera” del design italiano, insieme alla Nuova Fiat 500, vi è anche un’altra faccia, quella del “lusso necessario” (Giulietta Sprint Alfa

Romeo ad esempio).

La componente progettuale nel settore del mobile e dell’arredo è ancor più problematica che altrove. In questo dopoguerra la line

economica trova la sua prima espressione nella sorta nel 1946, che nello stesso

RIMA “Riunoine Italiana Mostre di Arredamento

anno organizzava nel ricostruito Palazzo della Triennale, una prima esposizione avente per obiettivo la proposta di alcuni prototipi d’ar-

redo per case economiche. I risultati non risposero alle aspettative, specie in ordine alla scarsa possibilità di industrializzare i modelli

proposti. (Ma la manifestazione non fu del tutto inutile, perchè costituì la prima occasione d’incontro tra quelli che saranno i maggiorni

designer nel settore, i fratelli Castiglioni, Vico Magistretti, Ignazio Gardella, ecc. che ricevettero un impulso dagli scritti di Rogers, allora

direttore di Domus. una ditta fondata da Gardella, Caccia Dominioni, Magistretti, che cominciò a produrre mobili e oggetti d’ar-

Nel 1947 nasce Azucena,

redo di prestigio e ad alto costo. Qualche critico ha parlato di una specie di Wiener Werkstatte italiana degli anni 50. E’ pensata come

struttura d’appoggio che coordina il lavoro di una rete di artigiani indipendenti, rimane dunque legata alle origini, pur introducendo

lavorazioni e materiali sperimentali (laccature lucide, zincature, semilavorati, objects-trouvèe). Ha adottato una gamma di semilavorati,

componenti poveri o pezzi industriali che consentiva di accorciare la catena operativa e di tenere sotto controllo il costo del prodotto

finito.

Una caratteristica del design italiano è data dall’uso di L’oggeto industriale disegnato in Italia, una nazione in cui

materiali diversi.

notoriamente non c’è abbondanza di alcun materiale, si produce con ogni sorta di materia prima. Dovendo ogni volta cominciare da

capo, la tecnologia di lavorazione sembra imporre la forma agli oggetti, a tal punto da snaturarli. Conseguenza di questo spregiudicato

uso dei materiali è la natura polimaterica di molti mobili. Questo carattere polimaterico ci rimanda a un altro aspetto ancor più tipico

ed importante del design italiano: la sua alle tendenze

frequente associazione a forme e motivi dell’avanguardia visiva.Rifacendosi

della neoavanguardia, il New Dada, la Pop Art, e quella italiana dell’arte povera, sono nati progetti come la Poltrona Sacco, la poltrona

Joe a fomra di guanto da baseball, la sedia Mezzadro. Il rapporto fra design e movimenti artistici è anche dovuto alla mancanza in

generale di un solido rapporto con la produzione. Cosicchè il design non è stato tanto inteso come una professione, quanto piuttosto

un’azione artistico-culturale. Questo dovuto all’estrema personalizzazione dei progetti, l’impronta d’autore su qualunque oggetto d’uso,

come se fosse un’opera d’arte. Pensiamo alla

Sono le industrie che preoccupate per la loro immagine finiscono col determinare le linee di tendenza.

Olivetti che riuscì a configurare l’immagine dell’intero design italiano, alla Fiat la cui espansione ha condizionato addirittura gli sviluppi

della rete stradale del Paese. All’Eni, a Pirelli, all’Arflex, a Cassina.

Il design italiano appare capace di coprire con una brillante soluzione estetica i vuoti di una produzione che

----> PRODUZIONE:

possiede ancora grossi squilibri, ancora in fase di maturazioene sul piano tecnologico e organizzativo. I risultati internazionali del desi-

gn italiani sono dovuti proprio alla sua sperimentalizzazione che consente di operare in uno spazio di maggiore libertà d’azione.

Ad essere separati non sono l’industria e il design ma il momento progettuale e quello produttivo. Di progettazione ce ne è stata tanta

mentre la produzione è stata scarsa, anche dal punto di vista degli investimenti e dei contributi.

Questa situazione chiaramente si differenzia per la sua tipologia settoriale.

Le prinicipali azioni culturali e socio-produttive furono svolte innanzitutto dalle Triennali. Un’altra iniziativa importatne è stata la fonda-

zione nel 1956 dell’ADI Associazione per il Disegno Industriale, che operò un valido collegamento tra il mondo dell’industria, quello

politico-sociale e gli operatori. Tale associazione ha gestito il premio Compasso d’Oro, isituito nel 1954, è stato forse il più importante

strumento di promozione e di vendita, il maggior punto di contatto fra il momento pratico e quello culturale del nostro design. SU

iniziativa di Cesare Brustio ed Augusto Morello e promossa da La Rinascente, il Compasso d’Oro nacque come riconoscimento da

assegnare al produttore e al progettista del modello premiato, modello che doveva distinguersi per i valori estetici di una produzione

tecnicamente perfetta.

Per ciò che concerne le esportazioni, la vendita del prodotto italiano fu molto agevolata da tutte queste mostre e manifestazioni. Ma il

programma storico e istituzionale di questa attività è riamsto più che altrove irrealizzato. Questo perchè quasi tutti gli oggetti sono nati

da una cocezione e produzione meramente tecnologica, esemplari unici, frutto di un compromesso tra artigianato e industria. Insom-

ma se la politica della cultura ha indubbiamente giovato alla componente progetto, non ha di certo contribuito alla componente della

vendita, perchè le sue azioni e i suoi discorsi osno sempre rimasti in una sfera elitaria, e come tali, incomrpensibili al pubblico.

La politica degli industriali, vista la scarsa aderenza del gusto del pubblico alla morfologia del design , o ha aderito passivamente a tale

gusto preoccupata solo di far fronte alla domanda, o ha rinunciato alla quantità e si è rifatta degli alti costi di produzione tenendo anco-

ra più alti i costi di vendita. In tale condizione la vasta fioritura di azioni promozionali , pubblicitare, editoriali che le aziende effettuano:

show-rooms, punti vendita.

FRANCO ALBINI - IL DESIGN DEGLI ARCHITETTI

Franco Albini nasce nel 1905 a Robbiate (Como). Trasferitosi con la famiglia a

Milano, frequenta il Politecnico di Milano, dove si laurea nel 1929 e inizia l’attività

professionale nello studio di Gio Ponti e Emilio Lancia.

Dopo le prime realizzazioni di impronta novecentesca nel campo dell’arredamento,

una conversazione con Edoardo Persico, divenuta motivo ricorrente nell’aneddoti-

ca albiniana, determina la sua “conversione” al razionalismo e l’avvicinamento al

gruppo dei redattori di “Casabella”.

Nel 1931 apre il primo studio professionale in via Panizza con Renato Camus e

Giancarlo Palanti e inizia ad occuparsi di edilizia popolare partecipando al concorso

per il quartiere Baracca a San Siro (1932) e poi realizzando i quartieri dell’Ifacp.

Alla fine degli anni Trenta partecipa a due importanti concorsi per l’E42: quello per

il Palazzo della civiltà italiana nel 1938 e quello per il Palazzo dell’acqua e della

luce nel 1939.

Nel campo degli allestimenti Albini, chiamato da Pagano, esordisce nel 1933 alla V Triennale di Milano, da allora terreno privilegiato di

sperimentazione, progettando, in collaborazione con lo stesso Pagano e altri, la Casa a struttura d’acciaio.

Nel corso degli anni trenta gli allestimenti alla Triennale e i padiglioni temporanei alla Fiera di Milano e in altre manifestazioni fieristi-

che sono le palestre che gli permettono di sperimentare nuove soluzioni

Durante gli ultimi anni della guerra il gruppo degli architetti razionalisti milanesi – F. Albini, Bbpr, P. Bottoni, E. Cerutti, I. Gardella, G.

Mucchi, G. Palanti, M. Pucci, A. Putelli – formula una proposta di piano regolatore il piano AR (Architetti Riuniti) proponendo un metodo

per la ricostruzione.

Il progetto viene presentato al concorso di idee per il piano regolatore, indetto dal comune di Milano nell’ultimo scorcio del 1945 e

pubblicato nel numero 194 di “Casabella Costruzioni”, rivista che Albini dirige insieme a Palanti nel corso del 1946.

Nel dopoguerra la gamma degli interessi professionali di Albini si amplia in relazione anche alle opportunità offerte dalla ricostruzio-

ne, mentre lo studio si arricchisce di nuove competenze e sensibilità progettuali con l’associazione di Franca Helg nel

1952.

Albini lascia la sua impronta in poche città italiane, in particolare solo tardivamente Milano, la città dove lavora, gli affida, insieme al

grafico Bob Noorda, un incarico prestigioso: la sistemazione delle stazioni della linea 1 della Metropolitana Milanese (1962-63).

Dal 1962 lo studio Albini-Helg si avvale della e dal 1965 di Marco Albini, assumendo nel

collaborazione di Antonio Piva 1975 la

denominazione “Studio di architettura Franco Albini, Franca Helg, Antonio Piva, Marco Albini”.

CASA A STRUTTURA D’ACCIAIO, 1933 Milano.

Franco Albini, G. Pagano.

Nel 1933 si svolge la prima edizione della Triennale di Milano, che prende il posto

dell’Esposizione internazionale delle arti decorative e industriali moderne di

Monza, proseguendone gli appuntamenti.

All’interno del Parco Sempione vengono realizzati una serie di edifici dimostrativi

di una nuova idea di abitare. Il giovane Albini vive in prima persona l’evento della

prima triennale milanese. Fa parte infatti del gruppo, coordinato da Giuseppe

Pagano, impegnato nella realizzazione di una “casa a struttura d’acciaio”.

In questo edificio dal forte carattere sperimentale il rapporto tra struttura e costruzione è denunciato attraverso l’esibizione del nudo

telaio d’acciaio nei primi due piani. In particolare Albini si occupa con Giancarlo Palanti dell’arredamento di uno degli alloggi.

STANZA PER UN UOMO, 1936 Milano.

Alla VI Triennale di Milano del 1936 la “Mostra dell’abitazione”, ospitata nel nuovo

padiglione costruito da Giuseppe Pagano, è affidata a un gruppo di giovani

progettisti

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Ingegneria civile e Architettura ICAR/18 Storia dell'architettura

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