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La cifra comune del movimento letterario e culturale del neorealismo intellettuale è
l' attenzione al risvolto sociologico degli sforzi creativi. Coerentemente alla
rappresentazione nelle nuove opere della vita semplice e sofferta delle masse e della
loro elementare visione del mondo, il fine di coloro che aderirono a questa nuova
letteratura, che auspicava di essere popolare, era di farne uno strumento pratico,
promotore dell' unità della nazione e divulgativo delle necessità di una giustizia per gli
oppressi. Tornava in auge quindi, per l'ennesima volta in Italia, la classica funzione
pedagogica della letteratura.
Gli storici della letteratura ( noi ci siamo riferiti a Bàrberi Squarotti e Asor Rosa) hanno
analizzato il fallimento di questi obiettivi; un fallimento causato, in ultima analisi,
dall' "arretratezza del retroterra ideologico"1 del movimento. La sommarietà e la
pervasività dell' ideologia ostacolava l'analisi scientifica della realtà che si voleva
rappresentare e riscattare. Si privilegiava lo slancio vitalistico, l' esaltazione dei buoni
sentimenti, la fede in un' indefinita speranza. L' accettazione incondizionata degli
orizzonti mentali popolari implicava una "programmata limitatezza della gnoseologia
della poetica realista"2 , ovvero una riduzione dello scibile all' angusta visione del
popolano ingenuo e ignorante. A ciò conseguiva una "semplificazione estrema delle idee
nell'ambito estetico"3: nella pratica creativa, abbracciare tale punto di vista, facendolo
oltretutto rientrare in un percorso o perlomeno in un' atmosfera ideologico-morale,
significava contenere le possibilità fantastiche entro una gamma di fatti, di lingua e di
pensieri quantomai ristretta. I quali fatti, lingua e pensieri, inoltre, piacevano a molti
aspiranti scrittori per come semplificavano le loro possibilità creative, e per le
potenzialità di successo che garantivano. Si creò così l'impasse di un' asserzione
educativa sviluppata entro interessi esclusivamente letterari. Molti scrittori, insomma,
non erano sinceramente dediti alla propria funzione sociale di educazione culturale, che
era ciò che giustificava i moduli stilistici da loro stessi utilizzati4.
Alle motivazioni ideologiche che dimidiano le possibilità letterarie di rappresentazione
del reale, sottosta anche l' approccio a fenomeni culturali diversi: se, da un lato, si
recupera la lezione dell' indagine sociologica del romanzo realista ottocentesco, e si è
ricettivi delle letterature straniere congeniali alle esigenze stilistiche neorealiste (come,
ad esempio, quella americana di fine ottocento e inzio novecento), dall' altro si
condanna acriticamente tutto ciò che non risponde ai requisiti richiesti; così non viene
proposta una rivisitazione formativa della passata cultura nostrana, elitaria e
tradizionalista, al fine di chiarificare i legami insopprimibili del presente col passato e le
ragioni profonde dell'innovazione neorealista (smascherando in questo modo anche gli
elementi conservatori celati nella nuova scrittura), e le nuove correnti irrazionaliste ed
esistenzialiste europee, le avanguardie, la letteratura grande-borghese che indaga sulla
sua crisi, sono stigmatizzate con la generica e inflazionatissima accusa di decadentismo.
La conoscenza critica dell' alta cultura del passato non viene incoraggiata, mentre gli
scrittori abbassano il loro tiro a quello del popolo, per quanto da loro è conosciuto; il
4 " Il fallimento dell'operazione sociologica della cultura dell'immediato dopoguerra dipende proprio
da questa confusione interna, da questa compresenza di fervori e di mascherate compromissioni: il
realismo che essa crea non costituisce altro che una poetica, difesa da una concezione della realtà
( non una visione del mondo che si manifesta in una poetica), proprio, soltanto, risultando in qualche
misura comprensibili i testi se si tiene conto della definizione del reale che è loro sottesa come
esclusiva obiettività sociale, come esistenza limitata e concessa solo a un catalogo di cose sempre più
ristretto ( che so: la vita operaia, la Resistenza senza problemi etici, certi sentimenti elementari,
descritti con la sapienza semplificata della loro fenomenologia più immediata, la miseria, il Sud
contadino, ma non le complicazioni ancestrali della vita contadina, non i contrasti morali, non la
morte, ecc.); non ha un riferimento concreto in re, nella società, non ha una consumazione popolare
che lo giustifichi, è un esercizi retorico, o il tentativo di farsi un alibi da parte di chi è chiuso
nell'esclusivo ambito della letteratura"
quale popolo continua così a ritenere l' alta cultura come qualcosa d' inaccessibile e
vagamente ostile, nel mentre le opere proposte sono una nuova generazione di quella
andante e consolatoria letteratura di consumo da cui un serio progetto di educazione
avrebbe dovuto affrancare la massa.
Asor Rosa, nel vasto saggio Scrittori e popolo, ci offre una scrupolosa analisi delle
deficienze ideologiche, di approccio scientifico e di resa artistica del populismo nella
letteratura italiana, ravvisandoci una sostanziale continuità dall' unità nazionale fino alla
metà degli anni '50, periodo che ne segna la morte per l' affermazione della società di
massa, che stravolge i connotati tradizionali del popolo e rende obsoleta una distinzione
tra questo e la borghesia5.
Così inizia il saggio:
L'uso del termine populismo è legittimo solo quando sia presente nel
discorso letterario una valutazione positiva del popolo, sotto il profilo
ideologico oppure storico-sociale oppure etico. Perché ci sia
populismo, è necessario insomma che il popolo sia rappresentato
come un modello6.
A ulteriore chiarimento del concetto citiamo anche il seguente stralcio :
Un convincimento populistico è tanto più rigoroso quanto più
attribuisce al popolo valori positivi e (relativamente) autonomi. È
chiaro che il populismo non potrà mai essere in sé una posizione
totalmente autonoma, poiché esso nasce già come espressione di una
volontà borghese di egemonia politica, ideologica e culturale. I confini
del populismo sono perciò quegli stessi, che la borghesia determina di
volta in volta nel corso della sua storia7.
Seguendo questo discorso, il populismo nel periodo postresistenziale raggiunge la sua
apoteosi: l'intellettuale borghese, chiamato a fare la storia, ad essere parte essenziale
nella ricostruzione e nella rifondazione ideologica della nazione, è più che mai stimolato
a intendere il suo lavoro come una missione sociale, assicuratagli entro un campo d'
azione ben delineato e dalla popolarità garantita. Senonchè questo interesse sociale
legittimato dall'ambiente culturale si confonde, influenzandoli, con gli eventuali
interessi dello scrittore per la realtà popolare, che possono essere di tutt' altra natura. "In
taluni casi è insomma assai difficile determinare quanto il populismo sia frutto di una
consapevole scelta e quanto di un'irrazionale ed oscura attrazione, oppure anche di
una intellettualistica volontà di trovare ad ogni costo il legame tra il singolo e la
massa"8. La comune caratteristica sociologica del neorealismo, non sufficiente a fare
poetica, si sfrange così in una molteplicità di esiti.
Questo quadro composito e contraddittorio, in cui si mescolano indissolubilmente
esigenze collettive e propositi individuali, nuovo cosmopolitismo e inveterato
localismo, mascherato elitarismo e sincera popolarizzazione, intorno al 1948 imbocca la
svolta di una direzionalità partitica. Il Pci, perdente alle elezioni politiche del 18 aprile
e quindi escluso dal governo conquistato dalla Democrazia Cristiana, influenzato dalle
direttive del nuovo Cominform, cambia politica culturale assumendo una posizione
filosovietica e ritrattando la precedente strategia di apertura. Ciò determina la volontà di
canonizzare le caratteristiche della spontanea corrente neorealista, secondo schemi
funzionali all'ideologia partitica. L'opera d'arte doveva in sostanza rapppresentare
realisticamente il percorso formativo verso la coscienza di classe proletaria. Tra il 1948
e il 1955 il PCI, per mezzo delle sue riviste Rinascita e Società, incita i suoi scrittori ai
canoni del realismo socialista, dando via al periodo zdanovista. Asor Rosa scrive
efficacemente che "lo zdanovismo non è che la simbiosi di una stupefacente
disinvoltura sul piano teorico e scientifico con un chiuso spirito burocratico sul piano
ideologico e culturale"9. I riferimenti artistici italiani furono i romanzi L' Agnese va a
morire di Renata Viganò e Le terre del Sacramento di Francesco Jovine, pubblicati
rispettivamente nel 1949 e 1950. L'opera che seguì i dettami fu invece il celebre Metello
di Vasco Pratolini, edito nel 1955. La discussione intorno a questo romanzo segna la
8 Ivi, pag.161.
9 Ivi, pag. 206.
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fine dell'egemonia del Neorealismo, decidendo diversi scrittori di sinistra di rigettare
definitivamente tale rigido inquadramento dell'arte.
Pavese si aggrega alle tanti voci del coro militante, con la stesura di articoli pubblicati
nei giornali schierati a sinistra, la cui stragrande maggioranza sono interventi sulla
comunista l'Unità di Torino10. Si tratta di un numero esiguo di brevi articoli composti
dal maggio 1945 fino al febbraio del 1950: una continuità che è da rilevare, poichè è
già questa una prova della serietà dell'impegno assunto, che durerà, nonostante le
crescenti tensioni e la progressiva disillusione, fino al suicidio.
La natura del suo giornalismo è conforme a quella degli interventi del gruppo degli
intellettuali affiliati al partito comunista senza le restrizioni di una rigida ortodossia,
senza, ovvero, la necessità di imbastire un discorso strettamente marxista: bastava
rientrare in una partecipazione morale alla comune ambizione di un progetto educativo
popolare, nella deplorazione del passato fascista e della guerra, nell'attacco alla vecchia
cultura asservita o aristocratica, nella realizzazione di un nuovo umanesimo in cui la
cultura fungesse da collante e interprete, politicamente orientato, del dispersivo mondo
industriale moderno, nell'esaltazione del popolo lavoratore vero motore del progresso e
vera anima della nazione.
Sarebbe tuttavia riduttivo giudicare gli articoli di Pavese come "una semplice
concessione alla tematica progressista corrente11". Infatti, oltre il fatto che il
progressismo culturale pavesiano ha sempre sottinteso una mira collettiva democratica,
la propria declinazione dei temi