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Questi ritrovamenti incoraggiarono spedizioni ancora più lontane; e presto Roma

divenne oltre che meta, punto di sosta per poi accingersi a visitare le antiche località

greche della Sicilia e della Grecia stessa. In questo modo in più il testo di Vitruvio

veniva messo in discussione, volendo verificare la realtà delle rovine.

I rilievi svolti portarono alla pubblicazione di molte opere come “Rovine dei più bei

monumenti della Grecia” di Le Roy, “Antichità di Atene” di Stuart e Revett, la

documentazione del palazzo di Diocleziano a Spalato di Adam e Clérisseau. In più Le

Roy fu a sostegno della tesi che è l’architettura Greca l’origine del “vero stile”. Questo,

però suscitò l’ira di Giovanni Battista Piranesi, il quale replicò con un saggio “Della

Magnificenza ed Architettura de’ Romani”. Piranesi affermava che non solo gli Etruschi

avevano anticipato i Greci, ma che, assieme ai Romani loro successori, avevano

innalzato l’architettura a un ulteriore livello di raffinatezza. L’unica prova che poté

citare in appoggio della sua tesi furono le poche strutture etrusche sopravvissute alle

devastazioni di Roma, queste influenzarono notevolmente la produzione del Piranesi.

Nel 1778, però, Piranesi abbandonò la verosimiglianza architettonica dando spazio alla

libera immaginazione, e attuando delle allucinanti manipolazioni di tipo storicista.

Questo riuscì a distogliere l’attenzione delle persone dall’arte greca, per ricollocarla su

quella romana.

Intanto, però, emerge a sostegno della tesi di Le Roy, lo storico J.J. Winckelmann che

varò la teoria del “Bello Ideale”. Per Winckelmann, il riferimento all'arte greca

diventerà una sorta di elemento di paragone o parametro di giudizio sul bello ideale.

Le scoperte archeologiche di Pompei ed Ercolano avevano determinato nei confronti

delle antiche rovine un atteggiamento volto ad indagare proprio il concetto di bellezza

assoluto.

Si generò quindi un vero e proprio scisma tra coloro che come il Piranesi sostenevano i

Romani e gli Etruschi, e chi come Le Roy e Wincklemann, sosteneva i Greci.

In Inghilterra, si cercava di trovare un punto di riferimento da seguire. Dapprima si

appoggiò l’espressione del Palladianesimo con il conte Burlington, in modo da

bilanciare gli eccessi del Barocco, successivamente si passò al neoclassicismo, con

alcuni esponenti come Stuart e Dance. Quest’ultimo progettò il carcere di Newgate a

Londra, una struttura in apparenza piranesiana, ma che in realtà riprende le teorie

neopalladiane di Morris. Il Neoclassicismo inglese giunse alla sua ultima fase con

l’opera di Soane.

In Francia il neoclassicismo, invece fu completamente differente da quello inglese.

Verso la fine del XVII secolo una precoce consapevolezza della relatività culturale

spinse Claude Perrault a mettere in discussione la validità delle proporzioni vitruviane,

quali erano state ricevute e perfezionate attraverso la teoria classica. Al loro posto,

egli elaborò le sue tesi sulla Bellezza “positiva” e la bellezza “arbitraria”, attribuendo

alla prima il ruolo degli elementi necessari a un’architettura ( materiali, funzione,

regole, lotto), e alla seconda quella funzione espressiva che può essere richiesta da

una circostanza o da un carattere particolari.

Questa sfida nei confronti del “dogma” vitruviano fu codificata successivamente

dall’Abate di Cordemoy nel “Nuovo trattato di tutta l’architettura”, in cui egli sostituì

Firmitas, utilitas e Venustas, con ordonnance, distribution e bienséance. Mentre i primi

due termini delle sue categorie riguardavano il corretto proporzionamento degli ordini

classici e la loro disposizione appropriata, il terzo introduceva la nozione di

convenienza, con la quale Cordemoy metteva in guardia contro l’applicazione

inappropriata di elementi classici o esornativi a strutture utilitarie o commerciali.

Cordemoy era interessato all’applicazione degli elementi classici in modo puro e

geometrico, contro le trovate barocche quali la disposizione irregolare delle colonne.

L’Abate Laungier, nel “Saggio sull’Architettura” reinterpretò Cordemoy per postulare

una universale architettura “naturale”. Per Laungier gli ordini greci derivavano dalla

teoria della “capanna primitiva”, questa afferma che: L’ARCHITETTURA DISCENDE

DALLA NATURA, I GRECI FURONO I PRIMI A CAPIRLO AFFERMANDO I LORO PRIMATO,

CIOE’ LA COLONNA TRIONFA SULLA PARETE.

La capanna di Laungier, infatti consisteva in quattro tronchi d’albero che sorreggevano

un rustico tetto a falde. Non ci sarebbero stati né archi né pilastri né piedistalli né

alcun altro tipo di articolazione formale, solamente le vetrate avrebbero potuto

colmare gli intercolumni.

Una struttura “traslucida” di questo tipo fu realizzata da Sufflot nella chiesa di

Ste.Genevieve a Parigi, iniziata nel 1775. Sufflot, che nel 1750 era stato uno dei primi

architetti a visitare i templi dorici di Paestum, si era riproposto di ricreare la luminosità,

il senso dello spazio e le proporzioni dell’architettura gotica in termini classici, anche

se non proprio romani. A questo fine egli adottò una pianta a croce greca, in cui le

navate erano formate da un sistema di cupole ribassate e di archi tutto sesto, sorretti

all’interno da un peristilio continuo. Il progetto però mostrò cedimenti e la struttura

traslucida pensata da Sufflot venne resa opaca dal figlio che seguì i lavori.

Il compito di integrare le teorie di Cordemoy e la grande opera di Sufflot toccò al

francese Francois Blondel, che, dopo l’apertura della scuola di architettura in rue de la

Harpe (1743), di cui era direttore, divenne il maestro di quella generazione di architetti

detti “visionari”.

Gli architetti visionari, sono quella categoria di architetti che nel periodo neoclassico

guardarono alla ricerca nell’arte greca, alterando l’antichità classica, assumendo, nel

contempo, un'intensa valenza etica ed evocativa, con forti slanci utopici, simbolici e

visionari.

Blondel espose i suoi precetti fondamentali, riguardanti “composizione”, “tipo” e

“carattere”, nel suo “Cours d’architecture”, pubblicato tra il 1750 e il 1770. Il suo

progetto di chiesa ideale, era affine a Ste. Genevieve, mentre articolava ogni elemento

interno come parte di un sistema spaziale continuo, le cui prospettive illimitate

evocavano un senso di “Sublime”.

Il concetto di “Sublime” è coniato dal filosofo Edmund Burke nel saggio “Indagine

sull’origine delle nostre idee di sublime e di bello”. Nell'idea di Burke è sublime "tutto

ciò che può destare idee di dolore e di pericolo, ossia tutto ciò che è in un certo senso

terribile o che riguarda oggetti terribili, o che agisce in modo analogo al terrore"; il

sublime può anche essere definito come "l'orrendo che affascina" ("delightful horror").

La natura, nei suoi aspetti più terrificanti, come mari burrascosi, cime innevate o

eruzioni vulcaniche, diventa dunque la fonte del Sublime perché "produce la più forte

emozione che l'animo sia capace di sentire", un'emozione però negativa, non prodotta

dalla contemplazione del fatto in sé, ma dalla consapevolezza della distanza

insuperabile che separa il soggetto dall'oggetto.Il sublime è legato al terrore, e il

terrore è tanto più terribile se legato alla paura peggiore per l'uomo, ossia la morte.

Questo sentimento di terrore però non deve essere vissuto in prima persona, in quanto

non sarà più sublime ma paura vera e propria. Quindi è necessario che il fenomeno

terribile sia lontano da noi, che siamo invece al sicuro.Il sublime è dunque una forza

distruttrice, mentre il Bello è generatore, poiché legato ai rapporti umani, al rapporto

sessuale. Inoltre mostra l'inferiorità dell'uomo, poiché può essere distrutto da una

qualsiasi violenza naturale, ma allo stesso tempo mostra la sua superiorità, poiché

grazie alla ragione riesce a comprendere e intendere ciò che lo sovrasta. Esso è come

dice Pascal "una canna che pensa".

Il progetto della chiesa di Blondel avrebbe influenzato molto l’opera dei suoi allievi, tra

cui Boullée, che dopo il 1772 dedicò la sua esistenza alla progettazione di opere

“disegnate” rappresentanti edifici così vasti da precluderne la realizzazione. Le opere

di Boullée, infatti, sono l’esempio della purezza e della grandiosità, che simboleggia la

piccolezza dell’uomo in confronto all’immensità dell’universo. La luce per Boullée è lo

strumento di enfatizzazione massima, tale da evocare la presenza del divino. Un

esempio di edificio che porta all’esasperazione l’architettura sdoganandola dalla

funzione è il Cenotafio ad Isaac Newton. Questo a forma sferica rappresenta la

perfezione assoluta, senza soluzione di continuità. [soluzione di continuità: senza

interruzione della continuità continuo] Anche qui è presente l’idea di luce , una luce

nebbiosa durante la notte generata da un fuoco sospeso che ricreasse il sole, mentre

di giorno questo veniva spento per svelare l’illusione del firmamento prodotta dalla

luce diurna attraverso i muri perforati della sfera. atemporalità e paradossalità

Boullée evoca, nelle sue opere, le emozioni di sublime, del terrore e della quiete,

influenzato dal “Genio dell’architettura, o analogia di questa arte con le nostre

sensazioni” di Miezieres, egli generò il suo genre terrible, in cui l’immensità della

visione e la disadorna purezza geometrica della forma monumentale sono combinate

in modo tale da suscitare emozione e ansia.

Boullée immaginò ossessivamente i monumenti di uno stato onnipotente. Egli non subì

influenze delle utopie rurali, ma comunque la sua influenza nell’Europa post-

rivoluzionaria, fu considerevole attraverso l’attività del suo allievo Durand.

Dopo 15 anni di disordine, l’era napoleonica richiedeva strutture nuove e appropriate ,

utili di grandiosità e autorità. Durand, primo insegnante dell’Ecole Poltechinique, cercò

di fondare una metodologia costruttiva, un complemento architettonico al Codice

Napoleonico, grazie al quale si potessero creare strutture economiche e appropriate

mediante dei progetti modu

Dettagli
A.A. 2018-2019
6 pagine
SSD Ingegneria civile e Architettura ICAR/18 Storia dell'architettura

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher giuseppeceravolo di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia dell'architettura Contemporanea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi della Campania "Luigi Vanvitelli" o del prof Manzo Elena.