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ISCORSI INTORNO AL UOCO
Nell’analisi dei quattro autori abbiamo avuto modo di dimostrare che il problema
dell’etnofilosofia africana può essere inquadrato secondo prospettive comune:
1. Non è possibile aggettivare la filosofia: essa è e deve essere universale. Nel suo
significato come ‘scienza rigorosa’, quindi, non è aggettivabile.
2. Per quanto riguarda il dover trattare la cultura senza cadere nell’etnologismo è
anzitutto necessario riconoscere un’identità all’interno della pluralità di contraddizioni
dovuta alla contrapposizione di modernità e tradizione e, quindi, la comunicazione in
Africa (uno dei problemi più importanti).
3. È possibile una riflessione incentrata sul profilo e l’atteggiamento del filosofo
africano? Resta comunque fondamentale il tema della comunicazione.
Il dibattito rimane momentaneamente interno all’Africa anglofona e francofona. L’Africa
lusofona resta tagliata fuori, in ritardo rispetto agli altri. Per questo motivo la filosofia africana
potrebbe essere accusata di ‘esclusivismo’, in quanto esclude completamente l’Africa
lusofona dal proprio dibattito; spetta tuttavia a quella parte dell’Africa di rendersi conto del
proprio stato subalterno e lottare per superarlo. Allo stesso tempo, dev’essere richiesta ad
Africa anglofona e francofona collaborazione, e non una lotta continua. I ‘discorsi intorno al
fuoco’ sono proprio quelli che Lopes auspica vi siano d’ora in poi, dialoghi che coinvolgano
tutta l’Africa, che vadano oltre le barriere pregiudiziali.
Un tema davvero importante e che a lungo viene trattato da Lopes è quello dei paesi
dell’Africa lusofona, che sono stati dimenticati da tutti – dai ‘fratelli’ anglofoni e francofoni
così come dal resto del mondo; paesi in cui si nasce e si muore senza che nessuno se ne
renda conto, si subisce la miseria della povertà, della schiavitù e della guerra (per chi poi?)
nella totale indifferenza da parte del resto dell’umanità, si è ‘dannati della terra’, come
direbbe Fanon. Qui vediamo il grosso fallimento della “carta dei diritti umani”, che non riesce
a tutelare bambini, donne, uomini, persone. Perché ci sia un dialogo tra le culture si deve
realizzare una comunicazione che trascenda la razionalità: la comunicazione più profonda
non avviene per via razionale, infatti, quanto piuttosto grazie all’amore liberatore, frutto di
un vissuto incrociato. Grazie alla sinfonia, che è ciò che l’Africa deve necessariamente
trovare.
C
ONCLUSIONI
La ricerca teorico-filosofica portata avanti fin qui non porta a conclusioni definitive. Nello
svolgersi di questo lavoro si è voluto non solo criticare il metodo etnofilosofico, ma
soprattutto offrire una possibile nuove chiave di lettura; senz’altro la filosofia africana è
diventata una realtà. Occorre però notare come essa sia ancora una ‘poesia’ che, finché
riguarderà l’uomo e il mistero del suo destino storico, sarà sempre ‘ancora da farsi. In tal
senso, la filosofia africana deve farsi voce di speranza in favore della vita contro i
meccanismi di distruzione. E la vittoria più grande sarà quella sul nostro ego.
A S L
PPUNTI PARSI DALLE EZIONI
L’Islam africano, nonostante finora si sia pensato che fosse legato soltanto al Nord Africa,
ha visto estremismi presentarsi anche in altri luoghi, come nel caso di Boko Haram in
Nigeria. Ma perché si presentano così tanti estremismi nel contesto musulmano? La risposta
è semplice: essi sono manifestazione di realtà statali fragili e permeabili a corruzioni (vd.
Algeria negli anni ’80); nonostante nel corso del tempo l’Occidente abbia voluto di fatto
imporre la democrazia su molti Stati africani, la vera ossatura del potere sono rimasti clan e
tribù (il potere “ufficiale” è nulla a confronto: basti pensare a come Gheddafi sia stato fermato
solo quando si è creato un dialogo tra i capi delle 12 tribù più importanti). Un errore degli
Stati occidentali, che pensavano di poter esportare la democrazia – che, in fondo, è cosa
nuova: essa si sviluppa realmente solo tra fine 1600 ed inizio 1700. Infatti, sarà solo Ugo
Grozio nel suo De iuri belli et pacis (1625 ?) che teorizzerà per la prima volta l’esistenza di
un diritto di guerra. E gli effetti del lavoro di Grozio li vedremo durante la guerra di
indipendenza dell’Olanda dalla Spagna (il regno di Carlo V, dove non tramontava mai il
sole): un celebre evento di tale battaglia viene raffigurato nella “Presa di Brera (Las Lanças)”
di Velazquez, in cui è possibile vedere a sx. la cavalleria spagnola con le lance (che danno
il ‘secondo nome’ al quadro, con anche la presenza del comandante Ambrogio Spinola,
mentre a dx. il borgo mastro della città consegnare le chiavi in segno di resa, a patto che gli
spagnoli si impegnino a contenere le truppe (evitando il saccheggio); questo è un palese
esempio di riconoscimento dei diritti naturali delle persone (giusnaturalismo) e della
regolamentazione delle guerre (che ritroveremo fino alla prima guerra mondiale, e ‘tornerà’
dopo la seconda). Ancora oggi il diritto internazionale non è sempre rispettato, basti pensare
alla Guerra del Golfo, quando le truppe americane (?) passeranno dal Kuwait in Iraq senza
aver prima ricevuto il permesso dell’ONU. Oggi come oggi si evita, per esempio, di colpire i
civili (ma spesso non si riesce…), e la guerra sta diventando sempre più un ‘videogioco’ per
mettere in ginocchio lo Stato contro cui si combatte, attraverso una guerra asettica, come
nel caso dell’utilizzo dei droni. Delle poche guerre ‘vere’ rimaste, una è quella oggi in Siria.
Nelle guerre medievali, però, le motivazioni erano solitamente (più o meno apparentemente)
legate alla religione: un caso fu quello del XVI sec., quando fu la guerra civile di religione in
Francia (cattolici vs. calvinisti), tanto terribile che verrà descritta come “peggiore dei
cannibali del Nuovo Mondo”.
Come detto, quindi, nel 1600 si inizierà a parlare di diritto naturale attraverso pensatori come
Ugo Grozio e Spinoza. Con la Rivoluzione Francese avremo un esempio di affermazione
dei diritti fondamentali dal punto di vista anche politico-amministrativo – in seguito vi sarà
l’impero Napoleonico e, tra alti e bassi, si arriverà alle democrazie contemporanee. Ma
siamo davvero sicuri che le nostre democrazie non siano più segnate da rapporti sociali?
Basti pensare a quanto le elezioni dei sindaci tendano ad essere dettate da simpatie ed
amicizie, per capire che non siamo ancora arrivati ad un livello perfetto di democrazia, e
forse mai vi arriveremo. Se non ci sono arrivati Stati come il nostro, è davvero difficile
pensare di poter ‘imporre’ una democrazia a Paesi tanto segnati dalla presenza di tribù
potenti, come quelli africani (anche se nelle civiltà islamiche nordafricane vi è una netta
distinzione dovuta all’assenza di tribalità).
La filosofia africana
Per quel che concerne la filosofia africana noi possiamo attuare una distinzione
fondamentale tra quattro tipi, segnata particolarmente dall’evoluzione anche linguistica (e,
quindi, lo sviluppo di una filosofia in lingua) dovuta all’esperienza (passiva) coloniale:
- La filosofia anglofona, caratterizzata da un forte legame con gli USA (a differenza
della Gran Bretagna), che ha sempre avuto un controllo solo indiretto sull’Africa (a
differenza di quello sul Sudamerica), tant’è che molti intellettuali africani anglofoni si
sono formati in America. Essa è caratterizzata da un approccio tendenzialmente
analitico e da uno spiccato interesse nei confronti della diaspora e la tratta degli
schiavi (1° diaspora: 1500-1600 – grandi piantagioni – capi della tratta: arabi e
berberi, oltre che europei; 2° diaspora: anni della colonizzazione). Infatti, viene
riconosciuta alla cultura africana derivata dalle diaspore una grande importanza
(basti pensare al ruolo acquisito a livello musicale dalla cultura africana in America
nata negli anni ’20 ad Harlem, St. Louis, New Orleans, che portò alla nascita del jazz
– la musica era diventata canale di re-identificazione delle radici africane).
- L’afrocentrismo di Molefi Asante, che arrivava all’eccesso: si trattava, infatti, di una
sorta di “razzismo contro il razzismo”, e si basava sull’idea che tutti coloro che
discendevano da persone africane non avessero nulla a che vedere con europei ed
americani; ha ispirato le Black Panthers, gruppo che ne fu la rappresentazione più
conosciuta. Il distacco con gli europei era tale da non voler nemmeno acquisire il
termine ‘filosofia’, in quanto esso derivava dal greco, favorendo l’uso della parola
‘pensiero’.
- La filosofia francofona, basata invece sul riferimento alla tradizione idealista ed
allo strutturalismo di Sartre (Orfeo Negro): da qui nasce il concetto di negritude (ita.
‘negritudine’). Si perde il forte legame con a diaspora presente, invece, nella filosofia
anglofona, anche perché i filosofi di questo genere vivono in una Francia ormai
disposta in senso anti-coloniale, basata sui concetti di fratellanza politico-culturale,
non legata alle origini (forte legame col marxismo, che in quegli anni vedeva la sua
rappresentazione più importante negli incontri dell’Internazionale Comunista –
d’altronde in Francia, così come in Italia, c’era un forte partito comunista). I filosofi
africani francofoni ed i francesi, infatti, si sentivano vittime dello stesso sistema
economico: i neri americani, invece, non si sono mai posti contro un sistema (essi
rivendicavano diritti all’interno del sistema). “Affratellati dalla lotta contro un sistema
economico comune”, in Francia così come in Senegal e Sierra Leone, questi filosofi
vedono un’occasione per ripartire da zero, cacciando il cosiddetto ‘europeo cattivo’ a
favore degli ‘europei fratelli’, senza ripetere gli errori compiuti in Europa. Questo
sogno (1960), però, verrà convertito in distruzione (guerre civili, ecc.), andando in
frantumi.
- La filosofia lusofona (Mozambico, Capo Verde…) vedrà un forte rapporto con
Portogallo ma anche Italia (grazie alla grossa quantità di aiuti umanitari cattolici
all’interno di quelle zone – per questo motivo molti dei pensatori appartenenti a
questa corrente si sono formati alle Università Vaticane).
Esiste una filosofia che possiamo d