Anteprima
Vedrai una selezione di 9 pagine su 38
Mill riassunto: La libertà, L'utilitarismo, L'asservimento delle donne Pag. 1 Mill riassunto: La libertà, L'utilitarismo, L'asservimento delle donne Pag. 2
Anteprima di 9 pagg. su 38.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Mill riassunto: La libertà, L'utilitarismo, L'asservimento delle donne Pag. 6
Anteprima di 9 pagg. su 38.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Mill riassunto: La libertà, L'utilitarismo, L'asservimento delle donne Pag. 11
Anteprima di 9 pagg. su 38.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Mill riassunto: La libertà, L'utilitarismo, L'asservimento delle donne Pag. 16
Anteprima di 9 pagg. su 38.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Mill riassunto: La libertà, L'utilitarismo, L'asservimento delle donne Pag. 21
Anteprima di 9 pagg. su 38.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Mill riassunto: La libertà, L'utilitarismo, L'asservimento delle donne Pag. 26
Anteprima di 9 pagg. su 38.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Mill riassunto: La libertà, L'utilitarismo, L'asservimento delle donne Pag. 31
Anteprima di 9 pagg. su 38.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Mill riassunto: La libertà, L'utilitarismo, L'asservimento delle donne Pag. 36
1 su 38
D/illustrazione/soddisfatti o rimborsati
Disdici quando
vuoi
Acquista con carta
o PayPal
Scarica i documenti
tutte le volte che vuoi
Estratto del documento

– LA CONNESSIONE FRA GIUSTIZIA E UTILITA' V

– Capitolo 1:

CONSIDERAIONI GENERALI

Sin dagli albori della filosofia, la questione del summum bonum: (ossia il bene più grande, l'ultima

che gli esseri umani dovrebbero perseguire) che è lo stesso dei fondamenti della moralità è stata

considerata come il problema principale del pensiero speculativo.

La scuola intuizionista dell'etica, non meno di quella che potremmo chiamare scuola induttivista,

insiste sulla necessità di leggi generali. Entrambe concordano nel dire che la moralità di una certa

azione particolare non è una questione di percezione diretta, ma di applicazione di una legge a un

caso particolare. Entrambe riconoscono anche, in larga misura, le stesse leggi morali; la loro

diversità sta nel tipo di evidenza cui fanno ricorso e nella fonte da cui traggono la propria autorità.

Secondo la prima, i principi della morale sono evidenti a priori; per ispirare consenso, bisogna solo

che si comprenda il significato dei termini, nient'altro.

Secondo l'altra dottrina, moralmente corretto e scorretto, sono questioni di osservazione ed

esperienza.

Ma entrambe sostengono ugualmente che la moralità dev'essere dedotta da principi; e tanto la

scuola intuizionista quanto quella induttivista affermano, con pari forza, l'esistenza di una scienza

della morale. Eppure, ben di rado tentano di stilare un elenco dei principi a priori che dovrebbero

servire da premesse di questa scienza; e ancor più di rado fanno il minimo sforzo per ridurre quei

diversi principi a un unico principio primo, ossia a una base comune di obbligatorietà.

Alla radice di ogni moralità ci dovrebbe essere un principio o legge fondamentale; oppure, nel caso

ce ne fosse più di uno, essi dovrebbero avere un preciso ordine di priorità; e il principio unico, o la

regola per decidere tra principi diversi in caso di loro conflittualità, dovrebbe essere di per sé

evidente.

Ci si può chiedere fino a che punto gli effetti nocivi di questa carenza si siano poi mitigati nella

pratica, o fino a che punto invee le dottrine morali in cui l'umanità ha creduto siano state viziate o

rese incerte dall'assenza di un parametro ultimo, chiaramente individuato e riconosciuto;

Mancando un principio primo accettato da tutti, l'etica, invece che funger da guida, è diventata

piuttosto una consacrazione dei sentimenti effettivamente provati dagli uomini; il principio di utilità

o, come da ultimo lo ha chiamato Bentham, il principio della massima felicità, ha avuto un ruolo

notevole nella formazione delle dottrine morali.

Per poter provare che una certa cosa è buona, bisogna dimostrare che essa è mezzo per ottenere

qualcos'altro che viene accettato come buono senza alcuna prova. La prova che l'arte medica è

buona sta nel fatto che ci conduce alla salute; ma come potremmo mai dimostrare che la salute è

buona? Una delle ragioni per cui l'arte della musica è buona, è che produce piacere; ma come

potremmo mai provare che il piacere è buono? Se quindi si afferma che esiste una formula

amplissima, e cioè tale da includere tutte le cose che sono buone in sé e per sé, e che qualsiasi altra

cosa buona lo è non come fine ma come mezzo, allora la formula potrà essere accettata o respinta,

ma non potrà certo essere sottoposta a una prova, nel senso in cui comunemente si intende questo

termine.

Il nostro tema rientra nell'ambito di competenza della facoltà razionale.

Esamineremo ora la natura di tali considerazioni; in che modo essi si applicano al nostro caso, e

perciò quale fondamento razionale si possa fornire per accettare o rifiutare la formula utilitarista.

Ma condizione preliminare per accettare la formula o rifiutarla razionalmente è che essa venga

compresa in modo corretto. Credo che il principale impedimento ad accettarla sia proprio l'idea

estremamente imprecisa che di solito ci si fa del suo significato.

Quindi, prima di studiare quali basi filosofiche si possano individuare per accettare il parametro

utilitarista, mi soffermerò un po' a dare qualche esemplificazione della dottrina, cercando di far

vedere con maggiore chiarezza cosa essa sia, distinguendola da ciò che non è. Dopo aver preparato

così il terreno, mi sforzerò quindi, per quanto possibile, di far luce sulla questione, intesa come

questione di teoria filosofica. Capitolo II:

CHE COS'E' L'UTILITARISMO

Chi conosca un minimo la questione, sa bene come tutti gli autori che, da Epicuro a Bentham,

hanno sostenuto la teoria dell'utilità abbiano inteso con questo termine non già qualcosa di

contrapposto al piacere, ma proprio il piacere stesso insieme all'assenza di dolore.

(Eppure, la gran massa della gente cade costantemente in quest'errore da sciocchi, di solito arraffano

il termine utilitarista per indicare chi rifiuta il piacere o è indifferente al piacere).

La dottrina che accetta l'utilità o principio della massima felicità come fondamento della morale

sostiene che le azioni sono moralmente corrette nella misura in cui tendono a procurare felicità,

moralmente scorrette se tendono a produrre il contrario della felicità. Per felicità, si intende il

piacere e l'assenza di dolore; per infelicità il dolore e la privazione di piacere.

Contro la dottrina dell'utilitarismo insorge un'altra categoria di avversari; questi dicono che la

felicità, in qualsiasi forma , non può essere lo scopo razionale della vita e delle azioni umane; prima

di tutti, perché è irraggiungibile: e chiedono sprezzantemente <<Che diritto hai di essere felice?>>

Inoltre, dicono, gli uomini possono fare a meno della felicità.

La prima di queste obiezioni, se fosse davvero fondata, andrebbe dritta alla radice della questione;

infatti, se gli uomini non possono affatto essere felici, allora raggiungere la felicità non può essere il

fine della moralità o di una qualsiasi condotta razionale. Eppure, anche in questo caso si potrebbe

ancora dire qualcosa a favore della teoria utilitarista; l'utilità, infatti, non comprende soltanto il

perseguimento della felicità ma anche la prevenzione o l'attenuazione dell'infelicità; Se per felicità

intendiamo uno stato permanente di esaltazione fortemente piacevole, allora è abbastanza evidente

che è impossibile raggiungerla. Uno stato di esaltazione piacevole dura solo qualche momento, o in

certi casi qualche ora o qualche giorno.

Per chi non ha affetti , né pubblici né privati, le attrattive esaltanti della vita sono fortemente tarpate,

e in ogni caso il loro valore scema man mano che si avvicina il momento in cui la morte mette fine

a tutti gli interessi egoistici; mentre invece, coloro che dietro di sé hanno una scia di affetti

personali, conservano il loro interesse alla vita.

Oltre che per egoismo, la vita può non essere soddisfacente soprattutto quando non si coltiva

abbastanza la propria mente.

Anche la moralità utilitaristica riconosce che gli esseri umani hanno la capacità di sacrificare il

proprio bene maggiore per il bene altrui; si rifiuta solo di ammettere che il sacrificio sia un bene in

sé. Un sacrificio che non faccia aumentare o non miri ad aumentare la somma totale della felicità, lo

considera sprecato.

La felicità, parametro utilitarista di cosa è corretto nella condotta umana, non è la felicità personale

dell'agente, ma quella di tutti gli interessati.

L'utilitarismo richiede a chi agisce di essere rigorosamente imparziale, uno spettatore disinteressato

e benevolo. Nella regola d'oro di Gesù di Nazareth possiamo leggere tutto lo spirito dell'etica

utilitarista. Fare agli altri quel che si vorrebbe gli altri facessero a noi, e amare il prossimo come se

stessi, costituiscono la perfezione ideale della moralità utilitaristica.

Capitolo III:

LA SANZIONE ULTIMA DEL PRINCIPIO DI UTILITA'

Spesso ci si domanda: “Qual è la sua sanzione? Quali sono i motivi per obbedirgli? O, più

precisamente, qual è la fonte della sua obbligatorietà? Da dove deriva la sua forza vincolante?”

La domanda nasce ogni qual volta si richiede ad una persona di adottare un parametro, o di riferire

la moralità a una base su cui non era abituata a porla. La moralità consuetudinaria, quella consacrata

dall'educazione e dall'opinione comune, è l'unica che si presenti alla mente accompagnata dalla

sensazione di essere di per sé obbligatoria.

L'uomo desidera effettivamente la felicità, a prescindere che ci sia o no un fondamento di

obbligazione morale.

La sanzione interna del dovere, quale che possa essere il nostro parametro del dovere, è sempre una

e la stessa: un sentimento nella nostra mente; un dolore più o meno intenso che accompagna la

violazione del dovere, e che nei casi più gravi cresce così tanto, in chi ha educato debitamente la

propria natura morale, da indurlo a rifuggirne come da qualcosa di intollerabile.

La convinzione, già oggi profondamente radicata in ognuno di noi, che siamo tutti degli esseri

sociali, ci induce a sentire un naturale bisogno di armonia fra i nostri sentimenti e i nostri fini da un

lato, e quelli dei nostri simili dall'altro. Se differenze di opinione e di educazione intellettuale

rendono talora impossibile a un uomo di condividere effettivamente molti dei sentimenti altrui, egli

ha tuttavia bisogno di pensare che i suoi veri fini e quelli degli altri non sono in conflitto: che non

sta contrastando il vero oggetto dei desideri altrui, e cioè il loro bene, ma al contrario lo sta

favorendo. Capitolo IV:

QUALE TIPO DI PROVA SI POSSA AMMETTERE PER IL PRINCIPIO DI UTILITA'

La dottrina utilitarista sostiene non solo che bisogna desiderare la virtù, ma che per giunta la si deve

desiderare in modo disinteressato, vale a dire per se stessa.

Secondo la dottrina utilitarista, anche se la virtù non è per natura e in origine una parte del fine, è

però capace di diventarlo; lo è diventata in coloro che la amano disinteressatamente: e costoro la

desiderano e la coltivano amorevolmente, non come un mezzo per la felicità, ma come una parte

della propria felicità.

Che dire, ad esempio, dell'amore per il denaro? In origine non c'è nulla di desiderabile nel denaro. Il

suo valore sta unicamente nelle cose che si possono comprare: nei nostri desideri di cose diverse dal

denaro, desideri che quest'ultimo serve a soddisfare. Spesso il desiderio di possederlo è più forte del

desiderio di usarlo. In questi casi, si può ben dire che si desidera effe

Dettagli
Publisher
A.A. 2014-2015
38 pagine
7 download
SSD Scienze politiche e sociali SPS/02 Storia delle dottrine politiche

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher bertinosonia di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia delle dottrine politiche e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Baldini Artemio Enzo.