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SOGLIA
La figura del rifugiato abita in questa soglia: cerca di attraversarla a causa della sua non-
appartenenza a nessuno Stato. Anche il migrante illegale abita questa soglia, a causa dell’assenza di
relazionalità giuridica. Il fatto che questi due soggetti abitano la soglia fa sì che questi due soggetti
siano deportabili. 20.10
Il concetto di cittadinanza è un concetto particolarmente controverso se si esce da un punto
di vista strettamente legale: è quell’insieme di diritti che un individuo acquisisce, solitamente per
nascita. Solitamente la cittadinanza rinvia ad una comunità di cittadini che condividono una serie di
valori. Solo attraverso la dimostrazione scritta di questi valori si può accedere allo status di
cittadino.
Quando si parla di cittadinanza si va anche al di là del punto di vista culturale, manifestando
un attaccamento ad uno Stato e ai suoi valori.
Nel libro di Engin Isin, curato da Greg Nielsen, Acts of Citizenship, si parla di come i
soggetti rivendicano delle responsabilità e rivendicano lo status di cittadini. Isin parla di come i
cittadini possono sviluppare un modello stabile di comportamento aderente ai valori di uno Stato
(cittadinanza informale) per poter rivendicare lo status di cittadini (cittadinanza formale). Il
soggetto è quindi un attore, che da non cittadino diventa cittadino reclamando una serie di diritti.
Gli atti di cittadinanza non sono quindi compiuti dai cittadini, ma dai non cittadini; questo implica
la rottura di posizioni che sono imposte a priori (rottura di posizioni predefinite).
Questo libro è particolarmente interessante per quanto riguarda le persone (detenute e non)
che anche attualmente non hanno uno status di cittadini. Questo libro dimostra che anche queste
persone hanno il diritto di rivendicare dei diritti.
Isin fa notare che la nozione di atto è una delle nozioni meno indagate dalle scienze sociali,
che tendono a spiegare i fenomeni che hanno una continuità. Isin analizza la parola atto nella sua
forma verbale (agire, che implica il movimento: azioni orientate verso il cambiamento, che hanno
una finalità) e sostantiva (atto, parola che per avere un significato deve essere seguita da un verbo
che la spieghi). L’atto non è per forza un movimento, è un fare degli attori umani.
Un altro aspetto importante è che l’atto implica sempre una decisione. Un atto per diventare
tale ha bisogno di azioni che lo materializzino: se gli atti sono seguiti da una sequenza di azioni,
questo vuol dire che hanno una dimensione spazio-temporale intrinseca.
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C’è anche una dimensione sociale dell’atto: l’atto ha bisogno di diventare sociale per
realizzare il suo significato. In questo senso l’atto è dialogico: si rivolge verso qualcun altro, e sono
le azioni che attualizzano l’atto.
L’atto istituisce una rottura in un ordine di cose date (in un sistema di azioni già costituite).
Introdurre questa rottura significa permettere al soggetto di diventare attore e di cambiare la scena
in cui agiva (che è sempre una scena sociale, abitata da altri soggetti).
Qual è la particolarità dell’atto di cittadinanza? L’atto di cittadinanza deve produrre una
nuova figura di cittadino, inteso come individuo che ha dei diritti. Attraverso l’atto di cittadinanza
diventa attore, cambiando sé stesso e ciò che gli sta intorno.
Bisogna distinguere tra quello che è un cittadino attivo e un cittadino attivista: il cittadino
attivo agisce in un contesto predeterminato, quello attivista crea la scena in cui agire (è una
conseguenza dell’atto di cittadinanza). Gli atti producono degli attori responsabili contro
l’ingiustizia, evocando una giustizia diversa.
Jacques Rancière distingue polizia (ordine istituzionalizzato) e politica (dove il soggetto
prende la parola per rivendicare i propri diritti). Isin è vicino alla posizione di Rancière.
Anche il concetto di emancipazione implica la rivendicazione da parte del soggetto di
determinati diritti.
Gli atti di cittadinanza non hanno bisogno di un fondamento legale: è un modo di agire che
segue dei valori che appartengono ad una legge meno istituzionalizzata (ad una legge diversa).
Un articolo del 2012 di Olivieri, interno ad una rubrica intitolata Immigrant Protest, nella
rivista Citizenship Studies, mostra come gli atti pubblici di protesta dei migranti esibiscono la
condizione di illegalità di queste persone; sono quindi atti politici, che vogliono mostrare e quindi
rivendicare (mostrando pubblicamente qualcosa) determinati diritti. Queste azioni possono in
questo senso essere lette come atti di cittadinanza. 21.10
Nella teoria sulla cittadinanza ci sono teorie molto più critiche di quella di Isin. Gli atti di
cittadinanza possono anche essere qualcosa di creativo.
Le teorie critiche della cittadinanza sostengono che la condizione di chi è cittadino sia una
condizione invidiabile. La popolazione è segmentata in parti che hanno più o meno diritti di
cittadinanza.
Una delle critiche mosse alle teorie degli atti di cittadinanza è che i movimenti di
rivendicazione dei migranti riproducono la logica di inclusione-esclusione, sembrano confermare il
ruolo di dominazione della cittadinanza. 19
Il mondo della mobilità, di fronte al quale ci troviamo almeno a partire dagli anni ’90, è un
mondo di fronte al quale l’Europa di Schengen non vuole bloccare, ma controllare la mobilità: ci
sono tutta una serie di disposizioni che si occupano di selezionare la mobilità. Come conseguenza, il
campo del lavoro e quindi l’economia è più flessibile.
La mobilità è un fenomeno sia spaziale che temporale: si tratta di regolare il passaggio e
regolare la temporalità dei flussi.
La cittadinanza svolge una funzione complementare al controllo della mobilità, permettendo
un’inclusione differenziale delle popolazioni mobili (attribuendogli gradi diversi di cittadinanza): i
livelli di inclusione sono differenti. Non si può quindi parlare di inclusione ed esclusione come
esperienze antitetiche.
I movimenti di rivendicazione dei diritti portati avanti dai migranti non sono movimenti
universali, e la loro inclusione all’interno di un sistema non sarà uguale. Le lotte per la cittadinanza
sono un modo per riprodurre le tecnologie di governo, che settorializzano la popolazione
attribuendogli diversi gradi di diritti.
Esistono dei movimenti che arrivano fino alla piena cittadinanza e che si collocano su un
continuum dove ci sono categorie di persone con diritti diversi.
La prospettiva dell’autonomia delle migrazioni pone l’attenzione sulla mobilità come atto di
libertà ed aiuta a capire che cosa ne è di chi viene escluso dalla piena cittadinanza.
Uno degli aspetti importanti dell’autonomia delle migrazioni è cercare di restituire la
capacità d’azione (agency) ai migranti, senza considerarli dei soggetti passivi.
La teorie dell’autonomia delle migrazioni considera il divenire come una pratica attraverso
cui gli individui (attraverso l’atto della migrazione) cambiano il loro futuro.
In questa teoria si parla di migranti e non di immigrati: non sempre il soggetto svuota della
sua presenza un luogo per riempirne in modo stabile e definitivo un altro. E se la migrazione è un
mondo a divenire, a divenire sono anche le identità dei soggetti.
Bisogna quindi pensare la mobilità come un progetto che non è mai individuale. L’obiettivo
del migrante non è mai la sua ricollocazione in un luogo definitivo, questo è solo l’esito di un
lunghissimo percorso. La migrazione è un processo di trasformazione dello spazio sociale del
migrante: il dove, il come e il quando non sono qualcosa di predefinito, ma sono l’esito di scelte
fatte durante il percorso.
La cittadinanza può diventare l’obiettivo, ma non è per forza l’obiettivo.
Le persone in clandestinità cercano l’invisibilità, per sfuggire al controllo. Laddove la
cittadinanza ragiona in termini di visibilità della persona, l’invisibilità lo è altrettanto, ma in contesti
completamente diversi: l’invisibilità non è mai fine a sé stessa, ma è sempre parte di un percorso.
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Nell’articolo di Dimitris Papadopoulos e di Vassilis Tsianos, After citizenship: autonomy of
migration, organisations ontology and mobile commons, i mobile commons (beni comuni di
mobilità) sono una serie di informazioni utili per poter portare a termine un viaggio, e sono create
dai migranti. Queste informazioni girano attraverso le tecnologie. Sono conoscenze invisibili che
sostengono la mobilità. I migranti hanno quindi capacità d’azione: creano e condividono
informazioni attraverso le stesse tecnologie che vengono usate per controllare il loro movimento.
L’immagine del migrante come vittima e come oggetto dell’intervento umanitario viene in
questa prospettiva decostruita.
Raffaella Puggioni, in Speaking through the body: detention and bodily resistance in Italy
(contenuto in Citizenship Studies), analizza i movimenti di resistenza in un CIE, e analizza dei casi
in cui i migranti utilizzano il proprio corpo come espressione di assenza di diritti. Queste persone si
sono auto lesionate, per cercare di comunicare l’impossibilità di comunicare con l’esterno. I
migranti hanno quindi parlato attraverso il corpo: in una condizione normale il loro corpo sarebbe
muto, e quindi attraverso questi atti estremi rendono il loro corpo interrogabile.
Rygiel, in Bordering solidarities (contenuto in Citizenship Studies), analizza come il
significato di ciò che avviene nel campo profughi di Calais è dato dalla confluenza di tre
rappresentazioni, che esprimono la capacità creativa dei migranti. La prima è una risposta alla
rappresentazione che i mass media e gli Stati danno del campo profughi. Il lavoro di decostruzione
di questo significato è quindi frutto della capacità dei migranti di creare il proprio significato. I
migranti danno così un significato politico alla propria azione. Una comunità politica non è
comunque uno spazio di solidarietà: ci sono comunque dei conflitti al suo interno. La terza
rappresentazione ha a che vedere con le rappresentazioni degli attivisti che lavorano nel campo.
Rigby e Schelembach, in The impossible protest (contenuto in Citizenship Studies),
analizzano il movimento che precede lo sgombero del campo di Calais e dove c’è una fortissima
presenza di no border, che vorrebbero appunto abolire i confini. La polizia interviene e separa
fisicamente chi ha e chi non ha diritti: si ripropongono quindi delle segmentazioni nello spazio
sociale. La divisione è tra chi ha la p