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COLTIVAZIONE DEI VIRUS

I virus vengono coltivati in laboratorio per tre motivi principali:

  • Diagnosi dell'infezione;
  • Ricerca;
  • Produzione di antigeni per vaccini.

Per coltivare i virus in laboratorio è necessario impiegare animali (a scopo di ricerca), uova embrionate o colture cellulari (più comunemente utilizzate).

COLTURE CELLULARI

I virus sono incapaci di moltiplicarsi in terreni artificiali come quelli utilizzati per coltivare i batteri, infatti necessitano di cellule viventi per la loro replicazione.

Le colture cellulari sono ottenute da tessuti o organi, prelevati da animali. Il tessuto è opportunamente trattato per ottenere le singole cellule che vengono poi messe in coltura in appositi terreni di crescita. Questi terreni sono costituiti da soluzioni contenenti sali minerali, zuccheri, vitamine, aminoacidi e proteine, sostanze nutritizie di cui le cellule hanno bisogno per crescere. Inoltre possono essere addizionati con antibiotici, per prevenire le infezioni batteriche.

contaminazioni batteriche. Il pH del terreno deve essere tra 7,2 e 7,4. Per coltivare le cellule si utilizzano delle piastre Petri contenenti il terreno a cui si aggiungono le cellule, in alternativa si possono utilizzare dei contenitori di forma rettangolare dette fiasche. A questo terreno viene aggiunto siero fetale bovino al 10-20% per fornire integratori necessari per l'accrescimento delle cellule. Al momento dell'infezione, il terreno di coltura viene sostituito con un terreno di mantenimento con circa 1,5% di siero, che permette soltanto una scarsa moltiplicazione delle cellule.

Quando le cellule hanno formato un tappeto (detto confluente) di cellule dello spessore di una singola cellula (monostrato), si possono aggiungere i virus. Le colture primarie hanno una vita finita (al massimo qualche decina di generazioni), dopo di che la capacità moltiplicativa si arresta e le cellule degenerano. Una volta che le cellule formano il confluente possono anche essere espanse.

mediante tripsinizzazione (vengono digerite le proteine della matrice cellulare che permettono l'attacco al substrato, di conseguenza si ha il distacco delle cellule dal terreno) con successiva diluizione in altre fiasche per andare a formare altri monolayer confluenti che costituiscono le colture secondarie. Colture cellulari continue Queste cellule derivano da mutazioni spontanee di colture primarie, da cellule tumorali o da cellule normali trasformate in vitro. Sono caratterizzate dal non andare incontro a senescenza. Si dicono quindi immortali e possono essere coltivate in modo indefinito senza degenerare. L'immortalità di queste cellule è dovuta alla mutazione dell'enzima telomerasi (risulta attivo, a differenza delle normali cellule somatiche dove non è attivo) che previene l'accorciamento del telomero durante la replicazione (ripristina le sequenze rimosse durante la replicazione). Svantaggi delle colture cellulari - Servono fino a 4
  1. settimane per avere un risultato;
  2. Presentano spesso bassa sensibilità (dipendente anche dalle condizioni del campione);
  3. Rischio di contaminazione batterica;
  4. Sensibilità a sostanze tossiche presenti nel campione;
  5. Necessità di linee cellulari diverse per diversi virus e difficoltà nell'approvvigionamento di cellule primarie.

Sono poco usate per la diagnosi di routine ma sono molto usate per l'isolamento virale e la ricerca.

TITOLAZIONE DEI VIRUS

La titolazione virale o saggio virale o conta virale è il conteggio, fatto in laboratorio, del numero di particelle virali di un dato virus in esame presenti in un campione biologico. Viene utilizzata nei campi della ricerca microbiologica, della diagnostica e della produzione di vaccini antivirali, tutte situazioni che richiedono la conoscenza della quantità di virus in analisi o uso.

Conta delle placche

Il metodo della conta delle placche si basa sull'idea che, infettando con un

virus animale una coltura cellulareo con un batteriofago una coltura batterica, la grandezza del focolaio di infezione sia proporzionale al numero di particelle virali che lo ha causato, ossia che maggiore è il numero di particelle virali infettanti inoculate più evidenti e numerosi saranno gli effetti citopatici rilevabili sulla coltura. Questo metodo è utile per rilevare esaggiare i virus in grado di lisare la cellula ospite e quelle che la circondano, producendo le tipiche placche dilisi. Per la conta si procede infettando varie colture (contenute in provette) grazie all'inoculo in ciascuna diesse un di volume V della soluzione a concentrazione C ignota contenente il virus (avendo cura di agitare la provetta per spandere la soluzione su tutta la superficie). Prima dell'inoculo del virus va eliminato il terreno dalla coltura cellulare poiché questo contiene una grande quantità di liquido che potrebbe influire sulla diffusione delle particelle virali.

Successivamente si incubano le provette a 37 °C per 45 minuti/1 ora, tempo che permette l'adsorbimento delle particelle virali e per questo detto tempo di adsorbimento.

Teoricamente, se ogni virus presente nel volume V di soluzione infettasse una sola cellula, basterebbe contare il numero di cellule lisate, ossia che sono state infettate, per conoscere il numero di particelle virali N in essa presenti e ricavare facilmente la concentrazione virale C secondo la formula NC= V.

Tuttavia ciò non è possibile poiché normalmente all'interno dei campioni virali estratti da colture o animali infetti è presente un numero molto elevato di particelle virali, cosicché solitamente più di una infetta contemporaneamente una stessa cellula. Inoltre i nuovi virioni liberati dopo le infezioni primarie andrebbero a produrre per diffusione nuove infezioni su altre cellule anche a grande distanza, rendendo impossibile risalire al numero originale di particelle virali.

Per ovviare a questi difetti vengono utilizzati due accorgimenti:
  • Vengono utilizzate soluzioni molto diluite della soluzione virale originale, in maniera che l'inoculo contenga un numero di particelle virali notevolmente più piccolo rispetto al numero di cellule contenute nella coltura e quindi risulti molto improbabile che due particelle virali infettino la stessa cellula. Inoltre agitare la provetta e spandere la soluzione su tutta la superficie della coltura contribuisce ulteriormente a rendere meno probabile che le particelle virali infettino la stessa cellula o cellule vicine tra loro;
  • Vengono aggiunte sostanze gelatinose (solitamente gel di agar) alla coltura che la rendono semisolida e impediscono alle nuove particelle virali di infettare cellule lontane dalla prima cellula infettata. Ne consegue che le infezioni secondarie si verificheranno solo nelle vicinanze della sede di infezione primaria e che per ogni particella virale iniziale otterrò una ed una sola.
placca di lisi sulla coltura. A questo punto le placche possono essere colorate con vari metodi e contate. Dato che la concentrazione della soluzione virale originale C è ignota non posso sapere quanto diluirla per ottenere inoculi adatti alla conta delle placche. Procedo quindi per tentativi infettando varie colture monostrato con un volume costante V di soluzioni a diluizione sempre maggiore. Da ognuna delle soluzioni diluite-1 nell'ordine di 10 viene quindi prelevato un volume V che viene inoculato alla coltura per produrre le placche dilisi; le soluzioni a concentrazione maggiore produrranno i difetti descritti, rendendo impossibile la conta, mentre quelli a concentrazione adeguata permetteranno di contare le placche e risalire al numero originario di particelle virali presenti nell'inoculo a concentrazione c. Solitamente vengono prodotte colture infettate con diluizioni fino a 10^-7 o 10^-8. Tra queste vengono scelte, per calcolare la concentrazione iniziale, quelle.

Che riportano un numero di placche compreso tra 50 e 70. Ciò perché, per ragioni statistiche, campioni diluiti troppo o troppo poco, e di conseguenza con un numero troppo piccolo o troppo grande di placche, ridurrebbero la sensibilità del metodo utilizzato. Per lo stesso motivo più colture sono infettate con inoculi a stessa diluizione, in modo da avere dei gruppi di controllo con cui confrontare i dati. In questo caso il numero reale di placche sarà considerato il numero medio di placche per coltura.

Emoagglutinazione

Molti virus con envelope sono dotati di glicoproteine di superficie (peplomeri) note come emoagglutinine. Queste sono importanti recettori virali capaci di legare residui di acido sialico presenti sulla membrana cellulare dei globuli rossi e quindi di promuovere sia il legame alla cellula bersaglio che l'emoagglutinazione. Quindi se si aggiungono globuli rossi di una appropriata specie animale (solitamente di coniglio o di cavallo, ma anche

di topi geneticamente ricombinati umanizzati) alle colture in cui il virus si sta replicando, questi silegheranno tenacemente alla superficie delle cellule, grazie alla particolare ricchezza di acido sialico dellasuperficie dei globuli rossi.

Il test di emoagglutinazione per la titolazione virale prevede la distribuzione di 100 μL di PBS (tampone fosfatosalino) in ogni micropozzetto (si usano piastre con 96 micropozzetti) tranne nella prima colonna. Nella primacolonna andranno messi 200 μL della soluzione virale. Dal primo pozzetto si prelevano 100 μL e si passanonel pozzetto successivo fino ad arrivare all’ultimo pozzetto (gli ultimi 100 μL vengono buttati). In ogni pozzettosi aggiungono poi anche 100 μL di sangue. Le diluizioni della componente virale sono fondamentali percomprendere la capacità ed il grado di emoagglutinazione. Dopo 24/48h si osservano i risultati.

Se il virus presenta sulla propria superficie le emoagglutinine, provocherà

L'aggregazione dei globuli rossi, impedendone così una normale precipitazione sul fondo del pozzetto. Al termine della procedura si prosegue con la lettura dei risultati. Le diluizioni che presentano un punto rosso sul fondo non hanno agglutinato, mentre le diluizioni che presentano un colore rosso diffuso hanno agglutinato. L'ultima diluizione in grado di agglutinare rappresenta il titolo virale.

DIAGNOSTICA EIA

Per individuare un particolare anticorpo si utilizza l'antigene, contro cui è diretto tale anticorpo, il quale andrà a legarsi con quest'ultimo, se presente. Oppure, in modo speculare, è possibile utilizzare un particolare anticorpo per rivelare l'antigene incognito. Questa intercambiabilità di antigeni e anticorpi come legandi e come rivelatori spiega l'enorme versatilità delle tecniche immunoenzimatiche.

La presenza del complesso antigene-anticorpo così formatosi, reso visibile con particolari procedure,

ati dalla sigla ELISA, dall'inglese Enzyme-Linked Immunosorbent Assay) è la capacità di rilevare e quantificare la presenza di specifici anticorpi o antigeni in un campione biologico. L'ELISA si basa sull'interazione tra l'anticorpo o l'antigene cercato e un anticorpo coniugato ad un enzima. Questo anticorpo coniugato, noto come anticorpo secondario, è in grado di legarsi specificamente all'anticorpo o all'antigene di interesse. La procedura di ELISA prevede diverse fasi. Inizialmente, il campione biologico viene immobilizzato su una superficie solida, come una piastra di microtitolazione. Successivamente, viene aggiunto l'anticorpo primario specifico per l'anticorpo o l'antigene cercato. Dopo un'incubazione, viene effettuato un lavaggio per rimuovere eventuali residui non legati. A questo punto, viene aggiunto l'anticorpo secondario coniugato ad un enzima, che si lega all'anticorpo primario. Dopo un secondo lavaggio, viene aggiunto un substrato per l'enzima, che produce una reazione chimica che può essere rilevata tramite uno strumento di lettura. La quantità di anticorpo o antigene presente nel campione biologico può essere determinata misurando l'intensità della reazione chimica generata dall'enzima. Questa intensità è proporzionale alla concentrazione dell'anticorpo o dell'antigene cercato nel campione. L'ELISA è ampiamente utilizzato in ambito diagnostico e di ricerca, per la rilevazione di malattie infettive, autoimmuni e tumorali, nonché per la determinazione di concentrazioni di farmaci e sostanze chimiche. Grazie alla sua sensibilità e specificità, l'ELISA rappresenta uno strumento fondamentale per la medicina di laboratorio.
Dettagli
Publisher
A.A. 2020-2021
108 pagine
SSD Scienze biologiche BIO/19 Microbiologia generale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Dotty@&€ di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di microbiologia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia o del prof Sabia Carla.