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Svevo un simbolismo allegorico “Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo
alla salute”, in Bassani un simbolismo concreto “quale profezia, più di quella che promette l’inevitabile
Nulla finale, sembra destinata a (…) rimanere inascoltata?”. Il Nulla finale bassaniano parifica il
mitologema classico della morte (nei Sepolcri foscoliani) richiama la “soluzione finale” denominata
riguardo la tragedia della Shoah, il genocidio ebraico.
IV . La passeggiata prima di cena
Sono edite diverse versioni dell’opera Le cinque storie ferraresi, a partire dal ’51 fino al 1980.
Presenti comparazioni storiche tra la borghesia ferrarese (ed il ceto ebraico) di fine ‘800 e la borghesia
laico-cattolica ed ebraica nel periodo cruciale delle leggi razziali (1937): pur essendo tempi storici
ideologicamente diversi, non sono opposti.
Tecniche stilistiche. All’interno della narrazione, Bassani utilizza l’escamotage delle parentesi per gremirla
di più nei diversi piani di prospettive spazio-temporali, si apre un varco per una riflessione saggistica. Il
frequente uso della citazione messa tra virgolette è segnale del realismo dell’autore nella descrizione di
psicologie personali, ideologie cittadine e clima culturale generale. Presente un coro, che esprime una
pluralità di punti di vista spesso oggetto di moralismi, di ceti abbienti e piccolo-borghesi: giudica gli eventi
ferraresi per quello che idealmente simbolizzano. È anche lo stile di scrittura a dare orientamento
ideologico: nella versione del ’56 la coerenza stilistica armonizza le riflessioni storiche e socio-
antropologiche. Riguardo la climax, relativamente alle varie edizioni abbiamo una climax ascendente fino al
’56, in cui è culminante, per divenire poi dal ’73 climax discendente (anticlimax, preferenza della litote).
Premessa centrale del racconto è la rivalità Bologna – Ferrara, vista dal punto di vista della seconda,
defraudata dell’opportunità di sviluppo a causa dell’importanza del nodo ferroviario bolognese. Singolare
parallelismo tra la vita economica ferrarese e la vita professionale di Elia Corcos , cui mancò il
riconoscimento nazionale dei meriti medici (a favore del bolognese Murri): le loro sfortune sono risultato di
una sola acrimonia verso alcune figure politiche (la sfortuna economica di Ferrara trova il suo raddoppio
nel mancato riconoscimento nazionale di Corcos); fin dal ’51 il coro avanza la tesi che tutto ciò sia
imputabile a un complotto socialista e massone. Quest’ultimo Bassani lo nomina come “famigerate
dottrine materialiste”, sintagma allusivo del complotto giudaico-comunista-massonico fascista. Paradossale
questa analogia storica tra complotto socialista-massonico contro Ferrara e complotto ebraico-comunista-
massonico utile a giustificare le leggi razziali. Le analogie sopracitate scompaiono, censurate dalla
definizione di una ‘furbizia localistica attuata da un deputato socialista di Bologna’, lasciando trasparire una
successiva volontà dello scrittore di cancellare le prove di un uso beffardo e provocatorio della storia .
Evidente è l’odio dell’ebreo antifascista verso gli ebrei ciecamente fascisti. Dal ’73 al parallelismo tra la
sfortuna ferrarese e quella di Corcos si aggiunge un preambolo: l’insuccesso del medico sembra dovuto
all’infausto matrimonio con la modesta contadina Gemma Bondi, datato 1890, anno d’inizio anche della
rovina economica ferrarese. Gemma e la sua famiglia infatti rappresentano l’accerchiamento delle classi
subalterne che assediano il centro cittadino , spazio dei ceti benestanti, stimolando un senso di pericolo nelle
classi aristocratico-borghesi. È l’ossessione tipicamente fascista per il complotto, a identificare l’ebreo
borghese rispetto a sua moglie nel racconto -e la cultura di una borghesia economicamente frustrata nella
storia-: Gemma diventa l’ebreo agente di trame ordite volte alla rovina economica della nazione ospitante
agli occhi fascisti. Ma il complotto della Brondi è pura invenzione: Elia l’ha scelta razionalmente, per le sue
doti da moglie tanto care comuni anche agli elogi fascisti, sostenitori della donna di campagna come
portatrice di virtù incorrotte. Il 1925, anno d’innesto per le leggi speciali per la dittatura, è nel racconto
l’anno in cui Corcos sposa con rito cattolico Gemma , matrimonio aderente alle caratteristiche del regime.
Elia Corcos è giudicato dal narratore doppiamente per elementi di matrice fascista: (1) tumula il figlio nel
cimitero israelita per non dispiacere la sua gente e (2) la sua visione fascista della famiglia premia la moglie
per le italiche virtù. Nell’episodio della celebrazione ebraica emerge il concetto elitario di gruppo e la forte
esigenza di separazione sociale quando la famiglia Brondi è giudicata pericolosa perché numerosa e
(volontariamente?) irrispettosa della tradizione ebraica.
Gli aspetti autoritari e meschini dell’ebreo borghese Corcos sono esaltati dalla citazione di un’aria dell’Aida
(che sparirà nell’edizione del 1980): “vieni diletta, appressati – schiava non sei, né ancella”. Nel racconto
del ’56 vi è un severo ritratto dei comportamenti schiavisti di Elia nei confronti della moglie; l’afflizione di
quest’ultima sarà compresa dalla sorella, dopo la morte di Gemma, che noterà l’immersione totale dell’ebreo
negli studi scientifici, ma che sarà anche narratrice dei pregi del padre di Elia, Salomone, emblematico
dell’ età dell’oro ebraica –coincidente all’ Unità di Italia . La figura del vecchio marca la distanza
generazionale tra il padre, ebreo radicato nella tradizione e religione, legato a un felice momento italiano, ed
il figlio, ebreo affine all’ateo materialismo, positivista insensibile ad ogni passione civile. Altra colpa di Elia
l’adulterio, estivo con la Duchessa che lui seguiva e assistiva nelle sue vacanze.
Nella sua netta posizione anti-positivista Bassani mira il tipico uomo razionalista liberal-borghese, lo stesso
prototipo esaminato da Michelstaedter quando ne La persuasione inserisce un dialogo il cui perno è l’ironia
su un rappresentante della ragione, imperturbabile da opinioni, sentimenti e debolezze umane “’come vede’
aggiunse poi trionfante, sorridendo del mio smarrimento ‘sono in una botte di ferro, come si suol dire’”
(M.), dialogo molto simile a “il segreto dell’immortalità: che è quello di non lasciarsi raggiungere dalle
emozioni” (B.).
V . La persuasione e la rettorica
Michelstaedter e Pirsig, sebbene provenienti da diverse identità storiche, sono entrambi portatori di
un’esperienza che è pensiero in solitaria lotta contro il soverchiante mondo delle illusorie razionalità : sia
La persuasione sia Lo zen affermano la tradizione dell’uomo in rivolta contro l’arbitrio della necessità e
dell’utilità e richiamano quella concezione dell’assoluto per la quale la vita può essere bellezza, perfezione
ed unità quando si va oltre i fondamenti scientifico-razionali . Entrambi gli autori hanno considerato Gesù
come archetipo del ribelle e del martire : se tornasse oggi a divulgare il suo progetto di redenzione sarebbe
considerato da internare, perché divulgatore di rinnovamento in una società soddisfatta dei propri valori. Un
ruolo come quello di Gesù, intrapreso similarmente da entrambi gli autori, può portare al tracollo personale:
al termine della loro ricerca non vi è stata infatti la gioia della verità ma la lacerazione dell’io.
La ricerca della persuasione per Michelstaedter quanto della quality per Pirsig, nutritasi di contenuti
indeterminati (la Vita, la Morte, l’areté…) conduce alla follia per l’impotenza della coscienza personale
rispetto alla natura imperscrutabile dell’oggetto di ricerca . L’Assoluto si conosce infatti solo nella forma
del suo desiderio. Follia e morte diventano per i ricercatori il punto d’arrivo di una sovrabbondante tensione
critica: la morte libera da una pienezza diventata incontenibile . Nietzsche segnala però la positività della
follia “è la follia che ha aperto la strada al nuovo pensiero, che ha infranto il potere di una venerabile
consuetudine”; Pirsig la interpreta come strumento di una conoscenza arcaica. Anti-platonismo ed anti-
aristotelismo sono ulteriori direttrici di pensiero comuni ai due autori: entrambi ribaltano il luogo comune
accettato dai due filosofi che vuole il logos (la parola, intesa come componente delle definizioni semantiche)
partecipe della filosofia, sostenendo che il pensiero solo fino a Socrate esprime una sostanza morale. La
comparsa della mentalità scientifica, e la concezione di filosofia come scienza, è il punto di rottura tra la
tradizione dell’essere e quella dell’essere razionale, del tutto priva di persuasione e quality. Questi valori
infatti invocano un pensiero antisistematico che si oppone alla dottrina platonica ed aristotelica.
I due scrittori sostengono che il sistema dei valori dominanti , la società attuale, riduca gli uomini a
individui-orologio, mansuefatti, riprendendo anche la critica all’illusorio titanismo del piccolo-borghese
fatta da Nietzsche, inducendo a condurre uno stile di vita che dia una relativa sicurezza sociale. Nietzsche,
Michelstaedter e Pirsig puntano il dito contro la pedagogia autoritaria e la sua funzione coercitiva, da cui
scaturisce un’istruzione passivamente enciclopedica; Nietzsche pone l’accusa alla scuola tedesca,
Michelstaedter definisce il maestro “un uomo che sta esercitando violenza sul suo simile”, Pirsig nota che
“questo cieco dare nomi alle cose, ha ucciso lo spirito creativo dei suoi allievi” e che “la scuola insegna ad
imitare”. Ogni approfondita forma di conoscenza deve partire dal sostegno naturale della vita intuita nei suoi
fondamenti originar i . La critica del filosofo e dello scrittore non è solo verbale ma interna al sistema:
Michelstaedter infrange i confini della tesi di laurea per farne un’opera espressiva, Pirsig conduce la forma-
Socrate all’interno dell’università. La scienza è il sistema che regola la realtà secondo criteri interpretativi
causanti caos: “Lo scopo del metodo scientifico è scegliere una singola verità fra molte ipotetiche (…)
moltiplicando i fatti (…) la scienza stessa conduce l’umanità (…) a verità relative, molteplici, indeterminate
(…) che una conoscenza razionale dovrebbe avere il compito di eliminare” (P.).
In Michealstaedter e Pirsig il vero sapere: (a) presuppone un rapporto con la tradizione che ac