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Le relazioni che si stabiliscono tra bambini sono un contesto di esperienza sociale tra individui in parte senza
diretta mediazione dell’adulto: socializzazione secondaria. Lo studio per le relazioni tra i bambini è
relativamente recente (anni ’70) con la diffusione dei servizi educativi per l’Infanzia perchè:
Fino agli anni ’70 hanno dominato le teorie di Piaget, la psicoanalisi e il comportamentismo: nessuna
• considera le relazioni tra pari. Piaget ha affrontato la cooperazione tra pari dicendo che alcune influenzano
lo sviluppo, ma vede lo sviluppo sociale come riflesso di quello cognitivo. La psicoanalisi ha posto al
centro la relazione con il genitore (madre). Approccio interattivo-costruttivista spostamento a prime
interazioni tra pari.
Nuove istituzioni, contesti dove è possibile studiare lo sviluppo infantile dentro situazioni relazionali molto
• articolate con molti soggetti e non familiari.
Le interazioni reciproche tra bambini sono regolate da precisi meccanismi e processi relazionali. Corsaro
ipotizza delle vere culture dei pari, basate su processi di riproduzione interpretativa delle culture degli adulti,
manifestazione della conoscenza sociale. Le relazioni sono: amicali, organizzazioni gerarchiche, dominanza,
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preferenze sociali, gestione del potere. Ciò rimanda a una pluralità di dinamiche e significati che si basano su
una serie di distinzioni:
Dimensione dell’orizzontalità e di verticalità. Introdotta da Hartup per differenziare le relazioni tra
• bambini con quelle con gli adulti. Quelle orizzontali favoriscono comportamenti di natura cooperativa e
competitiva. La linea di definizione delle due non è però così netta perchè si hanno spesso delle sottili
differenze d’età.
Ricerche indagano le relazioni tra pari come contesti apprendimento: vedono fondamentale il ruolo del
tutoring dove il bambino che nell’interazione possiede più competenze (ed è capace di esprimerle) riesce
ad inserirsi nella ZSP degli altri, favorendone l’apprendimento e svolgendo un ruolo di scaffolding
(sostegno alla conoscenza). Secondo Doise e Mugny la conoscenza si acquisisce con regolazioni di tipo
relazionale. Per Baumgartner, Bombi, Cannoni i piccoli sono più sensibili alle differenze di età e
scelgono maggiormente coetanei più grandi.
Numerosità, genere sessuale sono altre caratteristiche significative per le dinamiche interazionali
•
Nel tempo si sono sviluppate varie esperienze di gruppi misti: interesse alle ragioni pedagogiche che
sottostanno alle divisioni.
Montessori: prima esperienza di classi eterogenee (classi verticali), dette Case dei bambini, dove convivono
bambini dai 3 ai 6 anni in raggruppamenti verticali, sostenuti dall’idea che bambini di diverse età si aiutano
perchè tra piccoli e grandi si cerano situazioni di insegnamento (osmosi mentale): i grandi come maestri, i
piccoli come ammiratori. L’ambiente è caratterizzato da limitazioni, ma non separazioni. Per lei gruppi di età
omogenea crea solo competitività, invidia, scarsa solidarietà e situazione a-realistica, artificiale
Verba e Isambert: osservano le modalità di interazione tra bambini di età differenti dove i più grandi sono
in aiuto/sostegno dei piccoli. Si creano: modalità di collaborazione, modalità di organizzazione per tutela,
modalità il più vecchio come punto di riferimento o di imitazione organizzatrice.
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“Piccoli-medi-grandi” sono le 3 voci sulla quale sono pensate/organizzate e sezioni nei nidi e nell’Infanzia
che sono suddivisi per fasce d’età. Inoltre nelle tre sezioni vengono individuati sottogruppi (piccoli grandi,
grandi piccoli, medi grandi, medi piccoli). Il gruppo misto non è una novità ma una formula che attualmente
è una delle opzioni più diffuse. Alcuni servizi educativi si sono distinti per aver scelto questa formula con
sezioni dai 3 mesi a 3 anni di vita. L’ottica è comunque quella di riservare una sezione specifica per i
bambini sotto l’anno di vita.
I gruppi omogenei erano preferiti perchè ritenuti in grado di facilitare lo sviluppo infantile e il lavoro di
progettazione dell’educatore/insegnante. Si è passati a classi di bi-età con periodi di sperimentazione, fino ad
arrivare ad oggi dove la più apprezzata è la sezione mista (scelta anche per necessità legata al minor numero
di ore di compresenza e l’organizzazione in sè della scuola). Questo trend sta salendo anche a seguito delle
indicazioni ministeriali che hanno aumentato del 10% la capienza delle classi. La numerosità del gruppo è
variabile di grande rilievo che incide sulla possibilità di socializzazione tra i bambini e sui diversi tipi di
relazione.
La scelta della verticalità sostituisce la formazione tradizionale delle sezioni/classi per diverse ragioni:
possibilità di iscriversi prima (anticipazione) e ciò comporta il ri-calibrare la suddivisione per età per
• organizzare i gruppi
aspetti amministrativi: abbattere le liste di attesa co tutti i posti disponibili coperti in quanto si adotterebbe
• un’unica lista di attesa per tutte le età. Qualunque sia l’età del bambino che se ne va il suo posto viene
attribuito a un altro indipendentemente dall’età.
prospettiva pedagogica: sollecita riflessioni e revisione di spazi, arredi, materiali e lo stile educativo
• dell’adulto. Il gruppo misto accoglie le differenze, occasione anche per muoversi in un contesto più
naturale; incontrare un maggior numero di modelli, prototipi di comportamento per trovare quelli più
consoni al proprio apprendimento e benessere. Anche i più grandi traggono beneficio dai piccoli
sviluppando atteggiamenti di responsabilità, azioni di cura di routine, torna indietro in situazioni passate.
Per adulti abituati a confrontarsi con un’età alla volta hanno il limite di far fatica a soddisfare gli interessi nel
medesimo tempo. Interagire con diverse età implica una flessibilità che si deve calibrare su tre livelli,
liberandosi dall’idea che l’uguaglianza tra bambini è fare tutti insieme, nello stesso momento, nello stesso
modo. Ciò porta a riflettere sul proprio ruolo, mettendo in discussione le aspettative sull’età osservando con
maggiore cura. Le immagini che ci ispirano e che noi costruiamo sull’infanzia hanno una rilevante influenza
sui processi educativi e sulla loro differenziazione. L’obiettivo primario nei servizi educativi è il benessere
del bambino.
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4. Il nido nel luogo di lavoro (Zaninelli)
Accanto agli asili nido tradizionali sono stati inseriti i servizi innovativi e sperimentali: nidi aziendali e
interaziendali: attivazione e la gestione da parte di aziende di nidi o micronizzi al loro interno.
Riportano alla mente le camere di allattamento del 1950 in Italia nati nelle fabbriche in risposa all’esigenza
di cura della prole da parte delle donne lavoratrici con fini assistenziali e di custodia, andando incontro a chi
non poteva badare ai propri figli (senza aspetti di natura educativa). Nel dopoguerra questo luogo di lavoro
prosegue (nido Olivetti, nido Enel…): bassa qualità per personale non qualificato, riproduzione di nidi
assistenziali e ospedalieri. Alcuni invece si distinguevano per qualità e validità dell’offerta aperta alle
famiglie del territorio (non solo dipendenti) come il nido Olivetti.
1971 legge per istituire gli asili nido fissando una programmazione e i Comuni procedettero alla rilevazione
di molte tratture di nidi aziendali. Nidi di qualità si sostituiscono a nidi territoriali, tradizionalmente inteso e
gestiti dal Comune. Nei 20 anni successivi i nidi tradizionali non si sono diffusi in modo omogeneo sul
territorio nazionale. Anni ’90 si risveglia l’interesse per la creazione di asili nidi da parte di aziende e di
privati. Nel 2001 (disegno di legge) viene riconosciuto all’asilo nido l’importante contributo di sostegno alle
famiglie e stabilisce la realizzazione di servizi d’infanzia tradizionali o innovativi: centri infanzia, nidi
integrati, nidi famiglia, nidi aziendali (destinati ai figli dei dipendenti). Momento di grande successo perchè
molte aziende pensano sia meritorio realizzare il nido in azienda (alcune lo fanno per ragioni di immagine).
Anni’90 in Lombardia si diffondono iniziative per l’infanzia a carattere privato in significativo aumento.
La diffusione di nidi aziendali: al Centro 66%, al Nord 33%. Le ragioni per una diffusione significativa in
Lombardia è attribuibile alle caratteristiche socioeconomiche e culturali: ricco tessuto imprenditoriale, tassi o
elevato di donne in età fertile nel mondo del lavoro. Anche qui non vi è una distribuzione uniforme sul
territorio per il forte sbilanciamento del nord/centro a scapito del sud. Hanno una dimensione media (30/40
posti) che si appoggiano ad altre aziende o al comune/regione. Spesso sono ceduti a terzi (imprese
specializzate/cooperative); i dipendenti hanno rette variabili (da 200 a 500€ /mese).
Il mondo politico e quello pedagogico si sono sempre confrontati sulle questioni che riguardano i più piccoli,
il loro benessere e la loro crescita. Alcune voci di contrasto si sono sollevate in termini di “ritorno al passato”
che vedono l’educazione e l’azienda come due mondi non conciliabili. I rischi sono riguardanti la qualità del
servizio e gli obiettivi reali (diminuire l’assenza delle donne!). Per gli altri, questa è una nuova prospettiva da
esplorare stando attenti a obiettivi, condizioni, criteri e qualità, non tanto differente dalle realtà comunali.
L’ente pubblico ha il ruolo di regia, controllo degli standard e costruire un sistema di regole da attenersi per i
finanziamenti. Auspicare forme di convenzione e collaborazione con comuni rendendo più realizzabile
l’integrazione del servizio nel territorio.
I servizi innovativi sono osservatori/laboratori in cui sperimentare nuove soluzioni più flessibili e
articolazioni del servizio che considerano i bisogni dei protagonisti: si possono realizzare inedite forme di
gestione/organizzazione del personale educativo con nuovi contratti che garantiscono stabilità riducendo il
turn over (danno dal pdv del bambino perchè ha bisogno di figure di riferimento stabili ed è segnale di non
qualità del servizio). Ogni giorno vi è una richiesta di flessibilità da parte dei genitori che spesso si risolve in
riorganizzazione dei tempi di apertura e chiusura dei servizi (si entra e si esce quando si vuole, basta orari
rigidi cosicché il genitore si organizza i base al suo giudizio e bisogno - non è certo che sia un bene per un
bamb