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«E
perché l’uomo possa comportarsi in questa maniera. così io ritengo meglio di tutto: che
l’uomo si abbandoni totalmente a Dio». Possiamo dire che riemerge, nascosto tra le righe, il
tema dell’obbedienza, tipica virtù cristiana e oggetto di voto per i frati. Ponendo attenzione
notiamo che Eckhart inizia i Discorsi con questa tema, sottolineando sin da subito che non
parlerà dell’obbedienza in generale, ma della vera obbedienza. Sicuramente, il filosofo
domenicano, si richiama alla tradizione tracciata da Tommaso, nella Summa Theologiae, ma
si distacca immediatamente da questa tematizzazione, nel momento in cui la caratterizza come
vera. Loris Sturlese è il primo ad affermare che non si tratta di un concetto giuridico-
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istituzionale, ma dell’applicazione di una legge metafisica . L’abbiamo già analizzato nel
discorso n.1, più volte:
«Là ove l’uomo in obbedienza esce dal suo e al suo rinuncia, proprio là Dio deve di
necessità rientrare; perché se uno non vuole nulla per lui stesso, Dio deve volere per lui
nello stesso modo che per sé stesso. Quando io sono uscito dal mio volere nelle mani del
mio superiore e non voglio nulla per me stesso, Dio deve volere per me, e se egli in parte mi
manca, manca a sé stesso. Così in tutte le cose, ove io non voglio alcunché per me, là Dio
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vuole per me».
La stessa espressione è ripresa da Eckhart nella predica 15, dove continua il concetto dicendo:
«Anzi: se Dio deve divinamente risplendere in te, la tua luce naturale non ti serve
completamente a nulla, ma piuttosto deve divenire un puro nulla e completamente uscire da
se stessa; e allora Dio può entrare con la sua luce e porta dentro con se tutto quello dal
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quale tu sei uscito e mille volte più, e in più una nuova forma che ha incluso tutto in se».
L’esempio che esprimere questo atteggiamento è riscontrabile nell’esperienza della
Samaritana che incontra Cristo al pozzo di Giacobbe. La gente che accolse l’annuncio della
«Non
donna rispose: è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo
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udito». Così Eckhart, proseguendo, delinea addirittura il nome dell’intelletto che è una
possibile ricettività, con un chiaro riferimento all’intelletto potenziale di Aristotele.
5 M E , Reden n.6, DW I.
EISTER CKHART
6 L S , Ritratto di Eckhart, in Id., Eckhart, Tauler, Suso. Filosofi e mistici nella Germania
ORIS TURLESE
medievale, Le Lettere, Firenze 2010.
7
E , Discorsi, n.1
CKHART
8 M E , Le 64 prediche sul tempo liturgico, Predica 15 [S 103], a cura di L S ,
EISTER CKHART ORIS TURLESE
Bompiani, Milano 2014, p. 223.
9 Gv 4, 41 3
Eckhart, in questo modo, riformula la dinamica tra uomo e Dio, mettendo entrambi in un
rapporto alla pari, di pari commercio, per dirla con le sue parole. Condizione necessaria per
riscoprire il vero fondamento delle proprie azioni, dunque, è Dio (Dio deve volere per me).
L’obbedienza, allora, non è assoggettamento di sé stessi a un principio estraneo a sé, che
spersonalizza, come nel caso dello schiavo, ma è esperienza di libertà, perché conduce alla
riappropriazione della propria intima essenza. E l’essenza dell’uomo consiste nell’uscire da
sé, rinunciare a tutte le determinazioni di sé, per riappropriarsi di ciò che gli appartiene per
sua costituzione, cioè Dio. È in questo modo che si recupera la libertà, che coincide con la
libertà di Dio. È interessante vedere il termine che Eckhart spesso usa per parlare di libertà:
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ledic (senza legami) . Non si rifà, infatti, ad un modello preciso da seguire, ma invita ad un
percorso di liberazione (come si è visto sopra - discorso 6). Essere ledic, senza legami, non
essere legati a nulla, è la condizione giusta affinchè Dio si riappropri di ciò che è suo. Si
delinea in questa maniera il distacco, conseguenza dell’obbedienza e vero stato di perfezione
interiore. È qui che si intreccia l’ideale cristiano della sequela (imitatio) Christi, alla quale, in
questo caso, è chiamato il religioso, più degli altri (non si dimentichi la pratica delle
collationes, alle quali appartengono i Discorsi). Nel discorso n.17 leggiamo a proposito:
«Si deve seguire giustamente Nostro Signore, ma tuttavia non in tutti i modi. Nostro
Signore digiunò quaranta giorni. Nessuno deve assumersi di seguirlo così. Cristo ha fatto
molte azioni con le quali egli intendeva che noi lo dovessimo seguire spiritualmente e non
corporalmente. E perciò ci si deve preoccupare di poterlo seguire in modo intelligente
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(razionale) [Q geistig]; perché egli ha più inteso il nostro amore che le nostre azioni. Noi
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lo dobbiamo sempre seguire in modo proprio».
Seguire Cristo significa realizzare primariamente se stessi come esseri razionali e spirituali.
Non si tratta, perciò, di un annullamento, ma di una liberazione, di un’esaltazione di sé,
mediante il superamento dell’umanità nella dimensione del divino. Per comprendere
l’obbedienza dovuta a Dio, per i cristiani, è fondamentale la lettera di San Paolo egli Efesini:
«Abbiate in voi lo stesso sentire che fu in Cristo Gesù, il quale, essendo in forma di Dio,
non stimò un possesso geloso l’essere come Dio, ma svuotò se stesso, diventando partecipe
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dell’umanità».
«Per
Continua: questo Dio l’ha esaltato». Sembra un paradosso! Ma in questo consiste il
movimento per Eckhart: l’uomo povero, senza determinazioni creaturali (eigenshaft), rinuncia
10 Cfr. A B , op. cit.
LESSANDRA ECCARISI
11 Si suggerisce la traduzione con “razionale”, per intendere l’attività dell’intelletto.
12 M E , Reden n.17, DW I.
EISTER CKHART
13 Ef 2, 5-7 4
a se stesso per Dio, che è la sua essenza originaria. Sembra esserci un chiaro riferimento ai
«Dio
padri orientali, in particolare ad Atanasio di Alessandria, il quale afferma: si è fatto
(L’incarnazione 54,3). «“Chi
uomo perché l’uomo diventi Dio» È proprio qui la novità: si
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abbassa sarà innanzato”. Perché tutta la nostra sostanza non consiste in null’altro che in un
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divenir nulla». Tanto più l’uomo si abbassa, tanto più riceve Dio. Costui, l’uomo umile, che
riconosce i propri limiti è il sapiente.
- La sofferenza e la somiglianza con Dio
«E questa è sicuramente la causa per cui Dio risparmia ai suoi amici grande e molta
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sofferenza» . Lo afferma anche nella predica 15 del santorale: «Qui l'uomo è veramente
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uomo, e nessuna sofferenza può colpirlo, così come non può colpire l'essere di Dio» . Ma nel
momento in cui si presentasse una sofferenza, essa va accettata per raggiungere una piena e
totale uguaglianza (somiglianza) con Dio. La presenza di Dio nell’uomo diventa più naturale
e più essenziale di quanto si possa pensare, tanto da prendere il posto dell’intelletto agente,
che serve solo ad una funzione conoscitiva. Per Eckhart, dunque, l’intelletto umano non può
essere spiegato con le categorie di possibile o agente, si tratta, invece, di una totale apertura
all’essere. Ragione, in Eckhart, è libertà, come distacco dalle cose esteriori e
autodeterminazione dell’io, che coincide con la scoperta del divino.
Giustamente, nel Libro del conforto divino, Eckhart riguardo alla sofferenza scrive:
«Io dico inoltre: ogni sofferenza proviene dal piacere e dall’amore. Perciò, se io provo
sofferenza riguardo a cose corruttibili, io ho, e il mio cuore ha, ancora piacere ed amore
verso le cose corruttibili e Dio non mi piace con tutto il mio cuore e non amo ancora ciò che
Dio vuole aver amato da me e con lui. Che meraviglia è dunque, se Dio permette che io
subisca davvero convenientemente danno e sofferenza?»
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L’idea che fa da sfondo, leggendo di primo acchito, e che spesso, in altri punti ritorna, è che
Dio possa permettere all’uomo la sofferenza. Ma, “un uomo buono - continua nel Libro del
conforto divino - deve aver fiducia, credere e esser certo di Dio, e saper Dio così buono, che è
impossibile a Dio e alla sua bontà e amore che egli possa sopportare che all’uomo accada
sofferenza o patire.” Una sofferenza che, leggendo, seppur velocemente, i Discorsi e il Libro
14 Mt. 23,12; Lc. 14,11
15
M E , Reden n.23, DW I.
EISTER CKHART
16 Ibidem.
17 M E , Predica 15, Qui audit me.
EISTER CKHART
18 M E , Libro del Conforto divino, n.4.
EISTER CKHART 5
del donforto divino in maniera completa, mi sembra essere sempre collegata al peccato, come
infedeltà e allontanamento da Dio. Il riferimento esplicito, infatti, sembrerebbe quello alla
predica “Super Maria stabat” che guarda alla Maddalena, emblema dell’impossibile
consolazione di chi, cercando Dio, non lo trova e possa pertanto unirsi a lui. Un’omelia
attribuita ad Origene, autore al quale ci sono parecchi rimandi, anche espliciti, da parte del
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maestro domenicano. Eckhart, infatti, riprende per buona parte questa omelia nella predica
35, dove tematizza il comportamento che l’anima deve avere per trovare Dio:
«Se l’anima sapesse quando Dio entra in lei, morirebbe di gioia; se sapesse anche quando
egli va via da lei, morirebbe di sofferenza. […] Se l’anima deve trovare Dio, deve avere sei
punti. Il primo: che quello che prima era per lei dolce, le divenga amaro. Il secondo: che
l’anima le divenga troppo angusta, sicché non possa rimanere in lei stessa. Il terzo: che ella
non desideri null’altro che Dio. Il quarto: che non la possa consolare nessuno altro da Dio.
Il quinto: che non abbia alcun ritorno alle cose transeunti. Il sesto: che ella non abbia alcuna
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quiete interiore, sin quando egli non le sia ridato».
Comprendiamo, inoltre, quanto Origene possa essere la fondamentale ispirazione del maestro
domenicano, se consideriamo espressioni e concetti origeniani ai quali quest’ultimo si rifà.
Origene riconosce all’uomo la libertà di agire e la responsabilità costante di scegliere. La
condizione di uomo giusto non è una condizione che si determina una volta per tutte, né
tantomeno è data al momento della nascita. L’uomo si trova continuamente nella condizione
di scegliere per essere generato figlio di Dio. An