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I materiali di presentazione come forme di comunicazione.
Alcuni servizi utilizzano la memoria orale e producano pochi documenti scritti, ma la
trasmissione orale non sembra garantire la memoria storica. La documentazione appare
come un “prodotto dell’immagine del sé” e racconta il livello di elaborazione dei percorsi e
dei progetti, narra le rappresentazioni e le immagini di infanzia e famiglie; per quel che
riguarda la presentazione, essa richiede una precedente definizione degli obiettivi e dei
destinatari della comunicazione e deve prestare attenzione al processo evolutivo del
servizio, perciò i passaggi e i cambiamenti organizzativi non vengono documentati, o
ancora vi è l’assenza di indicazione della data di realizzazione nei documenti. Per quanto
riguarda la predisposizione di materiale, il livello più informativo richiede la messa a punto
di documenti chiari, precisi e semplici, mentre il racconto più articolato può avvenire a più
voci (es disegni o conversazioni tra bambini). È importante l’ordine dei documenti esposti,
non sovrapporli, selezionare cosa scrivere e raccontare. La proposta di collaborazione con
i genitori dovrebbe tenere conto dei loro bisogni e delle loro risorse, non va proposta sotto
forma di richiesta; è fondamentale la loro presenza in quanto l’infanzia costituisce un’età
fertile per coltivare la partecipazione dei genitori.
I significati dello stare insieme tra adulti e bambini.
L’epoca attuale pone l’accento sull’individualità, non sull’individualismo; ma è
nell’incontro con gli altri che condividono con noi le giornate e la vita che si viene a
determinare l’identità di ciascuno, che si possono sviluppare le potenzialità individuali, che
si cresce e diventa parte di una comunità. L’evento educativo “è innanzitutto evento
relazionale che non può essere indagato al di fuori della complessità della relazione”. Nei
primi anni di vita, la relazione con gli altri, in particolare gli adulti di riferimento, influenza e
determina le modalità di crescita e le possibilità di conoscenza; stabilire relazioni
significative è la premessa per potersi aprire all’osservazione, all’ascolto, all’esplorazione
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del mondo esterno, ma permettono anche lo sviluppo generale della personalità,
l’acquisizione di conoscenze. I processi conoscitivi sono procedimenti relazionali, ovvero
la conoscenza può avere luogo solo all’interno della relazione. Per questi motivi, la
relazione educativa dovrebbe essere pensata e progettata, così da poter rappresentare
una risorsa nell’esperienza di crescita e conoscenza. Le modalità di interazione degli adulti
che accompagnano i bambini nelle loro esperienze di crescita, influenzano l’immagine dei
piccoli. All’interno delle relazioni risiede la maggiore occasione per promuovere
appartenenza all’umanità e di costruire un senso etico; quindi la relazione educativa porta
l’attenzione da “sé” a “sé con gli altri”, dall’individuo alla comunità. Nella relazione
risiedono le premesse e gli esiti dello star bene, che permette di muoversi con piacere e
sicurezza, quindi con benessere. I conflitti, spesso vissuti con disagio, hanno una forte
valenza educativa nella costruzione dell’identità e nell’apprendimento della socialità; se
l’adulto riconosce tale potenziale educativo, potrà contribuire a sostenere il bambino nella
sperimentazione delle relazioni con gli altri, proponendosi come osservatore in ascolto,
modello relazionale e mediatore. I conflitti diventano un’occasione per incoraggiare i
bambini a prendere consapevolezza delle proprie emozioni e dei propri sentimenti.
Per poter comprendere i significati dei rapporti conflittuali, è utile considerare che le
relazioni sono influenzate dallo stadio dello sviluppo che il bambino ha raggiunto e dal tipo
di abilità sociali di cui dispone. Se si considerano tali competenze emotive, relazionali e
sociali che i bambini gradualmente sviluppano, appaiono naturali e legittimi i conflitti che
nascono nell’ambito delle relazioni orizzontali (quelle di tipo paritario e basate su
interazioni reciproche). Capita però che i conflitti siano vissuti come inaccettabili per cui si
tende a reprimerli o punirli; ma bisogna considerare il fatto che dietro atteggiamenti
aggressivi possano esserci motivazioni che sfuggono all’occhio dell’adulto. Il ruolo
dell’adulto deve essere quello di mediatore e osservatore dei comportamenti manifestati
che vanno analizzati in un’ottica contestuale, cercando di capire il significato; deve anche
condividere con i bambini coinvolti le ipotesi di lettura evitando atteggiamenti
colpevolizzanti o realistici. Non è raro che si scatenino conflitti anche nell’ambito delle
relazioni verticali (quelle con una persona che ha una conoscenza e potere superiori):
l’adulto deve saper reggere la percezione negativa che il bambino si è fatto su di lui. È
necessario trovare le modalità affinché i limiti o divieti svolgano le funzioni di
contenimento, protezione e orientamento senza impedire l’autoaffermazione da parte dei
bambini. Tali regole devono essere chiare, ripetute e accompagnate da motivazioni; in
queste situazioni è fondamentale che l’adulto agisca in modo tale che il bambino possa
continuamente percepire uno sguardo fiducioso su di sé, non un giudizio.
In relazione con le famiglie.
È sempre più frequente nei contesti educativi la fatica, da parte di chi lavora, di costruire
relazioni positive con le famiglie. Poiché l’evento educativo è un evento relazionale, è
evidente la necessità di una riflessione sul concetto di relazione in sé. Le relazioni
rappresentano una risorsa e premessa per differenti acquisizioni, di tipo socio-emotivo e
cognitivo: è solo nell’incontro con l’altro e nella relazione che risiedono le possibilità di
generazione di pensiero e cultura e quindi di crescita. Inoltre buone relazioni tra bambini e
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adulti che si occupano di loro permettono lo sviluppo generale della personalità, nonché
occasioni di conoscenza e apprendimento. Costruire buone relazioni con le famiglie è utile
per gli educatori ed insegnanti in quanto consente di fare meglio il proprio lavoro educativo
quindi è importante costruire rapporti autentici basati sulla valorizzazione e sulla fiducia
(non sul giudizio o valutazione). Questo vuol dire riconoscere l’importanza di confrontare e
intrecciare competenza professionale e competenza genitoriale. Una buona relazione
viene costruita nel tempo, deve essere pensata e progettata da parte del gruppo di lavoro;
è necessario un atteggiamento che riconosca l’importanza di ascoltare, osservare,
rispettare i genitori. La continuità tra scuola e famiglia si articola in tre direzioni: 1. in
termini di stili relazionali (l’educatore osserva il bambino e genitori e trova il modo
migliore per entrare in comunicazione con loro); 2. in termini di spazi, materiali e
proposte (i quali rendono l’ambiente accogliente come la casa); 3. in termini di modalità
attraverso cui gestire alcuni momenti (es la cura, le abitudini del pranzo, del sonno).
Continuità non è imitazione di un contesto come quello familiare, ma è la valorizzazione
delle sue peculiarità. Ci sono varie occasioni per accogliere e instaurare un buon rapporto
con i genitori nella scuola, per creare opportunità di confronto, scambio e condivisione:
• colloquio pre-inserimento, momento in cui i genitori possono raccontare del
proprio bambino e della relazione che hanno con lui, le proprie emozioni e
aspettative;
• i momenti di accoglienza e di ricongiungimento, si tratta di brevi ma
fondamentali instanti di cui approfittare per scambiarsi informazioni sul bambino
nella quotidianità;
• i colloqui individuali durante l’anno, momenti preziosi in cui si possono chiarire
eventuali situazioni problematiche o semplicemente discutere della generale
situazione del bambino.
• i momenti di incontro di gruppo, utili a favorire la partecipazione dei genitori nella
scuola e l’esplorazione dei significati del crescere e dell’educare.
Accogliere i genitori nei servizi educativi.
Gli adulti familiari dei bambini portano richieste nuove e diverse rispetto a quelle a cui i
servizi e le scuole sono abituati. Tradizionalmente questi ultimi, abitati per lo più da un
personale al femminile, si sono rapportati in una relazione perlopiù orientata alle madri;
oggi invece vi è sempre più la presenza dei padri, che invita a rileggere le pratiche di
accoglienza al fine di promuovere la presenza di entrambi i genitori e a valorizzare
entrambi i ruoli. Molti papà oggi passano più tempo con i figli rispetto al passato e
partecipano alle scelte educative fin dalla tenera età. I servizi educativi e le scuole hanno
quindi l’opportunità di ampliare la funzione di sostegno e confronto che già svolgono con le
madri, attraverso un pensiero che colga la rilevanza dell’universo maschile nel mondo
infantile. Accogliere i padri vuol dire comprendere fino in fondo dei bambini nella sua
interezza. La presenza maschile nella dimensione ludica della relazione è facilmente
accettata, mentre l’avvicinarsi dei padri alla sfera della corporeità e dell’accudimento
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rappresenta una novità, e il loro allontanamento non è una soluzione. È necessario che i
servizi educativi e le scuole dichiarino la propria disponibilità all’accoglienza dei padri
perché questi si sentano pensati come soggetti educativi.
Di recente il ministro inglese ha fatto una proposta, ovvero quella di utilizzare il termine
“genitori” piuttosto che “mamma e papà” per rispetto delle famiglie omossessuali. A
questo proposito l’incontro con famiglie differenti da quella tradizionale porta con sé la
necessità di rileggere le proprie rappresentazioni, i propri stereotipi e pregiudizi.
Punti di riferimento.
Fin dalla nascita del nido, l’inserimento è uno degli elementi che più rende visibile il
progetto pedagogico di cui ciascun servizio è portatore. La consapevolezza che tale
separazione riguarda non solo il bambino ma anche chi lo accompagna ha portato a
considerare l’inserimento come un momento che deve coinvolgere direttamente anche i
genitori. Nella continua ridefinizione dell’inserimento, uno dei più discussi riguarda la
figura di riferimento, a cui spesso viene contrapposta la modalità che prevede come
riferimento il sistema: si rifanno