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SALARIO.
Il salario è determinato dal conflitto tra capitalista ed operaio. Il tasso inferiore del salario è il
sostentamento dell'operaio durante il lavoro (il salario abituario è sempre il più basso).
La domanda di uomini regola necessariamente la produzione degli uomini, come di ogni altra merce,
e dipende dal capriccio dei ricchi.
La possibilità del capitalista di dare al suo capitale una direzione diversa, getta sul lastrico l'operaio.
Non è detto che l'operaio guadagni necessariamente quanto guadagna il capitalista però, quando
questi perde, l'operaio perde necessariamente.
Nel lavoro si manifesta tutta la diversità naturale diversamente ricompensata. Là dove l'operaio e il
capitalista hanno uguale perdita, l'operaio ci rimette la sua esistenza, il capitalista ci rimette il
profitto.
L'aumento del salario reca con sé un eccesso di lavoro per gli operai; la durata della loro vita viene
accorciata e quindi si rende necessario una sempre nuova domanda. Inoltre, quest'aumento
presuppone e porta con sé l'accumulazione di capitale.
In una società che si trova in fase di benessere crescente, i grandi capitalisti mandano in rovina i
piccoli (i capitali si concentrano): anche in una situazione sociale favorevole all'operaio la
conseguenza è comunque la rovina di esso, il degrado, la morte prematura, ecc...
Una società non è felice dove la maggioranza soffre, e lo stadio di maggior ricchezza della società
conduce a questa sofferenza della maggioranza, ed è l'economia politica a condurre a questo stadio
di maggiore ricchezza; si conclude che l'infelicità della società è lo scopo dell'economia politica.
Teoricamente l'intero prodotto del lavoro appartiene all'operaio, ma di fatto giunge ad esso la più
piccola e indispensabile parte del prodotto. Il capitale non è altro che lavoro accumulato, in cui
l'operaio deve vendere se stesso e la sua umanità; la ricchezza e il raffinamento della società
impoverisce l'operaio sino a ridurlo ad una macchina; il benessere crescente della società rende
l'operaio sempre più dipendente dal capitalista.
Mentre l'interesse dell'operaio non è mai in contrasto con l'interesse della società, la società sta
sempre e necessariamente in contrasto con l'interesse dell'operaio.
Nello stato di declino della società, l'operaio deve la gravità della sua compressione alla sua
posizione di operaio; nello stato di avanzamento della società, l'impoverimento dell'operaio sono il
prodotto del suo lavoro e della ricchezza da lui prodotta. Lo stato di maggior ricchezza della società
costituisce per l'operaio lo stato di miseria stazionaria.
L'operaio è come una bestia ridotta ai più elementari bisogni della vita. Coi mutamenti avvenuti
nell'organizzazione del lavoro, al ruolo della donna è toccata una più ampia sfera di attività
industriale. I capitalisti si possono appropriare delle forze delle classi inferiori sin dalla fanciullezza,
per adoperarle e fruttarle in sostituzione dei mezzi meccanici; i non-proprietari sono costretti a
mettersi al servizio del proprietari, e questo sistema economico condanna gli uomini a mestieri
abbietti, ad una degradazione desolante ed amara, ad una schiavitù.
L'economia politica considera il lavoro astrattamente come una cosa; il lavoro è una merce; se il
prezzo è alto, la merce è molto richiesta mentre se è basso, è molto offerta. Il fine dell'industria era
il possesso della ricchezza, e non la felicità degli uomini; questi ultimi sono strumenti di produzione,
che devono rendere il più possibile e costare il meno possibile, e tanto meno sono pagati quanto più
il lavoro che gli si offre è lungo, penoso e disgustoso.
PROFITTO DEL CAPITALE.
1) Il capitale.
Colui che eredita un grosso patrimonio, eredita il potere di comprare, il che consiste in un diritto di
comandare sopra ogni lavoro altrui. Il capitale è dunque il potere di governo sul lavoro e sui suoi
prodotti. Il capitalista possiede questo potere in quanto proprietario del capitale.
Il capitale è anche lavoro accumulato; i fondi sono ogni accumulazione dei prodotti (ai fondi si da il
nome di capitale solo quando procurano profitto).
2) Il profitto del capitale.
I profitti del capitale si regolano in base al valore del capitale impiegato. Il capitalista ricava quindi
un primo profitto sul salario e un secondo sulle materie prime esposte.
Il tasso inferiore del profitto abituale dei capitali deve essere sempre qualcosa di più del necessario
per compensare le eventuali perdite; il tasso superiore è quello che assorbe totalmente la rendita
delle merci e riduce il salario al prezzo più basso
Con il segreto commerciale si mantiene segreta la variazione del prezzo, con il risultato che gli altri
capitalisti non gettano anche i loro capitali in questo ramo; con il segreto di fabbrica il capitalista,
con un costo minore di produzione, offre i suoi prodotti agli stessi prezzi e persino a prezzi inferiori
dei suoi concorrenti. Il prezzo del monopolio è il più alto possibile.
I miglioramenti che il lavoro umano (applicato al prodotto naturale) apporta nel prodotto lavorato,
non fanno crescere il salario ma il profitto: quanto maggiore è l'apporto dell'uomo in un prodotto,
tanto maggiore è il profitto (il quale sale anche con la minore costosità dei mezzi di circolazione).
3) Il dominio del capitale sul lavoro e i moventi del capitalista.
Il profitto non cresce con il benessere della società e non cala con il suo declino; è basso nei paesi
ricchi e alto nei paesi poveri. L'interesse del mercante è sempre quello di allargare il mercato e di
restringere la concorrenza dei venditori.
4) L'accumulazione dei capitali e la concorrenza tra capitalisti.
La concorrenza è l'unico sussidio contro i capitalisti, che agisce beneficamente in favore del
pubblico consumatore. La concorrenza è possibile soltanto dove i capitali crescono in molte mani;
attraverso essa, aumentano i salari e diminuiscono i profitti dei capitali (quindi chi soffre per primo
è il piccolo capitalista).
Il prezzo di mercato di qualcosa diminuisce quanto più aumenta la quantità (con l'aumento dei
capitali in un determinato paese, diventa più difficile impiegare un nuovo capitale in modo
conveniente, a meno di offrire condizioni migliori, ovvero vendere più a buon mercato).
Il grande capitalista compra sempre più a buon mercato rispetto al piccolo, poiché compra le merci
in maggiore quantità, e quindi può vendere a prezzo migliore senza rimetterci. Un grande capitale
con piccoli profitti cresce più rapidamente di un piccolo capitale con grandi profitti. Inoltre, nella
concorrenza tra piccoli e grandi capitalisti, è importante anche il rapporto tra capitale fisso e
capitale circolante:
il capitale circolante è un capitale che viene impiegato nella produzione di generi di prima
necessità, nell'industria e nel commercio;
il capitale fisso consiste nel capitale investito per il miglioramento della terra, dell'acquisto
di macchine, strumenti, utensili e simili.
Ogni risparmio nella conservazione del capitale fisso costituisce un aumento del profitto. Inoltre, il
rapporto tra capitale fisso e capitale circolante è molto più favorevole al grande capitalista che al
piccolo.
La quantità delle merci muta col mutare del modo di produzione; nei singoli rami dell'industria
avviene di tanto in tanto una superproduzione; spesso e all'improvviso diventa necessaria
un'interruzione o una diminuzione del lavoro, i cui danni sono sempre sentiti amaramente dalla
classe dei salariati.
Si riconoscono tre momenti economici:
il diritto di usare ed abusare;
la libertà di scambio;
la concorrenza arbitraria.
Queste tre hanno delle conseguenze: ciascuno produce ciò che vuole, come vuole, quando vuole,
dove vuole; produce bene o male, troppo o troppo poco, preso o tardi, caro o a buon mercato;
ciascuno non sa se venderà, dove venderà, come venderà, quando venderà, a chi venderà (e lo stesso
vale per gli acquisti).
Il padrone che compra il lavoro dell'operaio non è responsabile né dell'insufficienza dei salari, né
della durata del lavoro; egli stesso subisce la legge che egli impone; la miseria viene non dagli
uomini, ma dalla potenza delle cose.
Per aumentare il valore del prodotto annuale, non vi è altro mezzo che aumentare il numero o la
capacità produttiva (la potenza) degli operai. Il capitalista vuole, col suo capitale, produrre la
maggior quantità possibile di manufatti, e quindi ha la tendenza ad introdurre, tra i suoi operai, la
divisione del lavoro più conveniente e di provvedervi con le migliori macchine possibili. L'aumento
del capitale comporta un aumento della quantità di industrie, da cui vengono prodotti, in maggior
quantità, prodotti: si ha quindi un eccesso di produzione.
RENDITA FONDIARIA.
La rendita fondiaria è il profitto del capitale che il proprietario ha investito per migliorare il terreno.
Il proprietario fondiario pretende:
una rendita anche per la terra non migliorata;
un aumento della rendita come se tutti i miglioramenti fossero stati eseguiti coi suoi capitali;
un rendita per ciò che è insuscettibile del più piccolo miglioramento.
Si può anche considerare la rendita fondiaria come il prodotto della forza naturale; questo prodotto
è più o meno grande secondo che la fertilità naturale e artificiale della terra sia più o meno grande.
La rendita fondiaria è quindi un prezzo di monopolio. Per i proprietari fondiari il reddito non costa
né lavoro né cure, ma viene da sé.
La rendita muta con la fertilità della terra e con la posizione di essa; inoltre, viene determinata dalla
lotta tra l'affittuario e il proprietario: quest'ultimo cerca di non concedere all'affittuario più di quel
che occorre per provvedere ai bisogni della terra e retribuire il lavoro; il proprietario esercita una
sorta di monopolio , poiché la domanda dei suoi prodotti può estendersi continuamente, mentre la
quantità dei prodotti si estende soltanto sino ad un certo punto (il rapporto che si stabilisce tra
proprietario e affittuario è sempre il più possibile vantaggioso per il primo).
La rendita fondiaria (considerata come il prezzo che viene pagato per l'uso della terra) è quindi il
prezzo più alto che l'affittuario è in grado di pagare.
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