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FEBBRE CATARRALE MALIGNA
Si tratta di una malattia a carattere sporadico ma ad alta letalità, che colpisce membri
diversi delle famiglie Bovidae e Cervidae. È determinata da 3 virus appartenenti alla
famiglia Herpesvirinae, la quale comprende al suo interno virus a DNA provvisti di
envelope. Il ciclo replicativo si realizza in sede nucleare e determina la formazione di
inclusi caratteristici, associati o meno alla comparsa di cellule giganti. Ricordiamo che
all’interno della famiglia delle herpesvirinae è riconosciuta l’esistenza di 3 sottofamiglie:
Alfa- herpesvirinae: caratterizzate da uno spettro d’ospite piuttosto ampio, con infezione
latente localizzata ai gangli sensoriali.
Beta- herpesvirinae: caratterizzate da uno spettro d’ospite relativamente ristretto con
latenza tipica a carico delle cellule linforeticolari e forse, della ghiandole a secrezione
esterna, dei reni e di altri organi o tessuti.
Gamma- herpesvirinae: caratterizzate da uno spettro d’ospite che, salvo eccezioni, è
limitato alla famiglia o all’ordine di appartenenza dell’ospite naturale. In generale si tratta
di virus specifici per linfociti B e T e la latenza viene spesso osservata negli organi e nei
tessuti linfoidi.
La latenza costituisce un evento caratteristico delle infezioni erpetiche, particolarmente
studiato nei membri della famiglia alfa- herpesvirinae. In particolare, la localizzazione
primaria nei tessuti di rivestimento, specificatamente nei recettori sensoriali, è seguita da
replicazione e reazione immunitaria, quest’ultima responsabile della regressione dei
sintomi e guarigione clinica. Tuttavia, una quota del virus presente nel sito dell’infezione
sfugge alla reazione immunitaria dell’ospite, e attraverso gli assoni dei neuroni sensitivi,
raggiunge i gangli cranici e spinali. Raggiunto il neurone, il virus vi si localizza nel
relativo nucleo e vi rimane in forma inerte. A tal proposito è stato ipotizzato che il DNA
virale sia presente nei neuroni sotto forma di episomi o plasmidi extracromosomici.
L’interesse della latenza nell’evoluzione delle infezioni da virus erpetici risulta dal fatto
che tale meccanismo è particolarmente efficiente nella loro conservazione in natura in
quanto ne consente la persistenza all’infinito nell’organismo ospite. La presenza di virus
in corso di infezione latente non è dimostrabile con le tecniche virologiche comuni ma
richiede metologie specifiche e ciò che assume maggiore rilevanza è il fatto che, per
effetto di stress esogeni o endogeni, le infezioni latenti si riattivano con conseguente
ripresa della replicazione virale ed escrezione dell’agente. A ragion di ciò gli individui
guariti devono comunque essere considerati quali animali portatori e potenziali diffusori
anche in presenza di immunità rilevabile su base sierologica. Secondo la più recente
tassonomia, nell’eziologia della febbre catarrale maligna sono da chiamare in causa 3
virus distinti ed indicati come Alcelaphine herpesvirus 1, alcelaphine herpesvirus 2 e
ovine herpesvirus 2. Il primo è da ritenere responsabile d’infezione nel bovino europeo e
nord-americano, gli altri vengono invece chiamati in causa come responsabili di infezione
asintomatica dello gnu africano e della pecora europea, che ne costituiscono gli ospiti di
riserva. La loro posizione tassonomica è da ritenere del tutto provvisoria in quanto si
tratta di 3 specie distinte ma non definitivamente assegnate alla sottofamiglia gamma-
herpesvirinae. Lo spettro d’ospite è ristretto alle colture cellulari derivate da bovino,
pecora selvatica e cervo. L’effetto citopatico è caratterizzato dalla comparsa di grossi
sincizi che si distaccano dal monostrato lasciando uno spazio libero che può essere
successivamente occupato da cellule normali neoformate. In ordine allo spettro d’ospite
debbono essere sottolineate alcune differenze di comportamento dell’infezione nel
bovino. I dati epidemiologici indicano che questo acquisisce l’infezione dopo contatto
con ruminanti selvatici o con la pecora, e la malattia non si trasmette per contatto diretto
tra bovini. Pertanto i focolai di febbre catarrale maligna sono da riferire a casi multipli di
malattia insorgenti su animali contemporaneamente esposti ad un’unica fonte di
infezione.
L’epidemiologia di questa patologia è dominata da alcuni fatti salienti. Il primo si
riferisce al comportamento del bovino domestico quale possibile fondo cieco di infezione
nella diffusione della malattia. In effetti, esso assume la malattia da ospiti di riserva e la
malattia conseguente evolve in forma grave e letale ma poco o nulla trasmissibile per
contatto diretto fra bovini domestici. Inoltre, è noto che la comparsa di casi multipli di
malattia nel bovino consegue al contatto con la pecora, ma il tentativo di isolamento di
eventuali virus e di trasmissione sperimentale alla pecora sono finora rimasti senza
effetto. Un ulteriore elemento saliente nell’epidemiologia della febbre catarrale maligna è
fornito dalla constatazione che i virus sono strettamente associati ai linfociti e ciò ne
condiziona la scarsa trasmissibilità in quanto la breve sopravvivenza dei linfociti al di
fuori dell’ospite determina una altrettanto breve conservazione nell’ambiente. Il
complesso di dati disponibili consente di ipotizzare quanto segue: nei selvatici con
viremia in atto non si verifica escrezione del virus con le urine e la saliva, ma per mezzo
del secreto oculo-nasale e ciò si osserva nei soggetti di età inferiore ai 3 mesi. Ciò
condiziona l’alta frequenza delle trasmissioni da parte di giovani selvatici, le quali si
interrompono drasticamente in coincidenza della comparsa di IgA nel secreto oculo-
nasale. Nei selvatici, la trasmissione orizzontale fra giovani è integrata dalla possibilità di
infezione verticale che compensa l’assenza di contagiosità della malattia fra gli adulti.
Nel bovino domestico la situazione appare completamente diversa nel senso che, da un
lato la febbre catarrale maligna perde il carattere della contagiosità e dall’altro, la
possibilità di trasmissione verticale della malattia è notevolmente ridotta per l’alta letalità
della malattia stessa. Tuttavia, nei rari casi a decorso atipico con sopravvivenza dei colpiti
e viremia intermittente, trasmissione verticale si verifica anche in questa specie.
Dal punto di vista della patogenesi possiamo dire che la penetrazione dell’agente si
verifica per via inalatoria o digerente e dopo il periodo di incubazione l’agente è
rinvenibile nel sangue, dove causa una imponente viremia associata a febbre elevata. La
viremia persiste fino alla morte dell’animale e nei rari casi di sopravvivenza è
dimostrabile per molti mesi, anche se il titolo del virus rimane basso. Il virus presente nel
sangue è associato ai linfociti ma i siti di replicazione virale non sono ancora noti in
quanto non sono dimostrabili alterazioni cellulari specifiche. Le osservazioni più recenti
mettono in evidenza che tale patologia è caratterizzata dalla formazione di
immunocomplessi. Infatti, la viremia precede anche di molti giorni la comparsa della
febbre e sembra non essere influenzata dalla presenza di anticorpi nel sangue. In tale
situazione, gli antigeni presenti sulla membrana linfocitaria interagiscono con i
corrispondenti anticorpi dando luogo alla formazione di immunocomplessi che si
depositano sulla parete dei piccoli e medi vasi con successiva necrosi vascolare dovuta
alla presenza di antigene-anticorpo-complemento e di enzimi provenienti dai linfociti
degenerati. Da ciò consegue che le lesioni conseguenti a questa patologia riguarderanno
gli apparati digerente, cutaneo e respiratorio, l’occhio e il sistema nervoso centrale, rene e
vescica e linfonodi. La febbre catarrale maligna può assumere diversi tipi di decorso:
- Forma peracuta: altamente letale e caratterizzata da flogosi grave della mucosa oro-nasale
e gastro-enterite emorragica.
- Forma intestinale: letale in pochi giorni, caratterizzata da iperemia della mucosa oro-
nasale, febbre e diarrea.
- Forma cefalo-oculo-nasale: è la forma più comune nel bovino domestico. È caratterizzata
da essudazione oro-nasale, inizialmente sierosa, in un secondo momento purulenta, dalla
formazione di croste sul musello e a livello delle narici con eventuale ostruzione delle vie
aeree e conseguente respirazione per via buccale. È presente anche scialorrea. Il nome di
questa forma deriva dal fatto che i sintomi principali sono rilevabili a carico del sistema
nervoso, con tremori e andatura incerta, del sistema visivo, con opacità corneale,
fotofobia e lacrimazione, e della mucosa nasale, con essudazione e formazione di croste,
come è stato visto.
- Forma lieve: raramente comporta la morte dell’animale, salvo riacutizzazione nel bovino.
Chiaramente, le lesioni rinvenute dipendono strettamente dalla forma con cui la patologia
si manifesta. Costante è sicuramente la presenza di linfonodi ingrossati soprattutto a
livello della testa e del collo, i quali si presentano edematosi. Nella forma peracuta le
lesioni si limitano alla presenza di enterocolite emorragica. Nelle forme intestinale e
cefalo-oculo-nasale la carcassa può presentarsi normale o disidratata e la cute può essere
caratterizzata dalla formazione di croste. Come abbiamo detto in precedenza, possiamo
rinvenire lesioni a carico:
- Dell’apparato digerente: con erosioni del cavo orale, dell’esofago, dell’abomaso, del
piccolo intestino, del colon e del retto;
- Della cute: con disidratazione e croste;
- Dell’apparato respiratorio: con iperemia ed edema a carico della mucosa laringo-faringea
e dei polmoni;
- Dell’occhio: con infiltrazione di cellule linfocitarie a livello del bulbo oculare, opacità e
ulcerazione della cornea ed eventuale distacco retinico a causa di lesioni vascolari;
- Del sistema nervoso centrale: con vasculiti ed infiltrazioni perivasali di mononucleati;
- Del rene: con aree necrotiche e petecchie;
- Dei linfonodi: con necrosi a carico dei piccoli linfociti maturi.
Per ciò che concerne la diagnosi possiamo asserire che, almeno nel bovino, la presenza di
sintomi e lesioni possono generare un fondato sospetto. Gli elementi diagnostici di tipo
collettivo sono da riferire al fatto che la malattia del bovino domestico consegue al
contatto con la pecora o con ruminanti selvatici nei quali assume andamento subclinico.
L’esame istologico assume particolare importanza potendo rilevare lesioni da ritenere
patognomoniche, quali la vasculite e la perivasculite e la proliferazione linforeticolare
degli organi linfoidi, associati ad infiltrazione da parte di mononucleati in sede epatica,
renale, surrenale e cerebrale. Se neces