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Cosa accadde? Arrivò al pronto soccorso un tossicodipendente di 40 anni, che però ne dimostrava 70. Era

immobile e si sospettava essere affetto da Parkinson. Altre persone che abusavano di F illegali arrivarono con

gli stessi sintomi. Anni prima, anche uno studente che cercò di sintetizzare da solo un oppiaceo (ma lo

sintetizzò sbagliato) accusò lo stesso sintomo. Si scoprì che la causa è un contaminante, l’MPTP, prodotto

durante la sintesi della droga di cui abusavano queste persone. Dopo anni si scoprì che l’MPTP nell’organismo

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viene metabolizzato a MPDP , il quale viene captato dai terminali dopaminergici, dove agisce da potente

neurotossina. È tossico in particolare per i neuroni dopaminergici perché sfrutta il trasportatore della

dopamina per entrare.

Si ipotizzò allora che anche nel Parkinson accadesse qualcosa di simile e si usò l’MPTP come modello per lo

studio della malattia. Dando l’MPTP al ratto non succede niente: a ritroso si scoprì che il ratto non converte

l’MPTP nel suo metabolita. Allora lo si è dato alla scimmia, la quale sviluppa qualcosa di identico al Parkinson.

Oggi si sa mimare il meccanismo della malattia in laboratorio: non si usa più la scimmia, ma si da il metabolita

al topo.

Oggi si sa che esiste una particolare vulnerabilità dei neuroni dopaminergici nella sostanza nera, che fa si che

essi degenerino a dare la malattia. Negli anni si è scoperto che esistono altre tossine (come paraquat) tossiche

per i neuroni dopaminergici.

Si comincia a capire quali sono i geni i cui prodotti sono coinvolti nella protezione delle cellule

dopaminergiche.

Esistono famiglie affette da Parkinson e si sono scoperti i geni responsabili. Esistono 16 geni diversi, la cui

mutazione può essere responsabile della patologia. Questi geni sono detti Park1, 2, 3 ecc. e codificano per

16 proteine diverse, che mutate, fan si che la cellula dopaminergica non sia più protetta dalla morte: spesso

causano un malfunzionamento mitocondriale delle cellule, che progressivamente degenerano.

Tutte le informazioni genetiche, ad oggi, non hanno aiutato la terapia. Ancora oggi si utilizzano F che derivano

dagli anni ’70, migliorati.

Si fa terapia di tipo sintomatico, perché non si può bloccare la degenerazione dei neuroni; si può far

funzionare meglio il circuito del movimento.

Farmaci che aumentano la funzione dopaminergica: la L-DOPA

Fan funzionare meglio le sinapsi che utilizzano dopamina, ridotte nello striato. La terapia di elezione, efficace

per i primi anni, fino a che la malattia non è devastante (non ci sono più terminali nello striato), si basa sulla

L-dopa, precursore della dopamina. Non si può dare direttamente dopamina, perché non passa la BEE. Se ci

sono ancora abbastanza terminali, questi possiedono l’enzima dopa-decarbossilasi che converte la L-dopa in

dopamina. La L-dopa è data per via orale, il problema è che la sua biodisponibilità è bassa (subisce prima

assorbimento, poi distribuzione, metabolismo e escrezione). A livello intestinale è ben assorbita, parte va al

fegato e viene degradata, e di quella che non subisce effetto di primo passaggio (circa il 30%) e va alla

circolazione sistemica, il 90% viene già convertita in dopamina nella circolazione sistemica con le dopa-

decarbossilasi periferiche. Quindi della dose iniziale solo l’1-3% è disponibile ad arrivare al cervello.

Questo è il motivo per cui la L-dopa non viene data da sola, ma si somministra con un inibitore dell’enzima

dopa-decarbossilasi periferico. Uno dei più noti inibitori è la carbidopa. In presenza di carbidopa avviene

ancora effetto di primo passaggio e conversione periferica, ma abbiamo ottimizzato il tutto il 10% arriva

al cervello e possiamo diminuire le dosi iniziali. Oltre alla carbidopa esiste anche la benzerazide.

La L-dopa è un’ottima molecola; migliora molto la rigidità e la bradicinesia, ma influenza poco il tremore. Il

problema è che la L-dopa ha importanti effetti collaterali:

o Effetti collaterali causati dalla L-dopa in periferia (periferici): si manifestano precocemente, nelle fasi

iniziali della terapia; sono effetti cardiovascolari e gastrointestinali:

✓ Ipotensione di tipo ortostatico e idea di cadere per terra l’abbassamento di pressione si

vede quando ci si mette in piedi

✓ Nausea e vomito: la dopamina è molto attiva sul centro del vomito e sulla CTZ (non coperti

da BEE, per questo periferico). Questi effetti sono curabili con antiemetici

o Effetti collaterali centrali, causati quando la L-dopa arriva al cervello:

✓ Discinesie

Alterazione del movimento; sono movimenti involontari afinalistici (il pz li fa senza volerlo) ma molto visibili.

Sono movimenti della testa, del collo, della lingua, delle braccia. Sono poco tollerati dai pz, perché diventano

così importanti da interferire con le attività motorie.

✓ Perdita di efficacia

Ad un certo punto, quando non ci sono più terminali nello striato nulla è più capace di convertire la L-dopa a

dopamina. Finchè non si potrà bloccare la degenerazione dei neuroni questo effetto è inevitabile e i pz ne

sono avvisati. Esiste la “luna di miele” da L-dopa: periodo in cui i pz rispondono bene e stabilmente al F, ma

è finito, e dura dai 3 ai 5 anni (in alcuni casi di più). Il problema è quando il Parkinson è genetico e si manifesta

in pz giovani.

✓ Fenomeni “on-off” e “wearing off”

Dopo la luna di miele emergono gli effetti collaterali. I pz si accorgono della diminuzione dell’efficacia e inoltre

la risposta non è stabile nella giornata: tra una dose e l’altra ci sono momenti in cui si muove bene e momenti

in cui non si muove si chiamano periodi “on-off” o fluttuazioni motorie. Questi fenomeni sono molto

disturbanti. I pz si accorgono anche che si sta avvicinando la fine della dose, cosa che nei primi anni non si

vede (effetto “wearing-off” o di fine dose).

✓ Effetti psicotici (psicotomimetici)

Nel 20% dei pz potrebbe dare allucinazioni e deliri. Dipende dal fatto che aumentiamo la dopamina anche

nella via mesolimbocorticale, importante per l’ideazione

Gli effetti collaterali più frequenti sono le discinesie e i fenomeni “on-off” e “wearing off”.

Come si ovvia ai problemi che insorgono nel tempo?

Si può associare la L-dopa, oltre agli inibitori delle DOPA-decarbossilasi periferiche, alla selegilina, inibitore

delle MAO di tipo B servono però sempre terminali funzionali, affinchè possiedano ancora le MAO, che

vengono inibite e quindi si risparmia dopamina. Molecola più recente è la rasagilina. Utili per evitare il

fenomeno del “wearing off” o effetto di fine dose.

Si può associare alla L-dopa anche gli inibitori delle COMT (enzimi catecol-O-metiltransferasi), come

tolcapone (ritirato per epatotossicità) e entacapone. Questi inibitori non passano la BEE (sono inibitori

periferici): siccome la maggior parte delle COMT è periferico (fegato, rene, GI), queste molecole agiscono a

livello periferico. Le COMT sono responsabili del catabolismo dell’L-dopa, che viene convertita a 3-OMD. Più

3-OMD formiamo in periferia, meno L-dopa rimane per arrivare al cervello.

Farmaci che aumentano la funzione dopaminergica: agonisti dopaminergici

I veri F che possiamo sostituire all’L-dopa sono F che aumentano la funzione dopaminergica (come la L-dopa

che è un precursore), ma agiscono come potenzianti perché agonisti dei recettori dopaminergici.

Sono di due tipi:

1. Derivati dell’ergot in particolare bromocriptina, lisuride, pergolide e cabergolina

2. Non derivati dell’ergot, come apomorfina, pramipexolo, ropirinolo, rotigotina

Ergot (o C. purpurea): è un fungo parassita delle graminacee, come ad esempio la segale, dove determina la

formazione di escrescenze simili a corna, da cui il nome di “segale cornuta”. Nei corpi fruttiferi sono contenuti

diversi alcaloidi velenosi o psicoattivi; sono vasocostrittori e interagiscono con il SNC.

Gli agonisti dopaminergici devono essere potenti e con una certa affinità per i recettori D2-like (soprattutto)

e i D3; sono molto meno attivi sui D1 (EC alta).

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Nel circuito sano del movimento c’è la corteccia, che comunica alle corna anteriori del midollo spinale per far

contrarre la muscolatura scheletrica; deve ricevere una serie di informazioni (di inibizione e stimolazione) e

quelle più importanti arrivano dalla sostanza nera. Nel morbo di Parkinson la sostanza nera degenera e non

può più inviare queste informazioni (dopamina). Nel circuito prevale quindi l’inibizione: si è scoperto, molti

anni fa, che il recettore D2 è quello più rilevante per spiegare come mai prevale l’inibizione nel circuito, dal

momento che di per se questi recettori sono i più inibitori; al contrario i D1 sarebbero stimolatori nel circuito.

Quindi è importante andare a stimolare con i F la via dopaminergica mediata dai recettori D2, perché vengono

meno nel circuito.

I D2-agonisti però hanno gli stessi effetti collaterali della L-dopa e sono meno efficaci. Il vantaggio è che si

possono dare nelle fasi iniziali della malattia: sono sufficienti a far muovere il pz e sono efficaci per 2-3 anni.

In questo tempo i pz non prendono L-dopa, ritardando l’inizio (e quindi la fine) della terapia con L-dopa si

sfrutta l’efficacia della L-dopa nelle fasi più avanzate della terapia. 

Il potenziamento della trasmissione dopaminergica è essenziale per la terapia della malattia di Parkinson

un altro F è l’amantadina, che potenzia la trasmissione dopaminergica.

La L-dopa funziona meno bene sul tremore. Si è scoperto che il tremore non dipende dalla trasmissione

dopaminergica. La sostanza nera non rilascia più dopamina nello striato, dove si verifica accumulo di Ach: si

ritiene che il tremore sia in gran parte legato all’eccesso di Ach nelle vie extrapiramidali. Nei pz dove il

tremore è importante si possono usare antagonisti per il recettore dell’Ach (recettori muscarinici, accoppiati

a proteine G) antagonisti muscarinici. In questo caso l’antagonista deve passare la BEE (rispetto invece ad

uno spasmolitico). L’Ach però è importante per le funzioni cognitive: è un compromesso. I più usati sono

triesilfenidile, biperidene e orfenadrina.

Sono usati dove il tremore è molto importante, ma sono utili soprattutto nei parkinsonismi; funzionano quasi

niente sulla bradicinesia, ma un po’ funzionano anche sulla rigidità.

Usare questi antagonisti può dare confusione (perché Ach è legata a effetti co

Dettagli
Publisher
A.A. 2016-2017
8 pagine
SSD Scienze biologiche BIO/14 Farmacologia

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher ctfery di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Farmacologia generale e farmacoterapia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Piemonte Orientale Amedeo Avogadro - Unipmn o del prof Grilli Mariagrazia.