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Barcellona, del 1929. Il fatto che il bando di costruzione di una simile e simbolica architettura per

quella data importantissima fu affidato a Mies, ci fa comprendere quanto questo architetto in vita fu

stimato ed apprezzato dalla critica a lui contemporanea. In questa opera vi è una solidificazione 3D

dei principi del “De Stael”, secondo una progressiva semplificazione della struttura costruttiva:

basata su 8 pilastri in contrappunto con i setti portanti. I pilastri “cruciformi” miesiani hanno un

valore prettamente “tettonico”, mentre i setti ne hanno uno “stereometrico”, in totale dicotomia tra

loro, ma magnificamente fusi insieme in una sincronia unica nella storia dell'architettura. Tuttavia,

ai principi astratti del “De Stael”, egli oppone un meticoloso studio naturalistico della venatura delle

lastre usate. Il grande setto centrale in onice determina la proporzione degli altri setti, esso è infatti

un grande monolite appositamente scelto dallo stesso architetto. Mies, in realtà, avrebbe voluto

utilizzare il marmo pario all'inizio ma, poiché la costruzione fu richiesta in inverno e dato che in

questa stagione quel tipo di materiale è ricoperto da uno strato di umidità che lo rende difficilmente

trattabile, si optò per l'onice. Il rapporto fisico, inteso come materico, che Mies attua tra le varie

parti, è estremamente tattico, basato cioè sulla materia che si può e si deve poter toccare con mano.

Nelle proporzioni geometriche su cui si basa l'intervento è inclusa anche la grande vasca d'acqua e i

luoghi di servizio. Nella architettura neoplastica non esisteva l'idea di una gerarchizzazione dei

materiali mentre Mies idea un diverso ruolo per ogni diverso materiale usato. I pilastri cruciformi

sono dati dall'unione di quattro elementi ad “L”, a formare il setto detto appunto a “croce”. Tra una

“L” e l'altra egli pone dei distanziatori a “T”, rivestiti a vista da un elemento cromato. La vicinanza

tra il setto in onice (che ha funzione estetica) e un pilastro (che ha funzione statica), ci indica

proprio quella volontà di fondere insieme diversi atteggiamenti in modo sintetico. La statua posta

nella vasca retrostante ci indica il suo chiaro legame con la poetica neoclassica e romantica. Anche

la venatura del setto che si apre su questa statua, entro una vasca d'acqua, è disposta secondo un

principio speculare, dal chiaro sapore bizantino.

Padiglione tedesco per l'esposizione universale di Barcellona

Altra grande opera di questa fase è la “Casa Tugendhat”, a Brno, del 1928-1930. I committenti

erano un ricco industriale del vetro e la moglie. Il lotto era irto su di un colle soleggiato con una

bella vista sul campanile della cattedrale di Brno. L'unico problema del lotto era un'inclinazione del

terreno rispetto alla quota dell'ingresso principale. Vedremo che Mies saprà sfruttare

intelligentemente questa “pecca”, trasformandola in una risorsa. In effetti la zona notte è al livello

dell'ingresso mentre, attraverso una scala e scendendo di quota, si arriva alla zona giorno. La casa fu

molto dispendiosa, non tanto per la componente strutturale, quanto piuttosto per la vasta gamma

tecnologica che all'interno vi è custodita (filtri per l'aria removibili, automatizzazione della caldaia

attraverso un percorso per il camion del carbone che poteva scaricare la materia entro uno scivolo

che alimentava la caldaia stessa, ecc .. ). La zona notte è tradizionale e funzionale, ma è nella zona

giorno che il genio miesiano si esplicita maggiormente. La fluidità spaziale domina incontrastata,

aprendo la vista sul paesaggio attraverso una vetrata di ben 24 metri, suddivisa in 4 finestrature di 6

metri ciascuna (le due centrali, attraverso un processo motorizzato, posso scomparire nella

pavimentazione sottostante). Accanto alla zona “living” vi è una serra o giardino invernale che

affaccia sull'esterno e che illumina anche lo studio direttamente adiacente che può essere un vero e

proprio privè grazie a dei tendaggi scorrevoli che lo possono isolare dal resto della zona giorno. Lo

studio è quindi illuminato da una luce diffusa (che filtra attraverso la serra) e non abbagliante. Il

verde, la natura, la serra nel nostro caso, è un elemento di filtro, plasmato dalla mano dell'uomo. La

grande vetrata in affaccio può inoltre acutizzare l'illuminazione dello studio poiché la luce, filtrando

per essa, viene riverberata su una lastra in onice dorata che, a sua volta, trasmette luce al detto

studio. Interessante è anche l'alcova curva in mogano, secondo l'idea conviviale del Simposio

platonico. A cosa servivano i 150 metri quadrati di seminterrato ? Facile rispondervi: rimessa mobili

da giardino, sala per la fotografia (cui il committente era appassionato), sala per la rimessa delle

numerose pellicce della signora, lavanderia con uno dei primi esempi di lavatrice, vano per il

motore delle finestre della zona giorno e locale caldaie. La grande ricchezza tecnologica nasconde,

in realtà, una struttura reticolare in acciaio. Mies utilizzò una differenziazione dei pilastri della zona

giorno con quelli della zona notte e con quelli del seminterrato. La superficie di acciaio cromato

usata per rivestire il pilastro è unica, quasi a voler identificare l'unicità del pilastro con la superficie

delle pareti laterali che sono vicine. In opposizione all'idea del contrappunto tra setto e pilastro del

padiglione Barcellona, qui nessuno spigolo del pilastro è lasciato in vista, quasi a voler camuffare

un'apparente unicità dell'elemento strutturale. E questa unicità è data dalla stondatura delle superfici

angolari. Il tutto a enfatizzare un grande effetto coloristico.

Dettagli
A.A. 2015-2016
8 pagine
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SSD Ingegneria civile e Architettura ICAR/18 Storia dell'architettura

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher gabriele.marella di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia dell'architettura contemporanea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Marchegiani Cristiano.