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LABORATORIO DI PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA I

Prof. Gino Malacarne Cristiana Sabetta

A.A. 2024/2025

Corso di Laurea Magistrale a ciclo unico in Architettura

Dipartimento di Architettura – Università di Bologna, Campus di Cesena

Ludwig Mies van der Rohe fu un architetto nato nel 1886 ad Aquisgrana, in Germania.

Ultimo di cinque figli, di padre muratore e scalpellino che possedeva un laboratorio specializzato in

monumenti funerari. Van der Rohe frequenterà la Spenratschule, una scuola di arti e mestieri e, allo stesso

tempo, per mantenersi, lavorerà per la Max Fischer, specializzata in decorazione d’interni.

Con queste esperienze, l’architetto imparerà a disegnare a mano libera, lavorando anche gratuitamente in

alcuni cantieri. Questa passione lo porterà a contatto con vari architetti, trasferendosi di conseguenza a

Berlino.

In Germania lavorerà con Bruno Paul e Peter Behren, che lo metteranno in contatto con Gropius e

successivamente con Le Corbusier.

Van der Rohe cercherà di rappresentare l’architettura e il design del proprio tempo, traducendo l’epoca in cui

egli viveva. Bisogna ricordare che l’architetto aveva vissuto il periodo compreso tra le due Guerre Mondiali

e di conseguenza, con la nascita delle dittature, fu costretto a trasferirsi in America. Nel 1933 infatti, il

regime nazista chiuse la Bauhaus, una scuola di arte e design con ideali comunisti, di cui van der Rohe era

diventato direttore per un breve periodo di tempo. Nonostante la chiusura, le idee della Bauhaus hanno

continuato a diffondersi nel mondo, come negli USA, Svizzera, Russia, Israele e altri paesi.

In America van der Rohe verrà nominato direttore della School of Architecture presso l’Armor Institute di

Chicago. Resterà direttore della scuola per i successivi 20 anni, fino a quando non andrà in pensione nel

1958.

Con Mies van der Rohe si parla di un minimalismo formale, in cui l’essenza delle cose si ottiene

aggiungendo il meno possibile. Si parla di una predilizione per la semplicità, in quanto si rinuncia allo sfarzo

ottocentesco che presentava numerose finiture. Viene considerata allora un’idea democratica questa necessità

di eliminare le decorazioni.

Il pensiero di van der Rohe si riassume quindi nella frase coniata da Behrens: Less is more.

Mies van der Rohe ha ricevuto molte influenze dal passato.

L’esempio più importante è quello di Karl Friedrich Schinkel, architetto e pittore prussiano, e il maggiore

artefice del volto ottocentesco di Berlino. Sia Schinkel che Mies van er Rohe, condividono una preferenza

per la razionalità e la chiarezza formale, rifiutando l’ornamento superfluo. La loro relazione era indiretta ma

significativa allo stesso tempo, in quanto erano legati da una continuità di valori architettonici, dall’eleganza

formale del neoclassicismo e dalla modernità.

L’architetto ha ricevuto anche altre influenze importanti da parte di Frank Lloyd Wright, per quanto riguarda

in particolare il tema del distacco. Il tema del distacco ha fondamenta nel filosofo Eckhart, è sia un principio

morale che atto razionale, consiste nell’allontanarsi da ciò che è materiale, così da raggiungere la vera

sostanza, ciò che realmente siamo nello spirito.

Tale tema è anche presente in van der Rohe, che rinuncia alla forma come scopo finale e all’idea

dell’incessante invenzione creativa. Frank Lloyd Wright si differenzia proprio per questo, in quanto cerca un

costante perfezionamento delle soluzioni architettoniche, focalizzandosi su chiarezza e ordine.

Per Mies van der Rohe, infatti, si può arrivare all’essenza delle cose solo attraverso la sottrazione e, di

conseguenza, si arriva alla massima vicinanza con Dio secondo Eckhart. Viene quindi valorizzato il vuoto

come pienezza delle cose.

Un esempio che rappresenta al meglio tale concetto è la Neue Nationalgalerie a Berlino, ovvero un museo

destinato ad occuparsi dell’arte del ventesimo secolo. La Neue Nationalgalerie fa parte di un ampio progetto,

il Kulturforum, che è un complesso di edifici culturali di Berlino dedicato all’arte contemporanea.

Mies van der Rohe lo troviamo anche come grande esponente del movimento espressionista, fondatore della

rivista “G” nei primi anni Venti. Egli parla di “Architettura senza uno spazio interno”, in cui ci sono piani

sfalsati, mattoni ruvidi e grezzi, come se fossero spezzati: si parla infatti di una deformazione, proprio come

l’urlo di Munch. Basti pensare al grattacielo sulla Friedrichstrasse, nato nel 1921, dotato di vetri sfaccettati

che captano la luce, cercando di eliminare la separazione tra mondo esterno e interno. Dall’interno della

struttura, infatti, si vede la città che vive, mentre dall’esterno si intravede la struttura.

Un’altra opera importante che riassume le esperienze precedenti è il Padiglione di Barcellona del 1929,

costruito in occasione dell’esposizione internazionale. Tale padiglione rappresenta l’idea di casa per van der

Rohe, che è semplicemente un tetto e un recinto. Il tetto è sorretto da pilastri, richiamando il tempio classico;

questa tecnica è resa possibile grazie all’uso del pilastro in acciaio, organizzato a croce, che ha il fine di

sostenere maggiormente la struttura. All’interno del padiglione, le pareti servono solo per una dimensione

spaziale, in quanto sono proprio i pilastri che sorreggono l’intero edificio.

Villa Tugendhat a Brno, nella Repubblica Ceca, è uno dei più importanti lavori dell’architettura moderna,

progettata da Mies van der Rohe e completata nel 1930.

La Villa è stata costruita per Mr. e Mrs. Tugendhat, discendenti dei proprietari della fattoria di Brno. La

famiglia era rimasta affascinata dal padiglione di Barcellona del 1929 a tal punto che commissionarono gli

autori così che potessero creare una villa nel medesimo stile. Nel corso della costruzione, van der Rohe ebbe

numerosi contrasti con gli architetti del luogo, che consideravano inopportuno adattare il progetto di un

padiglione a quello di una casa privata.

La casa verrà vissuta per poco tempo, in quanto nel 1938 la villa venne requisita dalle truppe di occupazione,

diventando sede delle SS a Brno. Verrà utilizzata come asilo nido nel dopoguerra e dal 2012 è stata riaperta

al pubblico.

L’edificio è distribuito su tre piani, con la vista sul centro storico della città.

Il piano terra presenta la zona notte della villa: oltre alle stanze da letto della famiglia, c’è anche un piccolo

nucleo abitativo dedicato al custode della casa, direttamente annesso al garage.

Riguardo le camere da letto di Greta e Fritz Tugendhat, sono stanze molto semplici, rettangolari, con armadi

e porte a tutta altezza, che permettono una buona connessione con l’esterno. Gli stessi principi valgono per le

stanze dei bambini, per i due figli e la figlia. L’eccezione è la stanza della governante, che non è collegata

alla terrazza esterna ed è usata anche come stanza per gli ospiti.

Per arrivare al primo piano interrato, si prende una scala a chiocciola. Questo piano comprende la zona

giorno dell’abitazione.

La terrazza principale della residenza è collegata al soggiorno. Di rilevante importanza è il vetro opaco, che

da un lato offre privacy, così non si può vedere cosa succede nel terreno adiacente, e allo stesso tempo crea

una sorta di barriera che separa gli spazi.

L’ampio salotto, di circa 250mq, è suddiviso per mezzo di elementi architettonici di diversa tipologia, come

la parete in onice, tendaggi, vetrate, parete semicircolare in ebano, ed è inoltre aperto al giardino per mezzo

di ampie finestre scorrevoli.

La casa è, in realtà, strettamente rettangolare, ma presenta alcune eccezioni. Ci sono un paio di sezioni in cui

la geometria viene "spezzata"; ad esempio, una parte della casa assume la forma di un cerchio. L’ingresso

della casa, infatti, è enfatizzato da questa forma particolare, come anche la nicchia da pranzo. Nelle case

tradizionali, il ruolo principale è giocato dalle pareti. Qui non è così. Le pareti non sono portanti; la struttura

portante è in acciaio, sottile, quasi invisibile. Ogni volta che c’è una parete, essa ha un altro ruolo. La parete

di onice svolge per esempio una funzione decorativa, creando una piccola divisione tra lo studio e la zona

giorno. La parete di onice è considerata il pezzo più costoso di tutta la casa e proviene dal Marocco. Ha solo

7cm di larghezza, e quando il sole batte sulla parete, questa cambia colore.

Uno dei motivi principali per cui questa casa è considerata una delle opere più importanti di van der Rohe, è

perché si tratta di uno spazio completamente unico: uno spazio fluido, che include una sala musicale, una

sala da pranzo, una biblioteca, uno studio, un giardino e una vista sul quartiere. Tutto è unito in un’unica

area.

Molti pensano che l'architetto avesse totale libertà di progettare come voleva, ma in realtà non era affatto

così. Le idee della famiglia su diversi aspetti del progetto erano molto diverse dalle sue. Ad esempio,

desideravano che le colonne in acciaio, in una certa zona della casa, fossero nascoste dentro le pareti, per

conferire uno stile più tradizionale e intimo. L'architetto ha accettato questa richiesta, ma ha insistito su un

altro punto fondamentale: tutte le porte e le finestre dovevano arrivare dal pavimento al soffitto. La famiglia

inizialmente non era favorevole, perché questo avrebbe comportato costi elevati, ma lui non ha ceduto, e

sapeva bene per quale motivo. Da un lato, questa soluzione conferiva un senso di grandezza e solennità

all'ambiente, mentre dall'altro lato aveva anche un aspetto pratico: consentiva infatti una ventilazione più

efficace, evitando l'accumulo di aria stagnante vicino al soffitto e permettendo una circolazione ottimale

dell'aria in tutta la stanza.

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Ingegneria civile e Architettura ICAR/14 Composizione architettonica e urbana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher criistiana di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Laboratorio di progettazione architettonica i e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bologna o del prof Malacarne Gino.
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