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E. Casari, Logiche del nonessere, in “Rivista di filosofia” vol.C, n.1, aprile 2009 pag.
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prospettiva ontologica Meinongiana che però si divise in due distinti
percorsi.
2.Uno dei filosofi più significativi in quel periodo fu sicuramente
Terence Parsons che con la sua opera Nonexistent Objects, divenne
uno dei massimi esponenti della prospettiva ontologica. Egli cercò di
ricostruire il punto di vista di Meinong accettando però dei punti
essenziali della teoria di Frege e Russell. È necessario, dunque in
questa sede fare una breve digressione in merito al pensiero di Frege.
Über Sinn und Bedeutung del 1892, è sicuramente l’articolo a cui si
deve fare riferimento quando si parla di esistenziali negativi. Per
comprendere il punto da cui partì Frege è necessario citare una frase
delle confessioni di Sant’Agostino che afferma: “Quando (gli adulti)
nominavano qualche oggetto, e, proferendo quella voce, facevano un
gesto verso qualcosa, li osservavo e ritenevo che la cosa si chiamasse
col nome che proferivano quando volevano indicarla. (…) Così,
udendo spesso le stesse parole ricorrere al posto appropriato in
proposizioni differenti, mi rendevo conto poco a poco di quali cose
esse fossero i segni e avendo insegnato alla lingua a pronunziarle,
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esprimevo ormai con esse la mia volontà». Frege chiaramente
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giudicò tale visione troppo superficiale per cui secondo il filosofo il
significato di una parola non si esaurisce solo nell’oggetto che essa
denota. Frege distinse la denotazione (bedeutung), cioè l’oggetto per
cui la parola sta, dal senso (sinn), ossia il suo valore informativo. Il
referente (bedeutung) è certo l’oggetto fisico in alcuni casi, ad
esempio se si dice “il presidente Obama” è chiaro che corrisponde ad
una persona reale, mentre se si dice “la radice quadrata di quattro”
essa corrisponde ad un numero perciò esiste oggettivamente come
entità astratta ma in un “terzo regno” distinto sia dalle entità fisiche
che da quelle psichiche. La distinzione tra senso e referente vale sia
per i termini singolari, sia per i predicati e sia per gli enunciati. Dei
termini singolari fanno parte i nomi propri e le descrizioni definite
(cioè quelle locuzioni con cui ci si riferisce ad un termine singolare,
ad esempio “il maestro di Aristotele”). Secondo Frege un nome
rappresenta un’abbreviazione di una descrizione definita perciò il
senso di esso è quello che si evince dalla descrizione definita,
chiaramente però è difficile stabilire a quale descrizione definita
A.A. d’Ippona, Confessioni, I, 8
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corrisponde quel determinato nome e quindi quale senso abbia, ad
esempio il nome “Platone” può essere collegato sia alla descrizione
definita “lo scrittore di libri che hanno come personaggio principale
Socrate” ma anche, appunto “il maestro di Aristotele” ecc., per cui
Frege sottolineò il primo difetto del linguaggio naturale,
l’impossibilità, cioè, di attribuire uno specifico senso ad un nome. In
un linguaggio ideale ciò sarebbe possibile invece. Per cui il senso è ciò
che richiama in un discorso l’ente che gode della o delle proprietà che
sono state espresse dal senso stesso e che permette di chiamarlo con il
suo nome. Il senso porta con se un certo grado di soggettività poiché
ogni individuo può attribuire allo stesso nome un senso diverso, solo
in un linguaggio ideale ad ogni nome corrisponderebbe un solo senso.
Inoltre il senso è ben differente dalla rappresentazione, mentre le
rappresentazioni sono nozioni psicologiche, il senso è una nozione
logica che può essere afferrata da chiunque e su questo si basa la
possibilità della comunicazione per mezzo del linguaggio. Il senso non
coincide neanche col tono di una rappresentazione, e per tono si
intende il differente modo linguistico con cui si da lo stesso senso (ad
esempio “la regina di Inghilterra” ha lo stesso senso della “la Reine
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d’Angleterre sebbene abbia un tono diverso). Per quanto riguarda i
predicati, Frege li vide come espressioni incomplete che devono
appunto, essere completate da un nome per formare un enunciato. I
predicati a due posti, a tre posti ecc. (“…ama…”ad esempio) vengono
visti da Frege esattamente come delle funzioni insature nel senso
insiemisticomatematico. “Ora, secondo Frege, il referente di un
predicato a n posti è una funzione a n argomenti il cui dominio è dato
dall’insieme di tutti gli oggetti e il cui codominio è dato dai valori di
verità, ossia il Vero e il Falso” . Il Vero e il Falso sono visti da Frege
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come due oggetti astratti. La funzione viene da lui denominata
concetto. Invece “l’esser buono” o “la sincerità” non sono concetti veri
e propri ma correlati di concetti dato che sono nominalizzazioni del
predicato. Ora per quanto riguarda gli enunciati, un enunciato è una
proposizione a cui si attribuisce un valore di verità, difatti una delle
tesi di Frege afferma che “l’estensionalità è la denotazione di una
F. Orilia, Ulisse, il quadrato rotondo e l’attuale re di Francia, edizioni ETS, 2002,
29
pag. 66
N. Grana, Epistemologia della matematica. Ontologia, verità, valutazione, L’Orientale
editrice, 2001, pag 191 44
proposizione che assume il vero e il falso” . Chiaramente se un
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enunciato è vero vuol dire che quello a cui l’enunciato si riferisce
corrisponde alla descrizione dell’enunciato nella realtà. Il referente di
un enunciato risulta, nella visione fregiana, dall’unione di un
predicato P e di un termine singolare t. “Poiché il referente di P è una
funzione (insatura), è in grado di saturarsi ospitando come argomento
il referente di t e dando come valore un valore di verità” . Quindi il
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referente di P(t) è identificato col Vero oppure col Falso. Il senso di un
enunciato è, invece, rappresentato dal pensiero. Per pensiero non si
intende un’entità psichica ma un’entità che esiste nel terzo regno di cui
si è detto precedentemente per cui esso esisterebbe anche se non ci
fosse alcun essere pensante. Gli esseri pensanti però catturano con la
loro attività psichica delle proposizioni. È interessante notare che
secondo Frege, il senso determina il referente ma non viceversa e ogni
senso ha solo un referente ma è possibile che un espressione abbia
senso ma non abbia un referente (“la fenice” ad esempio) oppure che
espressioni con lo stesso senso abbiano lo stesso referente. Se si
30 F. Orilia, Ulisse, il quadrato rotondo e l’attuale re di Francia, edizioni ETS, 2002,
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pag. 67 45
prende in considerazione l’enunciato considerato da Frege stesso
“Ulisse approdò ad Itaca immerso in un sonno profondo”, è possibile
notare che qui non si sta parlando di un personaggio esistente e Frege
arriva alla conclusione che questi enunciati non siano né veri né falsi.
Ma perché? Perché essi esprimono un senso, un pensiero perché i
termini in essi presenti esprimono concetti individuali ma non hanno
significato perché privi di referente. Infatti dal momento che Ulisse
non ha referente la funzione a cui si riferisce il predicato “approdò ad
Itaca immerso in un sonno profondo” non può venire saturata e quindi
non può generare né un valore di verità né uno di falsità. Nel caso in
cui, però, gli enunciati che contengono un termine non denotante si
trovino in un contesto intensionale essi acquistano un referente
(es.“Maria crede che la fenice ha le piume azzurre”), in questo caso
chiaramente gli enunciati sono o veri o falsi. Anche i contesti
paratestuali come ad esempio “Nell’Odissea si dice che Ulisse…” si
parla di contesto intensionale. In questo modo Frege riuscì a dare un
valore di verità a termini singolari non denotanti senza postulare gli
oggetti inesistenti. Dopo questa lunga digressione è necessario
ritornare a Parsons che riprese la teoria della quantificazione di Frege
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intendendo però i quantificatori in senso antiattualista. Quindi
secondo Parsons, il quantificatore esistenziale spazia sia su oggetti
esistenti che inesistenti e va letto come «c’è almeno un oggetto x tale
che…» e non «esiste almeno un oggetto x tale che» ” Frege invece
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affermò che “un concetto di primo livello C cade sotto il quantificatore
esistenziale se e solo se vi è (ossia, esiste) almeno un oggetto che cade
sotto C” . Intendendo per concetto di primo livello delle funzioni che
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vengono saturate da oggetti, mentre quelli di secondo livello vengono
saturati da altri concetti. Comunque la speculazione di Parsons si
mosse dalla dualità delle proprietà e relazioni nucleari e proprietà e
relazioni extranucleari. Per avvallare tale teoria, già precedentemente
presa in considerazione da Mally (come già visto, sebbene Mally
avesse usato una diversa nomenclatura), Parsons mostrò dunque,
qualche esempio per distinguerle senza fondare però dei criteri precisi.
Le proprietà nucleari sono quelle concretizzanti (l’essere rosso,
l’essere rettangolare ecc.) mentre le proprietà extranucleari sono
. Orilia, Ulisse, il quadrato rotondo e l’attuale re di Francia, edizioni ETS, 2002,
32 F
pag. 137
. Orilia, Ulisse, il quadrato rotondo e l’attuale re di Francia, edizioni ETS, 2002,
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pag. 75 47
l’esistenza, l’essere possibile ecc. ma anche proprietà derivanti da
relazioni intenzionali (pensato da Kant, visto da Ada ecc.). Quindi in
merito alle proprietà nucleari, Parsons accettò il principio degli
indiscernibili, che afferma che se x e y hanno le stesse proprietà
nucleari allora x=y. Le proprietà nucleari sono quelle proprietà che
l’oggetto ha a prescindere da ciò che venga pensato su di esso e che lo
distinguono da tutti gli altri oggetti e che quindi non sono collegate
alla sua esistenza o alla sua non esistenza. “Si chiami nucleo di x,
l’insieme delle proprietà nucleari di x. Si supponga che Meinong stia
pensando all’oggetto incompleto il cui nucleo è costituito dalle sole
proprietà quadrato e rotondo. Dunque, tal