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Il valore spartano può mettere in imbarazzo i tattici più navigati: rimonta spartana! Al
dell’esercito spartano
centro la situazione era ben diversa: il grosso che stava al centro
il centro dell’esercito nemico (Argivi) e una parte dell’ala sx di
ricacciò fieramente
quest’ultimo sx
(gli argòlici di Cleone e Ornee, alcuni opliti ateniesi). Il resto dell’ala
nemica (il resto degli opliti ateniesi) fu contemporaneamente oppressa dai Tegeàti.
Infine tutte le truppe di parte ateniese si ritirarono, profittando del soccorso prestato da
Àgide alla sua ala sx ancora tartassata dai Mantineesi, Àrcadi e Argivi. L’esercito
Vittoria di Sparta e la conta dei morti. Le conseguenze della battaglia.
nemico dovette seppellire molti caduti. Mentre Sparta contava poche centinaia di
caduti, l’esercito nemico piangeva la morte di tutti gli Argòlici di Ornee e Cleone, di
700 Argivi, di 200 Mantineesi, di 200 opliti ateniesi nonché di ambedue gli strateghi.
Non solo Sparta vinse una delle più importanti battaglie di sempre contro Atene (e
ma nell’ottica della GDP la sua vittoria contribuì
Argo), notevolmente a preservare la
supremazia spartana nel Peloponneso e a rendere giustizia alla fama dei suoi opliti.
il disegno dell’asse Argo-Atene
Infatti di isolare una Sparta sempre più debole e
nemica di tutti, dopo una battaglia del genere, non avrebbe più potuto essere attuabile.
A conferma di ciò, la stessa Argo ebbe dei seri ripensamenti circa la propria alleanza
con Atene. Ugualmente, dopo il 418 a.C., non avrebbe più potuto essere attuabile
quell’alleanza
nemmeno tra Atene e Sparta fantasticata nel 421 a.C.
Argo ancora indecisa tra Sparta e Atene. La flebile amicizia tra Sparta e
Argo. Argo dalla parte di Atene! Atene attacca Melo (forse) come
dimostrazione di forza (417-416 a.C.)
Argo fa il voltafaccia: si allea con Sparta (ma durerà molto poco). A Tegèa, Argo
stipulò, con un’ambasceria spartana e in presenza di altre ambascerie compresa quella
ateniese, un trattato di pace. Subito dopo ad Argo si fecero presto sentire gli elementi
filo-spartani oligarchici, che infine prevalsero (ma la democrazia era ancora vigente):
abbandonò la ‘quadruplice alleanza’ (alleanza peraltro già impoverita dall’assenza
degli Elei, nella battaglia di Mantinèa) e stipulò un trattato cinquantennale (che però si
rivelò effimero) atto a saldare una più nutrita amicizia con Sparta. Sparta e Argo
cercarono l’alleanza del mutevole Perdìcca e dei Calcidesi di Tracia e si accordarono
sulla fine delle ostilità tra Argo ed Epidauro (da cui anche Atene aveva ormai levato il
suo presidio).
Sparta domina nel Peloponneso: la Lega peloponnesiaca viene rimpinguata. Ora era
Atene che rischiava di restare isolata e chiusa a nord e a sud. Sparta a tal punto si
concentrò nel contenere l’autonomia degli Stati del Peloponneso e soprattutto quelli
che le erano divenuti ostili: Mantinèa ormai isolata fu costretta dalle circostanze ad
allearsi con Sparta; una parte dell’Arcadia controllata da Mantinèa fu ceduta a Sparta;
nel 417 a.C. nella stessa Argo 1000 Spartani e 1000 Argivi imposero un’oligarchia
due Stati alleati). Quest’azione le costò
(misura che andava contro i normali rapporti tra
la recente amicizia con Argo, i cui sentimenti peraltro erano radicati e volti alla
democrazia, regime che infatti essa instaurò di nuovo (estate del 416 a.C.), profittando
–
di una celebrazione religiosa a Sparta ad Argo la fazione filo-spartana più volte
avrebbe pregato Sparta di intervenire, ma non ottenne mai più risposta. Nel 416 a.C.
Argo si riavvicinò ad Atene con un’alleanza di pace cinquantennale. Atene (ovvero
Alcibiade) pensò di far costruire ad Argo delle lunghe mura fino al mare: gli Spartani
guidati da Àgide, però, reagirono duramente distruggendo quelle in costruzione e
uccidendo tutti gli Argivi che riuscirono a catturare.
Infine tra gli alleati della ‘quadruplice alleanza’ gli Elei non furono guadagnati alla
causa spartana. Essi non rientrarono più nella Lega peloponnesiaca.
Nuovo attacco all’isola di Melo. Riguardo a Melo (i cui abitanti in origine erano coloni
di Sparta) c’era già stato un precedente: nel 426 a.C. Melo, allora neutrale, era stata
devastata da Nicia, per accrescere e peggiorare il blocco navale e commerciale
peloponnesiaco; in risposta l’isola passò alla guerra. Nell’estate 416 a.C., con 38 navi
e 3000 uomini, Atene ricorse prima alla diplomazia (che pare falsa e spregiudicata col
senno di poi), poi assediò la restia Melo con la strategia del blocco murario, al quale
l’isola non resistette a lungo – fino all’inverno dello stesso anno. Sebbene molti si
arresero, la severità di Alcibiade punì tutta l’isola in modo crudele: maschi adulti
uccisi, donne e bambini resi schiavi, ripopolamento con 500 coloni ateniesi.
Comunque, l’attacco ateniese del 416 a.C., come si spiega se non come un regolamento
di conti contro una comunità renitente? Oppure Atene voleva rimarcare la sua ‘pre-
potenza’ nel Peloponneso come rappresaglia, dopo il severo comportamento di Sparta
verso l’amica Argo?
Viaggio senza ritorno in Sicilia (415-413 a.C.)
Richiesta d’aiuto di Segèsta: Atene dopo tanto deliberare si convince ad
attaccare Siracusa
Nell’estate del 414 a.C. la pace di Nicia fu violata e la guerra diretta fra Atene e Sparta
Sparta invase l’Argolide e Atene devastò alcune
riprese: da un lato póleis della
dall’altro
Laconia, Sparta aiutò Siracusa contro Atene. Nel 413 a.C. Sparta riprese a
invadere l’Attica, ma il contesto bellico era mutato: fu costruita la fortificazione di
in poi una vera e propria spina nel fianco per Atene. Decelèa era sita
Decelèa (d’ora a
al confine tra l’Attica e
nord di Atene, la Beozia) e il fronte siciliano era già diventato
importante. “Questo fu l’evento più grande della GDP,
Tucidide disse di questo conflitto:
considerato da tutti compreso me come il più splendido per i vincitori [Siracusa e
il più rovinoso”.
Sparta] e per gli sconfitti [Ateniesi]
416 a.C.: Atene aiuta Segèsta in prospettiva anti-siracusana. Per Tucidide Atene
–
commette una follia. Il precedente della spedizione ateniese del 424 a.C. un vero buco
nell’acqua – non pregiudicò l’interesse della pólis verso la Sicilia (infatti le operazioni
diplomatiche dell’ateniese Feàce nel 422 a.C. lo testimoniano, così come lo testimonia
l’alleanza stretta con Segèsta nel 418 a.C.). Anche se in realtà Atene non aveva bisogno
di una ragione plausibile per estendere il suo potere in Sicilia, Segèsta gliene fornì una:
nell’inverno del 416-415 a.C. degli ambasciatori di Segèsta (in Sicilia a nord-ovest)
chiesero aiuto militare ad Atene, perché avevano problemi con Selinunte, alleata di
Siracusa. A detta di Segèsta, ad Atene il non intervento poteva costare caro: se le città
filo-ateniesi in Sicilia fossero state annientate, Siracusa (antica colonia corinzia,
dunque di origine dorica) e le altre città doriche avrebbe fatto fronte comune con Sparta
per sbaragliarla in Grecia.
Qui bisogna aprire una parentesi. Il passo di Tucidide in cui si parla della decisione di
Atene di intervenire in Sicilia non è così pacifico a una comprensione definitiva dei
fatti. Pare infatti che Atene non si fosse disposta subito per stanziare le sue forze in
Sicilia, ma Tucidide fa figurare le operazioni in Italia come un fatto celere, per un
un’ambasciata ateniese parte e ritorna da
motivo ben preciso che tra breve vedremo:
Segèsta nello stesso inverno del 416-415 a.C. al fine di capire se la pólis siciliana
disponesse di forze sufficienti per la guerra, ma questi fatti non dovettero accadere in
–
così breve tempo. Tucidide come poi farà Tacito nel suo stile più asciutto e
–
comprensivo di più informazioni opera una concrezione di fatti allo scopo di
presentare la repentina ‘follia’ e irrazionalità di Atene (cioè del dèèmos) per essersi
cacciata in un’impresa fuori dalla sua portata. A tale proposito lo storico dedica un
passo alle antiche e solenni origini della Sicilia; parimenti dedica delle parole per
sottolineare l’ignoranza di molti Ateniesi circa le reali dimensioni dell’isola; infine egli
usa un lessico attinente al campo semantico dei desideri incontrollati. Come abbiamo
detto anche più su Atene non fece tutto e subito, ma alla Sicilia ci pensava già dal
periodo in cui erano vivi Cleòne e Bràsida. Agli occhi di Tucidide, che osserva con
sguardo retrospettivo, la spedizione siciliana dovette sembrare una pazzia, poiché al
periodo Atene godeva di una situazione di gran vantaggio (che però aveva cominciato
a incrinarsi, in modo considerevole, con la perdita delle ricche città della Calcidica, la
sconfitta subita nella battaglia di Mantinèa e la progressiva terra bruciata fatta con i
vecchi alleati corsi ai ripari) nei confronti di Sparta, una situazione di vantaggio che
non tornerà più.
Atene accetta la partita: 60 navi per 60 talenti. La missione ufficiale. Le rispettive
ambasciate, quella ateniese e quella segestana, si convinsero della reciproca
–
disponibilità di mezzi quella ateniese ritenne che Segèsta aveva sufficienti risorse
(che però nel momento del bisogno si rivelarono insufficienti), cosa che fu confermata
che l’ambasciata segestana portò con sé. L’ekklhsìa
dai 60 talenti ateniese approvò la
spedizione di 60 navi, mettendovi a capo Alcibiade, Nicia e Làmaco in qualità di
‘comandanti con pieni poteri’.
La missione, sulla carta, consisteva nell’aiutare Segèsta dando battaglia a Selinunte,
ricostituire Leontini e ‘sistemare la situazione in Sicilia nel modo più vantaggioso per
Atene’ (cioè cercare solide alleanze per asservirla). Di fatto, Atene si lasciava il
privilegio di agire come meglio credeva.
L’ekklhsìa s’infuoca: Nicia e Alcibiade tra botta e risposta. Quattro giorni dopo una
nuova assemblea scuote gli animi: Nicia, che era pròsseno di Siracusa nonché filo-
spartano, riluttante ad assumere il comando, sottolineava quanto il proposito di Atene,
volto a quanto gli pareva a soddisfare ambizioni personalistiche (con allusione ad
Alcibiade!), fosse pericoloso e assolutamente incerto