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LIBRO I

Bisogna capire chi sia il destinatario dell'opera: quello esplicito, il dedicatario, è citato nel proemio del libro I,

Marcello Vitorio, console nel 105. L'opera gli è dedicata per l'educazione del figlio; a lui era stato dedicato anche il libro

IV delle Silvae di Stazio. Nel proemio del libro IV Quintiliano cita anche un proprio figlio, di cui piange la morte nel

proemio del VI, e che quindi muore durante la composizione dell'opera. Sicuramente, dunque, è dedicata ai padri per i

figli, ma evidentemente molte indicazioni sono per i docenti, e per i discenti stessi. Testi fondamentali per il commento

del libro I sono il commento di Colson 1924, che contiene un'interessante introduzione sugli aspetti culturali dell'opera;

importante è, per i capp. IV-VIII, il commento di Pini 1966.

Il libro I si apre con un proemio; il cap. I presenta il problema dell'infanzia e dell'istruzione primaria, il II della

discussione tra istruzione domestica e scolastica, il III tratta dell'ingenium del discente e dei caratteri del docente; i capp.

IV-VIII sono quelli grammaticali, ma in forma di consigli più che di manuale, affrontando la grammatica secondo il

duplice scopo della latinitas e della narratio poetarum. Nel IX si parla dei progymnasmata, nel X-XI dell'utilità delle altre

discipline, musica, matematica, ginnastica ed esercizio della voce (fondamentale per l'oratore). Il XII capitolo ha carattere

“apologetico”, si difende la praticabilità di questo schema enciclopedico e graduale, adeguato alla grandezza della natura

umana, secondo l’ottimismo quintilianeo.

Lettera dedicatoria

La lettera dedicatoria è indirizzata a Trifone, colui che si occuperà della trasmissione dell'opera; egli era un personaggio

di sicura origine greca, forse un libraio-editore; presumibilmente si tratta del libraio citato da Marziale IV, 72. L'epistola

ci fa entrare nel mondo della circolazione libraria di questi testi (come il proemio, che tratta di edizioni pirata).

Stilo è sia lo strumento scrittorio che lo stile; auctor non è solo chi ha scritto qualcosa, il termine porta sempre una

connotazione di autorità. Le notazioni psicologiche di Quintiliano sono molte acute: una volta raffreddato l'entusiasmo

della composizione può valutare l'opera. Fides indica la lealtà e la diligenza verso l'opera, l'affidabilità dell'editore.

Proemio

1-3: Dal proemio si evince che l'opera viene scritta dopo venti anni dall'inizio dell'insegnamento: sappiamo

che il suo incarico terminò prima della morte di Domiziano nel 96. Studiis meis, interpretato anche come

dativo, è probabilmente ablativo di allontanamento. Importante è la menzione di auctore utriusque linguae,

non c'è bisogno di dire che esse siano latino e greco, sono le uniche ad avere lo status di lingua di cultura.

Quintiliano spiega il motivo della stesura del testo: molti gliel'hanno chiesto, e lui si rifiuta perché molti

hanno già scritto; alla fine accetta per aiutare a scegliere tra la grande mole di scritti precedenti, e per la

vergogna di continuare ad opporre un rifiuto. Vi è correlazione tra simul ut e simul ne: la sintassi quintilianea

è complessa ma chiaramente esposta. La via vulgaris indica una via sovraffollata, non

29/0

9

necessariamente negativa ma certo già percorsa da molti: alienis vestigiis insistere.

4: L'autore spiega il motivo per cui chi ha scritto prima di lui sull'ars orandi sia sempre partito dal grado massimo

dell'educazione: ciò è dovuto alla bassa stima che si ha di litteratores e grammatici, quanto all'alta stima di sé. Ars, come

τέχνη, indica una competenza tecnica, orandi è tale perché la scuola del rhetor deve formare un oratore, è ars dicendi; i

primi due livelli hanno invece la mira di insegnare l'ars loquendi, la corretta espressione linguistica sia scritta che orale; vi

è distinzione dunque tra correttezza grammaticale e capacità di recte dicere. Quintiliano è il primo a non partire

“dall'ultima mano”, ovvero a non considerare gli studenti come persone già compiute dal punto di vista delle altre

doctrinae: le prime attività di apprendimento non sono da disprezzare, anzi, sono assolutamente necessariae, pur se

lontane dall'ostentatio: in tutte le opere concrete vengono ammirate le fastigia, trascurate le fundamenta.

5-8: vi è un'affermazione programmatica, senza gli initia non si può arrivare ad summa: Quintiliano vuole trattare tutto

ciò che riguarda la formazione degli oratori, perciò non si rifiuta di demittere ad minora illa, di dar forma all'educazione

ab infantia, alla lettera, ovvero sin dalla fase in cui il bimbo non parla. Si trova la menzione del dedicatario Marcello

Vitore, perché è un uomo degnissimo, perché deve educare il figlio Geta e perché deve rimpiazzare due libri che

circolavano sotto il nome di Quintiliano ma contro la sua volontà: è un'informazione sul mondo editoriale della Roma

dell'epoca. Edere è il verbo usato non solo per la pubblicazione economica, ma anche per la curatela dell'opera stessa:

Quintiliano pubblica l'Institutio per soppiantare le altre due opere non autorizzate. Ciò fa capire come l'opera quintilianea

nasca strettamente legata alla sua attività di insegnamento: excipio ha qui valore di “ascolto e metto per iscritto”, come

per gli esercizi di scuola. Pueri può qui indicare l'adolescente discente quanto un servo notarius che stenografa la lezione

del maestro (nota è anche il segno tachigrafico): sono questi ad aver fatto circolare una lezione (sermo) di due giorni del

maestro ed una più lunga. La contrapposizione tra pueri e iuvenes fa pensare che i primi fossero effettivamente notarii:

per gli altri si usa un verbo che in genere non indica gli esercizi scolastici, intercipio, forse indica la cattiva qualità degli

appunti presi (o forse è sinonimo di excipio ).

9-10: si delinea il percorso educativo dell'oratore ideale, che non deve avere solo l'ars orandi. Quintiliano torna sulla

catoniana definizione vir bonus dicendi peritus, punta all'oratore perfectus, competente ma anche moralmente virtuoso. Si

usa il verbo della Institutio, instituo: non si esige solo la facultas dicendi, ma anche le virtutes animi. Si ha poi la

rivendicazione della superiorità dell'educazione retorica rispetto a quella filosofica, che si ritiene, a torto, abbia il

monopolio morale. Il civis perfetto può essere tale solo grazie alla formazione retorica, altri non è che l'orator.

18-20: le due caratteristiche sono imprescindibili e inseparabili, si ribadisce di nuovo che se non si punta ad summa si

rimane agli ima. Pur ammettendo che non vi sia stato ancora nessun oratore perfetto, nondimeno bisogna rinunciare a

tendere ad summa, come gli antichi. L'ottimismo quintilianeo ha una base stoica, è tale non sull'orator, ma sulla natura

umana (dell'uomo libero): l'eloquenza perfetta est aliquid, e la natura dell'ingenium umano può farla raggiungere. Il resto

del proemio è sostanzialmente una presentazione del piano dell'opera.

Capitolo I

1-3: il primo è il capitolo relativo all'infanzia del discente: Quem ad modum prima elementa tradenda sunt (nella

tradizione manoscritta seriore si trovano dei titoli prima dei capitoli, che Winterbottom espunge). Colui che deve avere a

cuore l'educazione del figlio è soprattutto il padre, anche se la madre non è completamente relegata in secondo piano.

L'idea che la capacità di apprendere sia concessa a pochi è per Quintiliano una sciocchezza, l'elitaria obiezione della

tarditas ingenii è falsa; agitatio atque sollertia sono connaturate all'uomo. Sollertia indica l'essere dotati di ars, è il

contrario di inertia. Gli hebetes et indociles sono un'eccezione, come se avessero una deformazione, sono pochissimi.

Prova di questa facoltà nei bambini è che se la speranza muore col tempo, non è per natura, ma per cura; senza dubbio ci

sono persone più intelligenti di altre, ma ciò comporta solo che otterrà di più: non vi è nessuno che non ottenga nulla

tramite lo studio.

4-5: l’ottimismo pedagogico risente delle idee stoiche, perciò si fa il nome di Crisippo, che comunque

30/0 non è l’unico citato. Sconosciuto è come Quintiliano entrò in contatto con le opere del filosofo, e con

9 quali: in I, 11, 17 l’autore allude ad un De liberorum educatione, di cui forse aveva conosciuto

direttamente. Vengono fatte osservazioni su tutte le persone che circondano il bambino fin da quando non sa

parlare: innanzitutto non deve essere vitiosus il sermo delle nutrici, non deve esserci una modalità espressiva

errata; gli errori linguistici sono detti infatti detti vitia, come fossero morali. Crisippo, infatti, consigliava

nutrici sapientes, a Quintiliano basta optimas: anche le nutrici, come gli oratori, devono essere perfette dal

punto di vista espressivo e morale. È necessario che ella parli recte, perché i bambini le ascoltano per prime e

le imitano (imitor è usato nel suo senso più concreto); tenax ha valore etimologico, da teneo; l’animo rudis

dei bambini è malleabile, e le cose peggiori tendono a rimanere attaccate più facilmente (perché è facile che i

bona diventino vitia, impossibile il contrario): non deve perciò abituarsi ad un sermo dediscendus. Nel libro I

Crisippo viene citato ben tre volte, da cui la stoica fiducia nella natura umana, in quanto espressione del

λόγος.

6-7: vengono poi chiamati in causa entrambi i genitori, sempre in ottica di puntare al massimo; dovrebbero entrambi

essere acculturati al massimo (eruditio: l’uscita dalla condizione di rudis), anche le madri, di cui si danno esempi:

Cornelia, madre di Tiberio e Caio Gracco, (la cui eloquenza è riportata nelle epistole citate da Cornelio Nepote), Lelia,

figlia di Caio Lelio amico di Scipione Emiliano e protagonista del Laelius ciceroniano, e il discorso di Ortensia, figlia di

Quinto Ortensio Ortalo, che si legge non solo in quanto scritto da donna e quindi raro, ma anche perché valido. Ci si rifà

anche al Brutus di Cicerone, in cui però non figura l’esempio di Ortensia: il suo discorso, tenuto nel 43 a.C. davanti ai

triumviri, è comunque molto famoso, ed è riportato da Appiano nelle Guerre civili, IV, 32 ss.; fu una presa di posizione

contro i tre, che avevano imposto una tassazione alle matronae; vi allude anche Valerio Massimo in VIII, 3, 3. Se i

genitori non sono retoricamente preparati, se non hanno potuto imparare, non per questo devono curarsi meno

dell’educazione dei figli, anzi di più.

8-9: si

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A.A. 2016-2017
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SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/04 Lingua e letteratura latina

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Gneo Giulio Agricola di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Lingua latina e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Moretti Paola Francesca.