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Il "cursus honorum" romano
Il "cursus honorum" romano consisteva nell'insieme delle cariche pubbliche. Nel 509
a.C. venne fondata la Repubblica di Roma in cui i poteri vennero dati quasi tutti
ai magistrati, tranne il potere religioso che fu afidato al "rex sacrorum" ("il re dei riti sacri").
Nonostante questo spartimento del potere l'istituzione monarchica del senato ("senatus",
comprendente i comizi tributi, curiati e centuriati, cioè le assemblee del popolo) venne
mantenuta, esso era costituito da magistrati usciti di carica (i censori, però,
potevano includere altri cittadini che non possedevano cariche pubbliche o escludere
per indignità morale altri senatori dall'ufficio attraverso una nota censoria).
La degenerazione dell'ultimo re Tarquinio "il Superbo" fece sì che si prendessero delle
precauzioni contro una possibile tirannia: le cariche vennero, perciò, sottoposte
alla collegialità e alla limitazione del tempo. Ciò significava che venivano esercitate da un
gruppo di individui eletti, con gli stessi poteri e che avevano il compito di controllarsi a
vicenda, detto "collegium" e che potevano essere ripetute solamente dopo un certo
numero di anni (anche se ci furono delle eccezioni soprattutto in tarda età repubblicana).
Ai vertici dello stato stavano i consoli ("consules", da "consulo", cioè provvedere,
consultare):
Erano 2;
• Venivano eletti annualmente;
• Erano eponimi, in quanto davano il proprio nome all'anno del loro consolato;
• Erano "cum imperium" ("con potere");
• Avevano diritto a convocare le assemblee del senato e del popolo
•
("ius agendi cum populum et cum senatum");
Avevano diritto di veto (se uno prendeva una decisione l'altro poteva porvi il veto);
• Ognuno di loro comandava una delle 2 legioni in cui era suddiviso l'esercito (con
•
l'aumentare delle legioni vennero aiutati da dei tribuni militari);
Durante le operazioni militari avevano il diritto di vita e di morte sui cittadini fuori dal
•
"pomerio" (da "post murum", cioè "dietro le mura", era la linea immaginaria oltre la quale
un magistrato non poteva andare con l'esercito).
I pretori (da "pre + itor", cioè "colui che cammina davanti") erano, in origine, una carica
militare:
Erano eletti dai comizi centuriati;
• Avevano il potere di comandare l'esercito e amministrare la giustizia (aveva
•
competenze giuridiche):
Originariamente c'era un "pretor urbanus" (per la città di Roma);
1. Poi venne istituito anche un "pretor peregrinus" (infatti, a metà del IV secolo
2.
vennero coinvolti anche gli stranieri).
I littori erano 12 e portavano le insegne dei consoli e dei pretori (i fasci littori), le quali
consistevano in un fascio verde con una scure, se usato fuori dal "pomerium" o senza la
scure, se all'interno del "pomerium".
I questori (da "queo", "questus") inizialmente erano 2, ma con l'ampliamento vennero
aumentati a 40 e avevano il compito di gestire il denaro pubblico.
Quando lo stato si ingrandì, l'amministrazione si fece più complessa:
Venne assegnata una provincia da governare a ogni console e pretore che usciva
•
dalla carica, il quale assumeva il titolo di proconsole o propretore;
Gli edili (da "edes", "edifico", cioè "casa", "costruire"):
• Si occupavano della manutenzione delle strade cittadine e degli edifici
o
pubblici; Organizzavano i giochi pubblici (i "ludi") spendendo di tasca propria, in
o
quanto costituivano un trampolino di lancio per il resto della loro vita pubblica, infatti,
se facevano un buon lavoro, venivano ripagati con voti (es.: Cesare si indebitò per
organizzare i giochi);
Venivano eletti annualmente nei concili di soli plebei, se erano plebei (questi
o
avevano il compito di amministrare i templi);
Erano detti "curuli" (da "curule", cioè "sella", uno sgabello pieghevole senza
o
braccioli e senza appoggio) quelli patrizi;
I censori:
• Venivano eletti ogni 5 anni e restavano in carica per 18 mesi;
o Promuovevano il censimento dei cittadini, con il quale verificavano il reddito
o
per inserirli nelle classi di reddito;
Redigevano la lista dei senatori;
o Mantenevano le strade extra-cittadine;
o Istituivano i contratti per la costruzione dei grandi edifici.
o
C'era poi la magistratura straordinaria del dittatore ("dictator", da "dico", cioè "nominare"):
Ad esso era attribuita la carica non per elezione ma per nomina, nei momenti di
•
pericolo per lo stato;
Nei periodi di dittatura non vigeva la collegialità;
• Veniva nominato con un rituale effettuato dai consoli di notte, nel silenzio e con lo
•
sguardo rivolto al sole nascente;
I consoli potevano nominare qualsiasi cittadino dittatore, tranne loro stessi.
•
Le scritture epigrafiche e la purificazione
Le scritture epigrafiche sono le scritture utilizzate per le iscrizioni nei materiali durevoli (era presente una
gerarchia dei materiali, che potevano essere pietra, bronzo, oro, ecc.).
Il primo veicolo di comunicazione sono stati gli oggetti (in essi si possono trovare le più antiche forme di
scrittura). Gli esempi di scrittura epigrafica romana più importanti sono quattro:
• Il Cippo del Foro risale al VI secolo a.C. ed è la più antica testimonianza di iscrizione romana:
È stato rinvenuto nel sito archeologico di Lapis Niger (letterlamente, "pietra nera", dalla
o
pavimentazione in marmo nero di età repubblicana), scoperto nel 1899 nell'area del Foro, in cui si
crede ci fosse la tomba di Romolo profanata dai Galli nel 390 a.C. (altri sostengono sia stata la tomba
di Faustolo, il pastore che salvò Romolo e Remo dal Tevere e con la moglie si prese cura di loro, o
di Osto, il nonno di Tullo Ostilio);
L'iscrizione è incisa su tutte le 4 facce del cippo (la cui sommità è composta da tufo mutilo),
o
è scritta a caratteri cubitali maiuscoli e in maniera bustrofedica e recita: "Chi violerà questo luogo sia
maledetto al re, l'araldo prenda il bestiame giusto" ("recei" significa re, "kalatorem" sta per
araldo, "iouxmenta" indica i buoi e "sakros" significa maledetto, è una parola religiosa dal significato
negativo). Questa scritta sembra una maledizione e gli studiosi, infatti, ipotizzano che sia stata fatta
per incutere timore oltre che per trasmettere un'informazione, cioè il divieto di passare con i carri (non
è certo se ci si riferisca alla proibizione di passaggio per gli araldi o all'obbligo impartito dagli araldi di
sciogliere gli animali aggiogati, in quanto cattivo auspicio per gli auguri incontrare una coppia di buoi
aggiogati);
• La Fibula Praenestina è una fibbia d'oro lunga circa 10 cm trovata a Praeneste (oggi Palestrina),
vicino a Roma, nel 1871 e presentata nel 1887 su un periodico specializzato da Elbig, il quale afferma di
averla acquistata da un amico (è stata ritenuta autentica ma una studiosa di epigrafia dice che è falsa e
afferma che Elbig sia lo stesso committente, tuttavia oggi è ritenuta vera e si trova nel museo Pigorini a
Roma: se essa fosse vera sarebbe l'oggetto romano inscritto più antico, in quanto risalente al VI-VII
secolo a.C.). La scrittura è bustrofedica e capitale, l'iscrizione recita: "Manius me fecit Numerio" = "Magno
mi fece per Numerio" (è come se la fibbia parlasse);
• La Cista Ficoroni è un recipiente cilindrico che poteva essere di metallo, avorio o legno, a 3 piedi e 2
anse e con un coperchio, che conteneva gioielli o profumi (era un oggetto prettamente femminile):
Risale al IV secolo a.C. e prende il nome dall'archeologo che la trovò a Praeneste nel
o
1738 (ora si trova nel Museo Nazionale di Villa Giulia);
Sul coperchio sono presenti tre statuine di bronzo che rappresentano Dioniso, dio del vino
o
accompagnato sempre da un corteo di satiri e baccanti (al centro) e due satiri (ai lati);
Sui fianchi sono raffigurati gli Argonauti (partiti con Giasone per recuperare il vello d'oro di
o
un ariete); L'iscrizione recita: "Dindia Malconia filiae dedit, Novius Plautius me Romae fecit" =
o
"Dindia Malconia mi diede alla figlia, Novio Palutio mi realizzò a Roma" (l'oggetto comunica il
committente, il possessore, colui che l'ha fabbricato e il luogo di fabbricazione);
• Le Leggi delle 12 tavole consistono in 12 tavole di bronzo affisse al Foro, le quali, redatte sotto
commissione dei magistrati nel 451-450 a.C., rappresentano il primo caso di legislazione romana scritta.
Esse trattano di diversi aspetti della vita quotidiana e rappresentano un argine ai soprusi nei confronti dei
plebei:
Es.: -se viene ucciso un ladro nell'atto di rubare, questi è stato ucciso "a buon diritto" ("iuris" significa diritto
ed "esto" è l'imperativo futuro del verbo essere, tipico delle leggi e dei testi giuridici e religiosi);
-se una persona rompe una parte del corpo ad un'altra persona e i due non riescono a trovare un
accordo, vale la legge del taglione.
La purificazione costituiva una parte importante della vita dei cittadini romani, due esempi di ciò possono
essere una preghiera per i campi e una formula per fare andare via la gotta:
• La preghiera per i campi recita: "Che tu, Marte, possa fermare, tenere lontano e stornare malattie
visibili e invisibili, sterilità, desolazione, flagelli e tempeste";
• La formula per fare andare via la gotta recita: "La terra si tenga la mia malattia, la salute rimanga qui
nei miei piedi" (in quanto i piedi sono a contatto con la terra; questa formula è composta da tre
gruppi, "cola", da 3 parole ciascuno, è formata con gli imperativi futuri "maneto" e "teneto" e presenta,
come tutte le formule, una figura retorica di suono quale l'allitterazione della lettera "t").
Altri esempi di scritture epigrafiche con significato di tipo spirituale/religioso sono:
• Il quadrato magico di Pompei, che consiste in una scrittura capitale all'interno di un
quadrato leggibile in 4 modi (dall'alto al basso, dal basso all'alto, da destra a sinistra e da sinistra a
destra) ritrovato nel 1936 da Pompeo della Corte all'interno di una colonna vicino alla palestra di
Pompei, esso si può tradurre così:
"sator" indica colui che semina;
o "arepo" significa carro (se si considera l'origine celtica) o areopago (se si considera l'origine
o
greca, in quanto l'areopago era il tribunale ateniese dove venivano giudicati i delitti di sangue);
"tenet" si può tradurre con dirige;
o "opera" significa lavoro, mansione;
o "rotas" significa ruote.
o
Varie sono le interpretazioni fatte risalire a questo quadrato:
Vicina al contesto agricolo è la traduzione che recita: "Il seminatore sul carro dirige con abilità
o
(="opera") le ruote";
Di chiave cristiana è la traduzione: "Il creatore (Dio è il seminatore in questo caso) sul carro dirige
o
con abilità le sfere celesti/le orbite dei pianeti";
Un'altra traduzione in chiave cristiana è: "Il creatore attraverso l'emissione del giudizio con abilità
o
regge le ruote (= l'effetto della sua creazione)".
Alcuni interpretano questa iscrizione come una formula guaritrice di tutti i mali, altri come una pista del
modello della città, altri ancora come una mappa universale per la distrbuzione della posta risalente ai primi
secoli dell'impero: infatti, la parola tenet verticale e quella orizzontale si incorciano come le vie principali della
città romana, il cardo e il decumano, che collegano le 4 porte principali:
Il cardo collega la porta pretoria (in prossimità del pretorio, la tenda dei comandanti
o
nell'accampamento romano) alla porta decumana;
Il decumano collega la porta dextera alla porta sinistra.
o
Un'altra possibile funzione dell'oggetto sarebbe quella di codice di comunicazione delle prime comunità
cristiane nel territorio campano (probabile formula di identificazione), infatti il quadrato magico è di epoca
neroniana in cui venivano attuate persecuzioni nei confronti dei cristiani;
• La formula di scongiuro (una sorta di proverbio) che recita: "Bevo il vino nuovo come il vecchio, curo
la nuova malattia come quella vecchia" (cioè mi comporto allo stesso modo con le cose nuove di quelle
vecchie, non mi faccio spaventare dalle cose nuove belle o brutte che siano: questa traduzione presenta
un buon senso molto pratico), in cui il verbo è presente alla fine seguito dal complemento oggetto e
il sostantivo è allontanato dall'avverbio per la presenza dell'aggettivo. Inoltre, sono presenti
delle allitterazioni come quelle delle lettere "m" e "r" e un poliptoto (nello stesso verso è presente due
volte la stessa parola ma con significati diversi). La parola "veteri" è l'unica differenza nella frase che
interrompe la sua simmetria;
• Il carmen arvale (trascritto dal latino classico) che recita: "O lari, aiutateci. Non permettere, o Marte,
che pestilenza e rovina si abbattano su tanti! Sii sazio, Marte feroce, balza sulla soglia e fermati lì, lì!
Invocherà tutti i Semoni a turno! O Marte aiutaci! Trionfo!", in cui si fa uso dell'imperativo futuro:
La parola "carmen" ha molteplici significati: essa può indicare una poesia, una formula
o
religiosa, una preghiera, un'espressione di scongiuro o una formula magica (il potere delle formule
magiche era uno dei tre poteri attribuiti alle streghe). In particolare, un carmen arvale è
una preghiera pronunciata dai membri della confraternita religiosa dei "fratres arvales" (i "fratelli
arvali"), i quali pregavano le divinità dei campi ("arval", infatti, significa campi) per assicurare fertilità nei
campi; I "semones" sono le divinità del mondo contadino;
o Marte è invocato sia con il termine Marmam che con Mars affinché tenga lontano rovina e
o
pestilenza;
Il termine "lares" data il testo al III secolo a.C. (il fenomeno del rotacismo, infatti, trasforma il
o
termine "lases" in "lares" proprio in questo periodo) e indica gli spiriti protettori dei luoghi privati e
pubblici (es.: potevano protegge i boschi). I "penates" erano, invece, gli spiriti protettori della casa e
della famiglia che viveva in quella casa e avevano due funzioni:
ravvivare il ricordo e il senso di appartenenza agli antenati per celebrare la propria
gens; Incitare gli abitanti della casa ad assumere dei comportamenti virtuosi come quelli
dei predecessori, secondo l'"exemplum" (Plinio il Vecchio racconta che quando
una casa veniva venduta il nuovo proprietario non toglieva i ritratti dei prorpietari precedenti, in
modo che costituissero un monito per compiere delle gesta virtuose come loro: diventavano, quindi,
delle guide di comportamento).
I "manes" erano, invece, gli spiriti dei defunti di una famiglia che avevano la funzione di proteggere i
membri della famiglia ancora in vita, venivano venerati nel "lararium": una zona della casa con un altare e
delle statuette che rappresentavano i defunti dove si facevano i sacrifici domestici.
Spettacoli e sortilegi nei ludi romani
I "ludi" erano divertimenti, giochi, iniziative pubbliche che si svolgevano durante le ferie a
Roma. Potevano essere di 3 tipi:
I "ludi scaenici" erano delle rappresentazioni teatrali che mettevano in scena
•
delle "fabulae" diffuse a partire dal III secolo, le quali potevano essere sia tragedie che
commedie. Il primo teatro in muratura risale al 55 a.C. ed è quello di Pompeo (le
scenografie erano di legno e venivano smontate e rimontate ogni volta, inoltre gli
spettatori dovevano portarsi le sedie). Per il pubblico meno colto c'erano degli spettacoli
detti "mimi" che conisistevano in intrattenimenti circensi o balli simili agli spogliarelli;
I "ludi circenses" erano delle corse equestri con i carri effettuate nel Circo Massimo
•
specialmente in età repubblicana, in cui il protagonista era l'auriga, cioè colui che
guidava il carro, il quale doveva compiere per 7 volte il giro della pista ellittica
dell'arena girando intorno a due mete poste agli estremi della pista: la destrezza
consisteva nell'evitare di far ribaltare il carro o farlo scontrare con i carri degli altri
concorrenti. Le squadre erano 4:
La squadra albata aveva la divisa bianca e rappresentava l'inverno;
o La squadra prasina aveva la divisa verde e rappresentava la primavera;
o La squadra russata aveva la divisa rossa e rappresentava l'estate;
o La squadra veneta aveva la divisa azzurra e rappresentava l'autunno;
o I "munera gladiatoria" erano i combattimenti tra gladiatori (che avevano origini
•
etrusche). Il primo anfiteatro risale al 53 a.C. ed è l'Anfiteatro Flavio, cioè il Colosseo,
costruito per ospitare questo tipo di giochi con i fondi ricavati dall'assedio
di Gerusalemme e il suo tempio. Il termine "gladiatore" deriva da "gladio", che
significa spada, egli era un lottatore di professione, schiavo di guerra, che si allenava a
lungo per il suo unico piacere. I gladiatori venivano reclutati dal "lanista", il quale li
prendeva al mercato degli schiavi e li faceva allenare in una palestra apposta per loro.
Lo spettacolo si svolgeva così:
I gladiatori entravano, facevano il giro dell'arena e andavano a salutare
o
l'imperatore "princeps"dicendo: "Ave Caesar, morituri te salutant" (= "Ave" è il saluto
comune, "Caesar" indica l'imperatore, "morituri" sta per "coloro che stanno per
morire" e "te salutant" significa "ti omaggiano");
Il combattimento aveva inizio. Esistevano vari tipi di gladiatori:
o I "mirmillones" avevano l'elmo e la spada;
I "retiarii" usavano le reti e il tridente;
I "thraeces" usavano il pugnale e un piccolo scudo rotondo;
I "samnites" erano i più armati e usavano sia scudo che spada;
Alcuni combattevano a bordo di una biga;
Alcuni combattevano contro delle fiere feroci (leoni e tigri) che
potevano essere più di una ed erano solitamente a digiuno, in modo che fossero
più aggressive (veniva simulata una caccia). Venivano usati anche orsi e, con
l'imperatore Claudio, tori (si praticava una sorta di rodeo), inoltre Nerone introduce
l'uso di quadrighe trainate da cammelli o elefanti;
Il gladiatore poteva invocare clemenza puntando l'indice: a quel punto
o
il pubblico poteva esprimersi all'imperatore dicendo:
"mitte", cioè lascialo andare/vivere, se voleva che il gladiatore
vivesse; "iugula", cioè tagliagli la gola/lascialo finire dall'avversario, se voleva
che il gladiatore venisse ucciso.
Ascoltato il parere del pubblico, l'imperatore (o chi in sua vece) interveniva esprimendo
il suo giudizio con:
Un pugno chiuso, se decideva di far vivere il gladiatore (il pugno era come
o
un abbraccio alla vita che poteva rimanere nel gladiatore);
Un pollice in giù, se decideva di condannare a morte il gladiatore
o
("pollicem vertere" siginifica girare in basso il pollice).
Ci fu un solo caso realmente ecclatante di rivolta degli schiavi gladiatori: quello della rivolta
capeggiata da Spartaco (i gladiatori che si distinguevano erano, infatti, persone di
successo, anche se schiavi).
Queste gare prevedevano anche scontri tra tifoserie in cui entrava in gioco la magia
attraverso fatture e malocchi per incidere sull'esito delle gare. Un esempio di ciò può
essere un'iscrizione che costituisce un sortilegio contro un gladiatore, la quale recita
così: "Uccidete, sterminate, dilaniate Gallico che Prima generò, in questa ora, nella
cerchia di folla dell'anfiteatro, legagli i piedi, i sensi, le medolla; lega Gallico che Prima ha
generato che non uccida né orso né toro con un semplice colpo di rete né con due né con
tre colpi di rete uccida né il toro né l'orso; in nome del demone vivo e onnipotente vi
scongiuro che lo facciate; ora ora subito subito; l'orso lo sbatta con violenza e lo ferisca":
Gallico era il nome del gladiatore (derivato, probabilmente, da Gallia: infatti, molti
•
gladiatori erano a Roma in seguito a campagne militari), è senza la "m" finale, in quanto
il linguaggio dell'iscrizione è basso;
3 verbi collegati per asindeto amplificano l'effetto imprecativo;
• Di solito si indica il nome del padre, ma nelle maledizioni si nomina quello
•
della madre, in quanto è sempre certa;
Al centro dell'invocazione c'è la richiesta che i demoni lo colpiscano nel clou del
•
combattimento, quando ci saranno le belve;
Il termine "obliga" (seconda persona singolare) significa "legalo" ed è seguito
•
dall'accumulo per asindeto delle parti del corpo che vanno legate (infatti, le bestie
venivano ferite in modo che fossero nervose e per sconfiggerle era necessario legarle
con una rete);
È presente la forma ut+congiuntivo presente che costituisce una completiva
•
congiuntiva con valore volitivo e completivo;
Sono presenti anche 2 congiuntivi presenti esortativi;
• Questa iscrizione appartiene al tipo di iscrizioni definito "defixionum tabellae": questi
•
erano dei fogli di piombo traforati da chiodi (il loro nome vuol dire, infatti, "tavole
chiodate"), che venivano sepolti dopo aver scritto il nome della persona a cui si volveva
recare danno. Vennero usate dall'epoca classica al periodo tardo-latino contro gladiatori
e aurighi (anche i cavalli erano maledetti, infatti molti nomi di cavalli sono stati scoperti
attraverso questi fogli).
Ampia diffusione in tutto l'impero ebbero anche delle maledizioni fatte a mo' di statuette
voodoo.
Aveva luogo un numero così ampio di spettacoli soprattutto per distogliere il popolino dalla
sua condizione di povertà (da qui il detto "panem et circense", in quanto avvenivano
distribuzioni di grano e avevano luogo i giochi per mantenere le persone felici senza
lamentele).
Es.: le naumachie erano delle simulazioni di battaglie navali, di scontri tra equipaggi, che
si effettuavano sul Tevere o in laghi artificiali o naturali o nell'arena allagata.
Non avevano luogo molti intrattenimenti sportivi come nel caso dei Greci: infatti, a Roma è
poco sentito il gusto della competizione sportiva atletica, prevalevano il pugilato, la lotta e
il pancrazio (un misto tra lotta e pugilato). Non erano presenti le specialità della corsa, in
quanto c'era poco interesse per l'agonismo.
Elogia funebri
Fanno parte degli "elogia funebri" 2 testi ritrovati sopra delle iscrizioni funebri, in cui è
la tomba a parlare e a identificare la persona morta, a rievocarne la carriera politica e ad
indicare eventuali beneverenze religiose se si tratta di un uomo, mentre se si tratta di
una donna vengono indicate la famiglia che essa si è costruita, la sua persona e le
sue virtù femminili:
La tomba degli Scipioni (poco fuori da porta Capena) reca un'iscrizione in ricordo
•
di Scipione Barbato: "Cornelio Lucio Scipione Barbato, figlio del padre Gneo, uomo forte
e saggio, il cui aspetto fu del tutto simile al valore, che fu presso di voi console, censore,
edile, conquistò la Taurasia, la Cisauna, il Sannio, sottomise l'intera Lucania e portò via
degli ostaggi":
Egli possedeva 4 nomi, tra cui 2 cognomen, inoltre il nomen viene
o
citato prima del prenomen della gens Cornelia;
È presente un riferimento al padre;
o Vengono indicate le sue qualità morali, egli è, infatti, descritto come forte e
o
saggio; È precisato che l'aspetto fisico e le virtù (in particolare quelle militari) erano
o
presenti in lui in parti uguali;
Le cariche del suo "cursus honorum" sono indicate dalla più alla meno
o
importante;
Su un sarcofago posto sulla via consolare d'accesso fuori il "pomerium" è presente
•
una scritta che si riferisce ad una certa Claudia: "Oh, viandante, quello che dico è poco:
fermati e leggi attentamente. Questo è il sepolcro non bello di una bella donna. I genitori
le diedero il nome di Claudia. Amò suo marito con tutto il suo cuore. Generò due figli, di
questi uno lo lascia sulla Terra, l'altro lo colloca sottoterra":
Sono presenti figure retoriche come la litote "haud pulcrum", che afferma un
o
concetto negando il suo contrario, la figura etimologica "nomen nominarunt", che
indica la stessa radice verbale sia per il verbo che per il complemento oggetto,
il poliptoto "suom...souo", che indica uno stesso termine espresso in due casi
differenti (accusativo e genitivo);
Sono indicate due "virtutes" del "mos maiorum" che si addicono alle donne
o
come la piacevolezza e la pudicizia, nominate attraverso il termine "sermone
lepido" (propriamente: "di conversazione piacevole", ma anche grazia, fascino);
Viene descritta con un portamento elegante (= "incessu commodo");
o Vengono nominate le mansioni di casalinga che rientrano nelle cose da fare
o
richieste alle donne (le matrone non lavoravano ma controllavano le ancelle che
lavoravano per loro) attraverso le espressioni "domum servavit", cioè si occupò della
casa, e "lanam fecit", cioè filò la lana.
Religio, superstitio e caso
Il termine "religio" indica la devozione religiosa riguardante la dimensione ufficiale, pubblica della
religione (es.: i riti delle feste e delle cerimonie rientrano in questo ambito): infatti, l'aspetto più politico e
sociale della religione è un fattore potente dell'aggregazione.
Il termine "superstitio" si riferisce alla dimensione popolare della religione, che ingloba gli aspetti più
oscuri della religione (es.: le maledizioni e le formule di scongiuro fanno parte di questo aspetto). A
quest'ambito fa riferimento il lato più superficiale e strumentalistico del paganesimo, cioè l'idea che le divinità
vadano placate con dei sacrifici in modo che non danneggino l'uomo con il rito apotropaico, il rito che
scongiura pericole, minacce, punizioni.
La premonizione è ciò che è in grado di modificare il corso delle cose o una situazione normale, cioè
un segno inviato dalla divinità come per suggerire all'uomo di prendere provvedimenti: perciò tutto va
interpretato perché può essere un segnale divino.
Es.: -rovesciare per terra del vino o dell'olio equivale ad uno spreco di liquidi importanti, difficili da reperire e
costosi;
-un cane nero che entra in casa è un presagio cattivo;
-una trave che si spacca è un fatto negativo;
-un topo che buca un sacco di farina indica una brutta previsione;
-entrare con il piede sinistro in un triclinio (= un banchetto) porta sfortuna;
-se il gallo canta di sera annuncia dei fatti straordinari e quindi si deve versa il vino sotto la tavola o in
una lucerna.
I termini principali utilizzati nell'ambito delle premonizioni sono:
• "prodigium", cioè prodigio, il quale può essere "bonum/secundum" (= favorevole) o "laevum" (=
sinistro e quindi sfavorevole);
• "omen", cioè presagio;
• "presagium", cioè segno premonitore;
• "fascinum", cioè malocchio ("signum" o "fascinatur" è colui che getta il malocchio, che per essere
allontanato richiede il passaggio di un anello dalla mano sinistra alla destra).
La parte iniziale del testo "Imprevedibilità del caso" di Cicerone recita: "Può esistere un presentimento di
quelle cose che non hanno un findamento razionale? Infatti, cos'altro è la sorte (= "fors"), la fortuna (=
"fortuna"), il caso (= "casus") se non qualcosa che avviene diversamente da come avrebbe potuto
verificarsi? In che modo ciò che avviene fortuitamente per il cieco caso e per la volubilità della sorte può
essere preavvertito e predetto? Il medico prevede l'aggravarsi di una malattia grazie alla conoscenza teorica,
il comandante l'agguato in guerra, il timoniere le tempeste; e tuttavia questi in persona spesso sbagliano
come il contadino quando vede il fiore dell'olivo pensa che vedrà anche l'oliva, e non senza ragione, ma
tuttavia qualche volta sbaglia. E se sbagliano coloro che non dicono nulla senza una qualche probabile
congettura e ragione, che cosa bisogna pensare della supposizione di coloro che prevedono le cose future
dalle vittime o dal volo degli uccelli o dagli oracoli o dai sogni?":
• Il termine "exta" indica le viscere degli animali sacrificati esaminate dagli aruspici (= "haruspices");
• L'espressione "avium volatus" indica il volo degli uccelli esaminato dagli auguri del collegio
sacerdotale (è un presagio favorevole se gli uccello vanno da sinistra a destra, sfavorevole se vanno da
destra a sinistra);
• Degli esempi di "oracula" possono essere quello di Delfi o l'antro della Sibilla, che traeva i suoi
presagi sotto effetto di particolari sostanze (i "vates" sono gli indovini che decodificano le parole
dell'oracolo e lìinterpretazione dei sogni = "somnia").
La parte finale del testo "Imprevedibilità del caso" di Cicerone recita: "Chi non vede quanto non ci sia nulla
in questi segni: il canto di un corvo, il volo di un'aquila, il corso di una stella cadente, le urla di invasati, le
tavolette, i sogni? In che modo può essere previsto che accadrà ciò che non ha una motivazione né un
indizio per cui debba verificarsi?" (l'atteggiamento di Cicerone è scettico, è quello di un uomo politico
razionale che tende a screditare queste forme anche se a volte è necessario, tuttavia il testo è importante, in
quanto contiene informazioni sulla pratica divinatoria romana). I segnali di auspicio principali (tra cui
spiccano anche le tavolette usate nei templi per scopi divinatori) sono:
• Il canto del corvo;
• Il volo dell'aquila;
• La traiettoria/il corso delle stelle cadenti;
• Le eclissi (in cui il sole "si macchia di sangue") sono un segno negativo;
• La voce degli invasati (simbolo di possessione e follia, anche se gli epilettici sono considerati
fortunati perché si crede che gli dei parlino tramite loro).
Il lupo e il licantropo
Il lupo è un animale totemico per i Romani (es.: è importante per il mito di Romolo e
Remo): infatti, nelle città sono presenti molte statue bronzee della lupa, che è
rappresentata anche sulle monete.
Livio racconta che nel 295 a.C. durante una dura battaglia contro i Galli, dalle alture scese
una cerva inseguita da un lupo, la cerva andò verso i Galli mentre i lupo verso i Romani: il
lupo trovò via libera, la cerva venne trafitta dai soldati, allora un soldato romano disse: "La
fuga e il massacro avvenuti dove vedete la cerva, da questa parte, invece, il vincitore caro
a Marte sano e salvo ci ha richiamato alla memoria la nostra discendenza da Marte" e
così, i Romani vinsero.
Il rito dei "lupercalia" è molto importante a Roma: i "luperci" corrono nudi lungo il
"pomerium" brandendo pelli di capra con cui colpiscono chi incontrano, in particolare le
donne, per favorire la fertilità.
Presso i Romani di bassa cultura il lupo è legato alla sua possibile metamorfosi, cioè
il licantropo (il termine è un grecismo derivato da lupo e uomo che in latino viene tradotto
in "versipellis", cioè colui che cambia pelle: per questo con il detto termine non si intende
solo il licantropo): questo è una creatura potente presente nelle fonti letterarie come le
"Bucoliche" di Virgilio, che recita: "Vidi Merii (un pastore) trasformarsi in lupo e nei boschi
nascondersi e da fondi sepolcri evocare i morti". L'habitat naturale del licantropo è
il cimitero.
Al contrario i Romani istruiti credono che la licantropia sia una vera e propria malattia
psichica curabile, il morbo lupino, descritto da Galeno nell'"Ars Medica": "Coloro che
vengono colti dal morbo lupino escono di notte nel mese di febbraio, imitano i lupi o i cali e
fino al sorgere del sole scoprono le tombe, sono pallidi e malaticci d'aspetto. Hanno gli
occhi secchi, incavati, la lingua arida e non emettono saliva. Sono assetati e hanno le tibie
piagate a causa delle continue cadute e dei morsi dei cani. Questo morbo è della specie
della melanconia (cioè la "bile nera", degli eccessi di collera), si potrà curare se si inciderà
la vena nel periodo dell'acceso e si farà evacuare il sangue fino alla perdita dei sensi e
nutrirlo con cibi molto succosi. Si consigliano bagni d'acqua dolce, siero di latte per tre
giorni e purghe a intervalli. Poi la teriarca, una sostanza estratta dalle vipere."
Le "Fabulae Milesiae" sono dei racconti di gusto popolare dell'età ellenistica greca, il cui
autore più importante è Aristide di Mileto (sono dei racconti brevi di argomento sessuale o
di paura che hanno lo scopo di divertire). Sono ripresi nel mondo latino da Sisenna che ne
realizza la traduzione nel I secolo. Nel "Satyricon" il protagonista va ad una cena ma,
essendo un intellettuale, si sente fuori luogo rispetto agli altri commensali liberti e
commenta il degrado che ha davanti (essendo liberti, il banchetto è molto grande ma gli
uomini non sono di cultura e quindi le storie sono molto popolane). Qui viene raccontata
una "fabula milesia" riguardante un licantropo da Nicerote.
La favola sul licantropo nel "Satyricon"
Il "Satyricon" si svolge durante un banchetto di liberti a casa del loro amico Trimalcione, durante il quale a
turno gli invitati raccontano una storia. Nell'opera di Petronio emergono due riti che svolgevano gli antichi
romani durante un banchetto:
• Baciare il tavolo del banchetto;
• Baciare le immagini degli antenati della famiglia ospitante.
E' importante precisare che i verbi "osculo" e "basior" vogliono dire entrambi "baciare", ma "osculo" deriva
da "osculum", che si riferisce al bacio in un contesto formale, religioso, rituale come in questo caso, mentre
"basior" deriva da "basium", che si riferisce al bacio in un contesto passionale, sentimentale. Questi gesti
rituali venivano compiuti durante il passaggio dalle "primae mensae" alle "secundae mensae", in cui si
chiude la prima fase del banchetto e si apre la seconda, quella del dessert e delle bevute più copiose.
La notte è un elemento frequente nei racconti perché attraverso la sua oscurità rappresenta la dimensione
del misterioso.
Il racconto di Nicerote viene narrato nel "Satyricon" dal paragrafo 6 del capitolo 61 fino alla fine del capitolo
62. Nicerote è uno degli invitati al banchetto di Trimalcione, che lo esorta a raccontare una storia.
Questa favola trova un antecedente nella favola numero 196 di Esopo ed è defnita "fabula milesia".
E' ambientata nel tempo in cui Nicerote era ancora uno schiavo ed aveva una relazione con Melissa di
Taranto, la moglie dell'oste Terenzio. Melissa viene definita "bacciballum", cioè un bel tocco/pezzo di ragazza
con un'espressione del parlato (il livello dei contenuti è basso e si tratta di un genere di consumo, ma
possiede dei punti forti come l'amore, le relazioni sessuali e il mistero). Egli afferma con ironia di non essere
interessato alla bellezza della ragazza, quanto alla sua grande moralità e se lei gli chiedeva qualcosa lui non
le negava mai niente, inoltre non era mai stato fregato da lei. Un giorno il compagno di Melissa muore nella
tenuta di campagna (scena indicata con espressioni come "ultimo giorno" e "contubernalis", cioè compagno
militare) e Nicerote decide (sempre con ironia) di andare da lei per darle conforto (viene utilizzata
l'espressione "per scudo, per gambale", cioè con ogni mezzo possibile).
A questo punto inizia il racconto vero e proprio:
1. Il padrone di Nicerote era dovuto partire per Capua per affari (l'opera intera è ambientata sul litorale
campano, la costruzione ha valore finale);
2. Nicerote convince un ospite presente in casa, un soldato forte come un orco, ad andare con lui da
Melissa fino al quinto miglio ("nactus" è il participio che indica l'espressione colta l'occasione e la
forma "ut + veniat" dà forma ad una completiva volitiva);
3. Fra le 2 e le 3 della mattina (al canto del gallo, cioè "gallicinia") la luna splendeva come a
mezzogiorno (= "luna lucevat"), simboleggiando la trasformazione (le fasi lunari simboleggiano la morte e
la risurrezione);
4. Giunsero in un cimitero popolato da lapidi di pietra (senza corpi, in quanto i morti non vengono
seppelliti ma cremati e nel cimitero vengono conservate solamente le urne contenenti le ceneri);
5. Il soldato fece pipì tra le lapidi (questo è il primo gesto rituale del cerchio magico, cioè la prima di
una serie di azioni compiute secondo dei tempi precisi poi ripetute a ritroso per riprendere la forma
umana, inoltre fare pipì per un licantropo significa marcare il territorio come un cane),
mentre Nicerote stava seduto cantando e contando le lapidi/le stelle e fingendo indifferenza rispetto al
comportamento anormale del compagno;
6. Il soldato si spogliò e mise i vestiti vicino alla strada (questo è il secondo gesto rituale);
7. Vengono enfatizzate le reazioni di paura per suscitare maggiore interesse
Es.: "avevo l'anima nel naso" (= avevo il cuore in gola);
8. Il soldato fece pipì attorno ai vestiti e si trasformò in lupo;
9. Nicerote precisa che il racconto è un fatto successo realmente
Es.: "non credete che io stia scherzando. Non mentirei per tutto l'oro del mondo";
10. Il soldato urlò e fuggì nella foresta, che può essere considerata un percorso labirintico;
11. Nicerote restò scioccato e non lo vide più (inizia anche per lui un percorso labirintico);
12. Si avvicinò per raccogliere i vestiti ma questi erano diventati di pietra;
13. Prese la spada nonstante la paura e si fece strada nel buio finché giunse alla tenuta (viene usata la
parola "mataticagau"="abracadabra");
14. Vengono descritte nel dettaglio ancora una volta le reazioni di paura
Es.: "cacciai fuori l'anima. Il sudore mi correva lungo la schiena. Gli occhi fissi di un morto. A stento mi
ripresi. A stento riuscii a rimettermi";
15. Melissa incominciò a guardarlo stranita perché andava in giro a quell'ora e disse: "Se tu fossi
arrivato prima" (utilizzando un periodo ipotetico), infatti il lupo era entrato e aveva sgozzato tutte le
pecore ma il servo gli aveva trapassato il collo con una lancia (il soldato era arrivato a destinazione ma si
era comportato da lupo);
16. Nicerote non riuscì a dormire e quando fu mattino scappò a casa del padrone come un oste
derubato (si fa riferimento alla figura di un oste che compare in un racconto simile): così ha inizio
il percorso a ritroso con una struttura labirintica ;
17. Ritorna nel punto in cui il soldato aveva lasciato i vestiti che poi erano diventati di pietra, ma al loro
posto c'è solamente una macchia di sangue, in quanto il licantropo quando è tornato a prenderli
era ferito (il lettore, quindi, può già intuire che il lupo di Melissa è il licantropo anche se non è ancora
confermato: entra perciò in gioco l'intuizione e si può pensare sia la stessa cosa anche per gli invitati al
banchetto che ascoltano la storia);
18. Quando Nicerote giunge a casa, trova il soldato che giace a letto "come un bue" con un medico che
lo sta medicando (durante i sacrifici il bue veniva colpito al collo, sgozzato e il fluire del sangue veniva
osservato dagli aruspici, inoltre se l'animale tremava vedendo il coltello era segno di buon auspicio);
19. Si ha la conferma che il lupo descritto da Melissa è in realtà il licantropo, definito dal
narratore "versipellis": letteralmente, "colui che muta pelle", "versipelle" (ma si può anche tradurre come
licantropo o lupo mannaro);
20. Dopo questo evento Nicerote evita i contatti con il soldato ("non riuscii più a mangiare il pane con
lui");
21. Nicerote conclude facendo un'opposizione tra se stesso e gli altri spettatori ("gli altri pensino quello
che vogliono di questa vicenda, io, se mento, che abbia i vostri spiriti protettori adirati con me"),
utilizzando un livello di registro espressivo basso, in quanto i liberti erano di estrazione sociale bassa,
anche se all'epoca dell'opera di Petronio possedevano un forte potere economico, inoltre dopo
l'imperatore Claudio venne incentivata la cittadinanza agli stranieri e vennero conferite ai liberti anche
cariche di rappresentanza politica come funzionari.
La narrazione ritorna al banchetto (cioè al tempo presente) e Tramalcione dice: "Mi si sono rizzati i peli" in
quanto Nicerote è un uomo serio e non è un chiacchierone e quindi il suo racconto dev'essere
vero (vengono usate spesso espressioni gergali per indicare contesti paurosi all'interno dell'opera e in
questo caso c'è un forte contrasto con la reazione epica della paura, ripresa in chiave
comica poiché Trimalcione è un liberto ma sembra parli come un eroe, es.: Enea afferma che alla vista di
Medoro trasformato in albero, gli si rizzarono i capelli e la voce gli si bloccò in gola):
• "minimae" significa minimamente (in riferimento alla parola "chiacchierone");
• "sermo, sermonis" è riferito a discorso, conversazione, racconto (riguarda, comunque, la dimensione
colloquiale della comunicazione). Col tempo il termine ha subito
una risemantizzazione religiosa attraverso il termine "sermone";
• "fides" si traduce con attendibilità, veridicità (fa parte di un linguaggio basso);
• "nugiae" indica sciocchezze, cose di poco conto (es.: Catullo definisce così ciò che scrive lui, in
quanto per lui sono più importanti l'amore, i valori, il condividere le proprie idee con gli amici, ecc., ma qui,
comunque, il termine viene usato in tutt'altro contesto);
• "linguosus" significa chiacchierone (il suffisso "-osus", infatti, esprime abbondanza).
La favola sulle streghe nel "Satyricon"
Anche Trimalcione racconta un fatto "impressionante" (il verbo "narrabo" è la prima
persona singolare del futuro, il suffisso "-bo" indica il futuro semplice di prima e seconda
coniugazione) e afferma che "la storia è incredibile come è incredibile che un asino si trovi
sul tetto" (sappia volare).
La sua storia parla di streghe. Ci sono 3 modi in latino per chiamare una strega:
"striga, strix" è un nome di prima e seconda declinazione collegato alla civetta (un
•
animale notturno misterioso), si ricollega al verbo "strido", che ha carattere uditivo come
il primo manifestarsi delle streghe, o anche al verbo "stringo", in senso di stringere,
stritolare, che corrisponde al comportamento delle streghe una volta entrate in
possesso di organi (specialmente vitali) di cadaveri che poi mangiano;
"lamia", che letteralmente significa sciacallo (infatti, esso si ciba di
•
cadaveri; es.: Apuleio nelle "Metamorfosi" presenta in questo modo la strega Meroe);
"saga", dal verbo della quarta coniugazione "sagio", cioè "fiutare" (è il termine
•
tecnico per indicare un cane che fiuta la preda ed ha un odorato fine come una strega)
e anche da "presagium", cioè "fiutare" le cose prima che avvengano come fanno le
streghe.
I poteri usati dalle streghe sono di tre tipi:
La magia del gesto, che rientra nel tema della superstitio, consiste in azioni
•
di necrofagia o in poteri metamorfici peggiorativi;
La magia delle parole, indicate come "carmina", consiste nell'utilizzo di formule
•
magiche, preghiere e scongiuri;
La magia dei filtri consiste nella preparazione di pozioni specialmente d'amore o
•
nocive, aventi lo scopo di avvelenare, indicate con il termine "pocula" (letteralmente:
"tazze, coppe per bere").
"Quando ancora avevo i capelli facevo la vita che si fa a Chio":
1. Si riferisce a quando era giovane (prima che inizi la cena gli amici lo
o
prendono anche in giro perché è brutto ora che è vecchio e senza capelli e quindi lui
ironizza);
Faceva la bella vita;
o Lo "schiavetto" preferito dal padrone di Trimalcione muore (preferito anche in senso
2.
sessuale, in quanto all'epoca era molto praticata la pedofilia e lo schiavo non era altro
che un oggetto a disposizione del padrone): viene descritto come un "margaritum", cioè
un "gioiellino", "carcitus", cioè "di rara bellezza" e come "uno che aveva tutti i numeri";
La madre lo piange mentre gli altri schiavi lo vegliano:
3. Il contesto è notturno (come nella favola del licantropo);
o La madre è definita "misella" (con una forma diminutiva), cioè "misera"
o
(provocando un'allitterazione della lettera "m");
Viene fatto un "tristimonio", cioè una veglia funebre, in quanto era importante
o
fare la guardia al morto non solo per pietoso officio nei suoi confronti, ma anche
per evitare la presenza di spiriti maligni;
Poi Trimalcione afferma che "subito stridere strighe", cioè "subito iniziano a stridere
4.
le streghe":
La frase viene espressa con un ritmo concitato e velocizzato;
o La frase in latino contiene l'allitterazione della "s" e del gruppo "str" con un
o
effetto onomatopeico;
"si sarebbe potuto credere che un cane andasse a caccia di lepri" (questa frase
5.
richiama le streghe);
Uno schiavo cappadoce sguaina la spada, si lancia fuori dalla porta di casa
6.
e trapassa una donna:
Lo schiavo è descritto come forte, alto, molto audace, valente e "valitudo",
o
cioè "in buona salute" (aveva la "forza di sollevare un bue", il paragone con un bue si
trova anche nella storia del licantropo);
"audacter stricto gladio" significa "sguainata la spada con audacia", è
o
utilizzato un ablativo assoluto;
"extra ostium" sta per "apre la porta" e questo rappresenta l'errore principale
o
della storia perché rende il cadavere vulnerabile;
"mulierem" indica la donna;
o Per prepararsi a colpire il cappadoce prende la spada con la mano destra e
o
con la sinistra tiene il mantello come un soldato, facendo trasparire dell'ironia nel
racconto in quanto lo schiavo non è un eroe;
Trimalcione indica con la mimica il punto in cui il cappadoce colpisce la
o
donna dicendo: "In questo punto";
Si sente un gemito ma le streghe non si vedono (questa è la seconda notazione
7.
uditiva), quindi non è detto che la donna fosse stata una strega;
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher aurora.ferraro.af di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Lingua latina e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Cattolica del Sacro Cuore - Milano Unicatt o del prof Ricci Simona.
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