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LA FOTOGRAFIA CHE POSSIAMO FARE DIALOGARE CON QUESTO TIPO DI
PITTURA E’ FIGURATIVA. In realtà ci sarebbe una fotografia che a livello visivo è molto
più affine a queste opere, ma anche questo tipo di fotografia che ci accingiamo ad
affrontare è mossa da una filosofia molto simile a questo tipo di arte.
“La camera fotografica che sino a ora aveva trovato scene ed eventi figurativi ora viene
invitata a trovare occasioni informali, macchie, graffiti, tessiture materiche, colate, graffi,
scrostature, secrezioni, gromme, striature, lebbre, escrescenze, microcosmi di ogni specie
approntati dal caso sui muri, sui marciapiedi, nella fanghiglia, sulla ghiaia sui legni di vecchie
porte, sulle massicciate o nelle colate di catrame non ancora steso, variamente calpestato e
da Di foto fatte sui muri, Umberto Eco. E’ una rivista il cui numero, del 1961, è
rappreso”
dedicato tutto all’Informale. Perfino un letterato come Eco cade nella trappola tratta
dall’apparente somiglianza tra fotografia e pittura. Eco si compiace dell’innovazione
fotografica: la fotografia sembrava limitata alla riproduzione figurativa, ma egli nota
felicemente che vi sono autori che ricercano l’informalità tramite proprio il carattere
rappresentativo della fotografia. Eco vede la fotografia quindi “aggiornata” rispetto
all’andamento generale delle arti visive. “La fotografia che lavora sul materiale originario
offertole dalla natura ha molto in comune con l’operazione del passante che scopre il sasso .”
continua Eco.
“Quando arti diverse si trovano a sviluppare la stessa tematica e a guardare le cose
secondo la stessa intenzione, non ne deriva mai una semplice coincidenza di risultati.”
Eco teorizza che l’informale fotografico possa, anzi debba, essere materialmente
differente da quello pittorico. In realtà propone una comparazione solamente di carattere
formale: fotografia e pittura prese in esame solo per la loro apparenza. Ogni arte produrrà
risultati “a modo proprio”, è necessario vedere se vi sia un denominatore comune di idee
tra le arti che hanno seguito poetiche simili. Gli artisti, a prescindere dal ramo in cui si
specializzano, assorbono sempre gli elementi dello stesso ambiente. Fotografia e pittura
non sono assolutamente in relazione subordinata l’una all’altra. Ad esempio in questi “anni
dell’Informale” vi sono opere d’arte visiva fotografica come: M. Giacomelli, Il cantiere del
paesaggio (1956/59) e A. Migliori, Muro (1954/74): fotografie di pezzi di muro/pareti. Ha un
esito, un riscontro finale molto simile alla pittura attuata da Pollock e dalla pittura informale
europea.
Ma considerare che siano da cercare corrispondenze esclusivamente visive tra arte
manuale ed arte fotografica significa implicitamente negare alla fotografia un’autonomia
rispetto alla pittura.
Si può definire una fotografia che imita pittoricamente la poetica del tempo.
Ma se non è la somiglianza visiva delle cose il concetto da seguire per trovare la
corrispondenza nella produzione fotografica della corrente pittorica, qual è?
Coinvolgimento di alcune teorie del cinema che si sviluppano in quegli stessi anni: S.
Kracauer (1889-1966) nel 1960 scrive Teoria del film, tradotto per la prima volta in Italia
nel ’62 con un diverso titolo, Film: ritorno alla realtà fisica: quest’ultima variante del titolo
lascia maggiormente trapelare l’idea di cinema che l’autore esprime nel libro (“Il rimedio
all’astrazione che compiace gli spiriti è l’esperienza: l’esperienza delle cose nella loro
concretezza.”) -> irea che il cinema fosse uno strumento per riappropriarsi della cose del
mondo, nella dimensione materiale e carnale del mondo. Perché quando non vi era
cinema c’erano solo forme (come scrittura, immagine manuale…) che sono trasposizione
della realtà e non realtà diretta: con il cinema si recupera la fisicità e materialità del
mondo. Non a caso Kracauer dedica le prime pagine del proprio libro alla fotografia:
fotografia e cinema hanno come propria qualità prima il restituirci il mondo nella
sua fisicità, materialità.
“La riflessione sull’Informale mette in luce come alla concentrazione dell’astrattismo, alla
sua gabbia spaziale paradigmatica dei valori ideali di un’ottica razionalista, si sostituisce
l’impatto immediato con la fisicità, l’immersione nel reale, nel mondano, nel proprio limite
razionalismo vs impatto
spaziale e temporale.” -> (es: Mondrian, Composizione, 1923)
immediato con la realtà (es: Burri, Sabbia, 1952). L’impatto immediato con la realtà
sottintende un rapporto con la tela/mondo passionale, energetico.
E’ necessario porre in parallelo questo tipo di arte visiva manuale con un tipo di modalità
fotografica vicina alla suddetta sensibilità del reale: la fotografia più adatta è il reportage.
REPORTAGE (reporter = riportare). Il reporter è colui che si butta nel mondo per coglierne
il suo continuo divenire.
La foto di reportage apparentemente non assomiglia assolutamente all’arte visiva
reportage e pittura
informale, ma non è importante il risultato, quanto il fatto che
informale concorrono allo stesso obiettivo: l’impatto immediato con la realtà .
Capa spiega: “se una fotografia non è venuta bene, è perché non eri abbastanza vicino al
tuo soggetto.” frase metaforica sul reportage, “abbastanza vicino” = non del tutto coinvolto
all’interno della dimensione mondana
Vi sono due forme di reportage :
- Momento decisivo (Cartier-Bresson 1908-2004).
Rispetto a questa poetica è la tipologia meno affine: Cartier-Bresson è perennemente alla
ricerca del momento decisivo di un’azione, il che è affascinante tanto quanto limitante
perché riporta verso una visione del mondo anche solo vagamente razionalizzata. Il
momento decisivo infatti è quello nel quale tutto è ordinato, equilibrato, compiuto.
Inizialmente l’autore sembra molto affine alla poetica suddetta descrivendo l’azione
“felpata” che serve al fotografo per cogliere la realtà, ma nel momento in cui dichiara il
voler cogliere il momento decisivo indica già una razionalizzazione dell’immagine. Cartier-
Bresson comincia a concepire questo tipo di fotografia già a inizio Novecento.
“Attraverso il nostro apparecchio noi accettiamo la vita in tutta la sua complessità” dichiara
Cartier-B. : è una frase perfettamente in linea con la poetica informale.
“La realtà ci offre una tale abbondanza che la si deve tagliare sul vivo” : torna l’idea del
rapporto vitalistico/passionale con il mondo.
“Ho scoperto la Leica, essa è diventata il prolungamento del mio occhio” : la Leica è stata
la prima macchina a piccolo formato, più semplice delle precedenti da usare
Nonostante questa forte idea di incontro/scontro con il mondo e la sua cruda realtà e
svolgersi delle azioni, Cartier-B. sente il bisogno anche di razionalizzare: è sì un
reportage, ma è tutto così formalmente “a posto” nell’immagine da sembrare quasi
ambisca a valori pittorico/formali.
- Momento in-between (Frank / Klein)
Sono immagini relativamente complicate con vari punti di attrazione. Questo tipo di
fotografia non ha il “gusto della scenetta” come la precedente, è completamente casuale,
assolutamente non celebrativa o esaltante. E’ presente l’idea di “entrare dentro” alle cose,
spesso anche a prezzo di scorrettezze visive/formali. Molto frequente l’utilizzo del
grandangolo: obiettivo particolare che amplia l’angolo di ripresa “normale” della
fotocamera utilizzata (è l’opposto del teleobiettivo, che restringe il campo visivo prendendo
l’immagine da lontano). E’ assolutamente il tipo di fotografia più affine alla poetica
informale.
William Klein è di nascita svizzero ma di adozione americana: alla teoria del “momento
decisivo” sostituisce quella del “momento in-between”. Per lui sarebbe forzatura voler
cogliere il momento decisivo: questa tipologia di reportagismo, meno composta ed
elegante della precedente. “Era come fossi un etnografo: trattavo i newyorchesi come un
esploratore tratterebbe uno Zulu. Cercavo lo scatto più crudo, il grado zero della
fotografia.” dichiara Klein
Robert Frank è produttore del celebre libro The Americans (1958-59), che trova un editore
che lo accolga prima in Europa (a Parigi) e soltanto dopo il successo ottenuto lì è
approvato anche da editori americani, che inizialmente l’avevano rifiutato perché non
gradivano l’immagine che Frank fornisce dell’America. L’introduzione di questo libro è di
Jack Kerouac, scrittore appartenente all’humus culturale contemporaneo a questi artisti.
POP ART
Un film che ha raccontato la cosiddetta Swinging London degli anni Sessanta (Mary Quant
e la minigonna, i Beatles…) è Blow Up (1966) di Michelangelo Antonioni. Questo film è
ispirato alla vita di un fotografo di moda realmente esistito, David Bay, una celebrità di quel
tempo. Il titolo del film significa “ingrandimento” ed è legato alla fotografia. Il film racconta
un pezzo di vita del suddetto fotografo, nella finzione Thomas, che nella sua carriera
incrocia una certa storia: va in un parco a fare alcuni scatti per piacere personale, e
fotografa in lontananza una coppia di una giovane donna e un uomo più anziano. La
donna si accorge delle foto che sta scattando e perciò rincorre il fotografo per avere le
immagini: lui non gliele dà. La donna lo va a trovare nello studio richiedendogli le
immagini, che lui le nega di nuovo. Incuriosito dalla tenacia della donna nel volerle, il
fotografo le analizza ingrandendole e guardandole attentamente nota che nella siepe in
fondo alle immagini c’è un personaggio con una pistola. Nasce in Inghilterra questa cultura
pop ma prende maggiormente e più visibilmente piede in America -> Pop Art.
Il cambio di proporzione è una delle tecniche di estraniamento (come ne I viaggi di
Gulliver, il fascino del romanzo sta nel fatto che il protagonista si trova di fronte a un
mondo non a sua proporzione): la preferita dagli artisti Pop.
La Pop Art ha un anticipo negli anni Cinquanta in Inghilterra. Il clima generalmente inteso
Pop è quello americano degli anni Sessanta.
Pop Art è la contrazione dell’espressione Popular Art, da tradurre come sinonimo di
“massa”, rimandante al concetto della massificazione, cultu