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PARTE TERZA: RIFERIMENTI E MODELLI

L’arte non nasce se non con la mediazione di un’arte preesistente perciò, l’invenzione di nuove

forme, l’utilizzo di materiali non usati dalla tradizione e l’annessione di mezzi espressivi sono

accompagnati da una ricerca di modelli di riferimento. La creazione comporta quindi lo scambio e

la condivisione. Proprio per questo gli artisti hanno sempre cercato un appoggio nell’arte del

passato: il Rinascimento si rivolgeva all’antichità greca-romana; Delacroix esaltava i colori dei

Veneziani; Ingres si rifà a Raffaello. Questo fino a che l’attenzione non si sposta verso altre civiltà:

gli impressionisti alle stampe giapponesi, la freschezza dei loro colori, le loro stampe e le

prospettive (senza imitarle); i fauve, gli espressionisti, i cubisti alle culture figurative più selvagge;

Kandinskji, Klee, Marce altri amavano invece le illustrazioni popolare, pittura naive o disegni

infantili; altri si rifanno alle pitture degli antenati o come Picasso erano attratti dai graffiti.

Si rivoluzionano i valori, si da spazio al caso, si valorizza l’effimero così da rendere il paesaggio

artistico allargato e diversificato.

A. una storia dell’arte allargata

La storia dell’arte nata in Occidente si è sempre limitata a interessarsi alle opere prodotte dalla

cultura occidentale, tralasciando il resto del mondo. Con l’affermazione del colonialismo, i contatti

tra le civiltà sono più facili e vengono stimolati la curiosità e gli interessi culturali così da attenuare

l’etnocentrismo europeo.

“Primitivismi”

Nel XIX secolo gli artisti iniziano a rivolgersi ai “primitivi” ma lo fanno pensando ai predecessori

del primissimo Rinascimento. Con Gauguin il termine primitivo o selvaggio designa il carattere

delle arti non occidentali. A partire invece dal cubismo il termine primitivismo rimanda a tutte le

arti delle società definite “primitive”. La mostra del 1984 al MoMA “Primitivism’ in 20th-century

art: affinity of the tribal and modern” esplorava appunto i diversi aspetti e contenuti: il primitivismo

risulta rappresentare la fondamentale tematica del XX secolo; i primi decenni hanno assistito a un

restringimento dell’interesse relativo a quest’arte ma poi con la scoperta delle statue e maschere

dell’Africa e dell’Oceania prende piede un’interpretazione modernista del termine. Ci si concentra

sull’arte tribale, mantenendo però le precedenti interpretazioni. In Germania si prende come

esempio l’arte degli Indiani d’America e gli Eschimesi.

Quest’approccio globale alle arti estranee alla cultura europee, dal 1880, è favorito dall’interesse

per la preistoria, l’archeologia e l’etnografia (arte del popolo).

Topffer nel 1840 scrive un libro a difesa del selvaggio e Gauguin mette in pratica le idee spiegate

per fondare “l’atelier dei tropici”. Già in Bretagna, per trovare il primitivo e il selvaggio aveva

dipinto “Bambini che si azzuffano” rappresentando una lotta di due monelli vicino alla riva del

mare, ritratta in stile giapponese da un selvaggio del Perù; in Francia si sentiva come uno straniero

in esilio così da partire per Tahiti, dove trovò un mondo la cui identità precedente è stata distrutta

dal colonialismo. Gauguin s’ispira ai paesaggi e agli abitanti del luogo procedendo però sulla base

della documentazione del museo, affreschi egizi, tatuaggi indigeni etc.

L’arte africana restava ancora lontana. L’arte negra (maschere e statue conosciute e apprezzate dagli

europei nei primi anni del XX sec.)

Picasso si avvicina a questa quando fa visita al museo etnografico del Trocadero nel 1906-7.

Osserva ed esamina quelle maschere e gli oggetti realizzati secondo un sacro disegno, magico che

servisse da tramite tra sé e le forme ostili da cui si sentivano circondati. In quel momento comprese

dove stava il senso della pittura, una forma di magia che sta tra il mondo oscuro e noi, e decise la

sua strada. Il suo primo quadro di esorcismo fu Les demoiselles d’Avignon 1907, anche se sostenne

di non essersi ispirato alle sculture africane. Le sue figure riecheggiano il tratto e in compenso in

seguito ammise il prestito formale. Per l’elaborazione di Chitarra in metallo nel 1912 Picasso si

servì di una maschera della Costa d’Avorio, dalla forma plastica, con due occhi dipinti su dei

cilindri sporgenti dal volto; nella sua opera, infatti, un cilindro occupa il posto destinato al foro

dello strumento.

I membri del gruppo Die Brucke, in Germania, visitano i musei etnografici; volendo opporsi a

quella che comunemente nei musei era chiamata “bellezza”, cercando una conferma in altre forme.

Ernst trova così nelle sculture africane e nelle statuette un parallelo con la propria attività creativa.

L’arte africana e oceanica attirò l’attenzione degli artisti sia perche erano volti a gustarne la bellezza

sia perché cercavano qualcosa di nuovo.

Nel 1915 tutto si era però perso, il gruppo Die Brucke si era sciolto e il cubismo era diventato come

le atre scuole. Carl Einstein presenta un saggio valutando esteticamente l’arte negra, vista come

caposaldo della cultura universale con le sue sculture/capolavori. Da allora i grandi musei hanno

ospitato sempre l’arte africana.

Dopo l’introduzione da parte di Gauguin, i fauves, Die Brucke e i cubisti, dell’arte africana e

dell’Oceania, presero vita tre atteggiamenti differenti di giudizio: criterio formalistico secondo cui

gli artisti possono attingere al repertorio formale con il quale si confrontano nella creatività; un

criterio etico - estetico secondo cui le opere svolgono una funzione apotropaica, ciò per allontanare

le influenze malvagie; criterio esistenziale che secondo Gauguin corrisponde al comunicare si con i

selvaggi ma anche a sancire una rottura per trovare un Eden.

Questi tre registri si affermano per tutto il secolo.

Brancusi si cimenta nell’evocazione delle forme del primitivo, caratterizzato da una bellezza

plastica che è carica emotiva.

Hans Arp e Marcel Janco realizzano maschere o costumi da selvaggi per le serate dada.

Gli espressionisti s’interessano ai miti e così Newman organizza e introduce una mostra d’arte

indiana per dare una nozione di arte, lontana dalle influenze formalistiche, che si avvicina a quella

di Picasso di fronte alle sculture africane e scopre inoltre qualcosa che va oltre le funzioni estetiche,

un’arte che fa da tramite e da forma ai nostri terrori, all’informe e alle angosce.

Negli anni ’60-’70 il rapporto con le arti primitive cresce ma sono pochi gli artisti che cercano di

materializzare forme elementari che si rifanno a un altrove “mitico”: Beuys è il primo tra questi e

negli anni ’60 inventa rituali sciamanici con lo scopo di ripristinare l’armonia del mondo con la

rigenerazione del pensiero. Realizza “Coyote. I like america and america likes me” del 1974 parte

in ambulanza da casa sua, la barella viene caricata su un aereo della Croce Rossa che lo porta alla

René Block Gallery di NY dopo aver attraversato tutta l’America. Li conosce un coyote catturato

nel deserto. Questa performance consiste nella convivenza con l’animale, anche se l’artista non

resta in modo permanente nella galleria e un film lo dimostra. La storia non narra cosa fa l’artista

quando non è nella galleria, però si arriva a stabilire un rapporto con l’animale, simbolo di

un’America primordiale, prima della conquista dei bianchi. Beuys lascia gli USA per tornare a

Dusseldorf sempre sulla sua barella. I suoi rituali organizzati hanno lo scopo di ricucire una ferita,

assume il ruolo di sciamano che, nelle società tradizionali, è sopravvissuto al male e ha acquisito,

dopo circostanze tragiche, poteri superiori che ora offre alla comunità.

Gerard Gasiorowski, fa esattamente il contrario, diventando Kiga, l’indiana e facendo una

regressione primitivista. Nel 1976 fonda una scuola d’arte (AWK) alla quale sono ammessi solo

artisti conosciuti che devono dipingere un cappello sotto la ferula, pianta, di un mostro di ottusità

autoritaria, Hammer. Gasiorowski s’identifica con l’indiana e realizza costruzioni effimere, oggetti

insignificanti e stravaganti fino a raccogliere in se la sua stessa arte, cucinando i propri escrementi,

raccogliendo i residui di cibo per fare dei disegni e modellandoli a forma di torta, tipo nature morte.

Dopo queste esperienze con Kiga che lo portarono a un isolamento, riprese i legami con la pittura e

dichiarò di vivere nell’intimità più completa con essa.

Quando i lavori degli artisti esterni all’egemonia culturale sono stati messi a confronto con quelli

contemporanei occidentali, la situazione cambia: artisti extraeuropei si trasferiscono per studiare ma

senza abbandonare il loro primitivismo, la propria cultura.

Assistiamo comunque ad altri tipi di primitivismi: Goldwater aveva preso in considerazione l’arte

popolare, dei disegni infantili; Kandinskji fu attratto dai disegni primitivi, sottolineando le sue

affinità spirituali con gli artisti puri che miravano all’essenziale. In questo periodo realizza, con

Marc, l’ Almanacco del Blaue Reiter pubblicato nel 1912. Elogia i disegni infantili vantandone la

realizzazione senza conoscenze estetiche. Nel 1911 Kandinskji e Marc portano avanti il principio

dell’universalità/ dell’Opera globale chiamata Arte, che non conosce confini. Le opere presentate

nell’Almanacco sono l’esempio di questo internazionalismo artistico. Si va dall’arte popolare,

dipinti su vetro illustrazioni e incisioni, a disegni giapponesi, figure del teatro d’ombre egiziano,

sculture dell’Isola di Pasqua, Messico, Malesia etc. i disegni infantili occupano un ruolo maggiore

associato a disegni di dilettanti. All’interno del volume non sono però presenti elementi che

testimoniano l’arte classica (Apollo, Afrodite, Rinascimento, Raffaello ecc). S’ignora l’arte

celebrata nelle scuole e nei musei.

Nei vari studi fatti si rileva una connessione tra arte popolare e arte dei selvaggi in quanto entrambe

combattono l’accademismo. Nei suoi testi Kandinskji sottolinea la freschezza sentimentale di

persone semplici capaci di comunicare alle loro creazioni una profondità preziosa. E al pari dell’arte

popolare anche le arti infantili attirano la sua attenzione, colpito dalla loro naturale tendenza a

raggiungere l’essenziale senza ricorrere all’accessorio. Difatti molti artisti hanno osservato la

fantasia istintiva dei disegni infantili per cercare di coglierne l’essenza. Klee, Mirò, Picasso,

Debuffet o Baj, non disegnano come bamb

Dettagli
A.A. 2014-2015
42 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/06 Cinema, fotografia e televisione

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher carolinecocci.marcoccia di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Arte e fotografia del Novecento e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Gallo Francesca.