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N.B.

1° fase del processo di criminalizzazione: quella attraverso la quale si forma e si crea la legge penale. Dopo che si è creato un

problema sociale, attraverso anche l’attività dei cd imprenditori morali, il legislatore decide di creare una nuova fattispecie penale

nell’ordinamento giuridico.

2° fase: si è in presenza di istituzioni che hanno come obiettivo istituzionale, sono deputate ad applicare la legge penale. Questa

fase secondaria si può suddividere nella fase:

- Fase delle indagini pre processuale: predominate è la figura delle forze dell’ordine in collaborazione con la Procura della

Repubblica

- Fase dibattimentale, del processo vero e proprio: prevale come attore principale l’istituzione giudiziaria

3° fase che è quella dell’esecuzione penale. C’è stato il processo, c’è stata una sentenza di condanna ed ora si passa all’esecuzione

della condanna. Il Prof ha introdotto il tema del carcere, quindi della pena detentiva. Altre forme di esecuzione della pena: le cd

misure alternative. Che vengono gestite da altri soggetti, diversi da quelli di cui abbiamo fin ora parlato.

Il nostro legislatore ci dice che il carcere dovrebbe essere una pena di EXTREMA RATIO; le pene più utilizzate dovrebbero essere

le cd misure alternative. Di fatto invece questo ordine di grandezza è capovolto: nonostante l’obiettivo enunciato dal legislatore, la

pena principale è la pena detentiva.

Si è partiti dalla inquadramento storico della pena carceraria.

Abbiamo parlato del modello panoptico: ideato da Jeremy Bentham e descritto da Foucault, uno storico del carcere, come modello

paradigmatico del carcere moderno, del potere disciplinare. Il panoptico è un modello ideale: questo è avvenuto perché è un

modello astratto difficilmente gestibile da un pdv pratico.

I riformatori, i penitenziaristi della prima metà del 800 dovevano fare i conti con dei limiti pratici:

1) Di carattere economico. Prima metà del 800, modello di Stato è liberale. Stato che non aveva un bilancio pubblico

paragonabile ai bilanci del cd Stato sociale. I soldi a disponibilità dello Stato erano pochi. Difficile era realizzare queste

teorie rieducative nella pratica. Gli Stati ottocenteschi, dovettero verificare la praticabilità delle teorie penitenziaristiche

costruendo ex novo delle istituzioni rispetto alle quali non si aveva esperienza. Furono innanzitutto gli Stati del Nord

America a sperimentare i primi modelli penitenziari. Dove c’era una maggior propensione alla sperimentazione:

sperimentavano questa nuova tecnologia di controllo sociale. Vi era una esigenza di manodopera per le nascenti industrie

(periodo di sviluppo dell’economia di tipo industriale e capitalistico). Le carceri ebbero in America una funzione di

disciplinare i soggetti alle nuove modalità di produzione capitalistica. Cioè le carceri avevano come scopo quello di

forgiare l’uomo che doveva lavorare nell’industria. Quindi gli USA furono in qualche modo un laboratorio di

sperimentazione di questo nuovo strumento di controllo sociale. Vennero elaborati negli USA 2 modelli di

sperimentazione:

2) Entrambi partono da una radice comune: il concetto di isolamento. Secondo Tocqueville, grande protagonista della storia

del carcere perché venne mandato negli USA dal Governo Francese per relazionare sulle carceri statunitensi, perché c’era

molto interesse su questo nuovo strumento di controllo sociale. Tocqueville insiste molto nei suoi scritti sul concetto di

isolamento: il carcere moderno si differenzia rispetto alle forme di detenzione pre moderne per il fatto che isola o

vorrebbe isolare il singolo condannato, rispetto agli altri condannati. Proprio per evitare la contaminazione, il vivere in

comune con altri soggetti che hanno violato la legge penale, diventi uno strumento di diffusione della criminalità stessa.

Si differenziano però rispetto a come viene gestito l’isolamento.

a. Modello philadelphiano: perché si sviluppò nel carcere di Philadelphia (Pennsylvania). Si ispira a un isolamento

di tipo monacale, di carattere religioso. Non a caso è stato elaborato da una setta protestante quale erano i

quaccheri. Prevede un isolamento del detenuto pressoché totale, sia di giorno sia di notte. Di giorno il detenuto

lavora. Altro elemento fondamentale che distingue la detenzione pre moderna da quella moderna. Nel carcere

moderno la giornata è scandita in modo dettagliata dal regolamento interno. Il detenuto deve seguire una certa

scansione del tempo: si alza, mangia, lavora, mangia, va a dormire tutto in orari e con modalità pre stabiliti. Il

condannato spesso ha commesso un crimine per accaparrarsi un interesse economico: disciplina del lavoro serve

per rendere conforme alla legge la vita del detenuto. Nel modello philadelphiano il lavoro è di tipo solitario, e

quindi sostanzialmente il detenuto non conosce i propri compagni di detenzione. Ci sono delle stampe

dell’epoca che ritraggono i detenuti con delle maschere, perché questa assoluta non conoscenza tra i detenuti

doveva avvenire anche nei pochi momenti di socialità: per es. quando si esce in cortile per l’ora d’aria. Questo

per evitare che i detenuti si conoscessero tra di loro. Perché non si voleva che all’interno della struttura

carceraria si creassero dei sodalizi che si trasformavano poi in bande criminali al momento dell’uscita dal

carcere. Fenomeno assai frequente, ancora oggi. Quindi isolamento totale h 24 del detenuto rispetto a qualunque

soggetto detenuto. Unico riferimento del detenuto è l’agente di custodia o persone come il Cappellano: ruolo di

conforto alla solitudine estrema del detenuto. Tocqueville andando ad intervistare qualcuno dei detenuti si

accorge che per questi detenuti anche l’agente di custodia è qualcuno da accogliere favorevolmente, basta di

poter intrattenere dei rapporti umani con qualcuno.

Questo modello philadelphiano venne sperimentato e venne rapidamente abbandonato nella sua forma più

rigorosa e radicale, perché una persona detenuta in queste condizioni, ha dopo breve tempo problemi mentali di

grave impatto. Perché è quasi del tutto insostenibile da un pdv psicologico. Il modello philadelphiano, che aveva

come ulteriore problema quello di essere molto costoso: perché presupponeva la costruzione di edifici

penitenziari che garantissero l’isolamento di ogni singolo detenuto. All’epoca quando venne costruito era la

seconda costruzione in muratura negli USA. Oggi è pressoché intatto ed è un Museo.

Altro problema rilevante per gli USA: siccome i detenuti erano isolati, non si poteva quindi creare un sistema

industriale. I lavori che si potevano fare erano solo di tipo artigianale, quindi non delle vere e proprie strutture

industriali nelle carceri

Limiti di questo modello vennero superati in parte da quello auberniano.

b. Modello auberniano: di poco successivo che si sviluppo nel carcere di Auburn (Alabama). Durante la giornata i

detenuti potevano lavorare in gruppo. Era concesso ai detenuti di vedersi, di lavorare in laboratori insieme, ma

per evitare il “contagio”, i detenuti non si potevano parlare. Quindi vale la regola ferma del silenzio. Dice

Tocqueville che si possono vedere ma non si possono conoscere: perché tra di loro non c’è scambio verbale.

Possibile organizzare lavoratori manifatturieri a tutti gli effetti. Nascono altri tipi di problemi: in particolare

come far rispettare la regola del silenzio. Soprattutto quando il numero di detenuti è elevato. Implica quindi un

alto numero di sorveglianti. Si registrava la frequente necessitò di sanzioni disciplinari perché trasgredire la

regola era quasi inevitabile.

Ma le sanzioni disciplinari facevano rientrare quel concetto di violenza che si era voluto eliminare dagli istituti

penitenziari. La sanzione disciplinare poteva essere violenza nel senso di:

- Celle di isolamento oscure

- Legato ai ferri: nelle celle c’erano degli anelli fissati al muro. Legato con una catena a questi anelli nel

muro, impediti quindi nei movimenti con delle catene.

- Regime a pane ed acqua: quindi sanzione nel vitto

- Stilettate: ossia le frustrate. Preciso tariffario rispetto alla gravità della sanzione commessa

Naturalmente questo comportava delle conseguenze di carattere negativo: la violenza era rientrata nel concetto

di sanzione.

Tocqueville nei suoi scritti fa conoscere in Europa queste due esperienze nord americane. Scelta che fa lo Stato sabaudo. Dopo la

restaurazione, nel 1815, vengono ripristinate le pene precedenti alla rivoluzione francese: quindi le pene corporali. Ma

evidentemente i governanti dell’epoca si rendono conto che sono anacronistiche queste pene, si deve adeguare il sistema penale

alla scienza penitenziaria moderna.

Prima mossa che fa il governo sabaudo: in quel di Saluzzo si stava discutendo dell’abbattimento della Castiglia. Alcuni funzionari

del governo sabaudo invece propongono di riadattare la struttura a carcere. Idea vincente: viene approvato il progetto e riadatta

questa struttura, concepita architettonicamente come una struttura militare, o comunque di governo, la riadatta all’uso carcerario.

Questa struttura rieducativa quindi non è stata costruita ad hoc (come invece erano le strutture panoptiche o come il carcere di

Philadelphia). Questo aspetto della inefficienza architettonica è rilevante. Primo esempio piemontese del Regno di Sardegna, di

struttura carceraria tipicamente moderna. Inaugurata nel 1828 con il nome di “Casa di reclusione e di lavoro”. Ossia una struttura

che non è finalizzata all’annientamento della persona condannata, ma è finalizzata alla sua rieducazione.

Il Governo sabaudo investe in questa impresa un capitale finanziario notevole. Si tratta di un progetto per certi aspetti di tipo

sperimentale. Viene chiamato alla direzione del carcere Giacomo Caorsi che aveva precedentemente gestito il carcere di

Sant’Andrea di Genova. Costui aveva gestito, investendo dei capitali propri, quindi al confine tra la figura di imprenditore privato

e funzionario statale. E fu chiamato alla direzione del carcere di Saluzzo per i suoi brillanti risultati in quel di Genova, proprio

nell’ottica del lavoro ai condannati nell’ambito dell’istituto. Caorsi tutto questo lo scrisse nel 1850, in un documento al

Parlamento subalpino.

Quando venne chiamato a dirigere il carcere di Saluzzo vennero fuori i primi problemi:

1) Troppo tenero ed accondiscendente con i detenuti. Usava poco le pene corporali: questo viene spiegato dallo stesso Caorsi. La

pena corporale è controproducente perché non migliora il detenuto, ma lo incattivisce, lo esaspera nei confronti

dell’istituzione carceraria.

Caorsi viene sottoposto a una serie di controlli da parte del Ministero, cerca di difendersi con i risultati ottenuti che per lui sono

ottimi. Addirittura è s

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A.A. 2014-2015
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SSD Scienze giuridiche IUS/20 Filosofia del diritto

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher CFGran di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Sociologia del diritto e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Sarzotti Claudio.