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Il significato di una parola è dato dal suo criterio di applicazione. Esempio pag 507: artropodo,
cosa vuol dire dargli significato? definizione osservativa, che distingue gli artropodi da quelli che
non lo sono. Se la definizione è chiara, avviene la distinzione da quello che è artropodo da quello
che non è. X è animale, x ha corpo seghettato, x ha estremità articolate. Queste definizioni sono
verbali, che devono essere ancorate all'esperienza attraverso una definizione ostensiva: invece di
dire cos'è un animale, posso cercarne uno e dire che è animale, ancorando la descrizione
all'esperienza. Altrimenti si avrebbero solo meri giochi di parole. !
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Carnap prende due parole inventate (se facessimo esempi con parole note la loro definizione ci
condiziona) babico e bebico (pag 509): mettiamo che qualcuno dica che tra le cose vi sono cose
babiche e non babiche; ci chiediamo quindi la proprietà della babicità, come distinguerla,
chiedendo il criterio di applicazione della parola babico. In realtà non vi sono qualità empiriche
indicanti la babicità, non c'è alcuna qualità empirica che si possa verificare che distingua il babico
dal non babico. La conclusione di Carnap è che in questo caso non riterremmo/considereremo
lecito l'uso di tale parola. Secondo passaggio: c'è questo criterio di distinzione ma non è empirico,
cioè non ne abbiamo accesso. Terzo passaggio: incalzato chi riesce a distinguere i termini afferma
di voler indicare qualcosa con la parola babico: il significato sa qual'è ma non può essere
comunicato perché al di là dell'empirico sensibile (al di là delle sensazioni). Ma se uno mi assicura
che babico ha significato, si limita a esprimere un significato psicologico su di sé, non dicendomi
nulla sull'esperienza mistica ma dicendomi che qualcuno l'ha fatta ed è in grado di conoscerla.
Essendo allievo di Frege, Carnap dice che quindi è un fatto psicologico e non logico-semantico,
seguendo la linea del maestro. Se non è stabilito criterio di applicazione, ogni proposizione in cui
compare babico è insensata, e se è insensata non vuol dire che una parte di essa sia sensata ma
che l'intera è insensata. !
Si potrebbe obiettare ma Carnap impedisce l'introduzione di nuove parole. Per Carnap invece il
linguaggio non impedisce di creare nuove parole ma se la devi introdurre devi darle un criterio di
applicazione: è il caso di bebico, col significato di quadrangolare. Possiamo introdurre tutto basta
associare criterio di applicazione ma una volta fatto non possiamo far significare alla parola ciò che
vogliamo (una volta dato significato esso ci vincola, non abbiamo più la libertà di fargli dire altro da
quello che dice. Per fare questo occorrerebbe un nuovo criterio di applicazione ma in questo caso,
se dovessimo farlo ogni volta, non riusciremmo più a capirci). !
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Esempi di parole che la metafisica usa senza significato, due di numero: Dio e Principio. Dio è
significativa perché dimostra come Carnap non stia dicendo che esistano parole in quanto tali
senza significato. La responsabilità sta nell'esplicitare i criteri di applicazione (ossia: qual'è il
significato?). La parola Dio è complicata: è un nome proprio? se lo è non posso dire x è Dio ma x
si chiama Dio. In greco, siccome gli dei hanno dei nomi, Dio non è il nome di un essere ma una
sua proprietà (Giove è dio o è un dio). Ma il dio del cristianesimo si chiama Dio o è dio? noi non
conosciamo il nome di Dio, anzi, ha infiniti nomi e chi li conosce tutti è Dio stesso. Se diciamo che
Dio ha molti nomi possiamo chiederci: tra i tanti c'è il nome Dio? di qui si ritorna al problema di
base. Carnap fa tre distinzioni dell'uso della parola Dio: uso mitologico, metafisico e teologico.!
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Uso mitologico: non crea problemi a Carnap, se interpretiamo la teologia greca alla lettera. Come
usi la parola dio? dio si applica a determinati esseri con determinate proprietà che vivono
nell'olimpo. Posso stabilire che non esistono gli dei, dichiarando insensata la mitologia, non falsa. !
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Uso metafisico: qui Dio è insensato, ossia non è stato dato criterio di applicazione della parola, e
si rigetta ogni criterio di applicazione. !
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Uso teologico: miscuglio dei due usi, convive l'uso metafisico. Se dico che uso la parola dio come
ente che mi guarirà dalla prox malattia, Dio assume significato, assume uso metafisico. Obiezione:
non potremmo dire che Dio è quell'ente a cui non posso dare alcun significato? si, io devo
mostrare cosa nel mondo accadrebbe se dio esistesse, qualcosa di verificabile e che sia legato a
come il mondo è. Nelle religioni questo non potrà mai essere esaudito, perché vorrebbe dire di
porre dio alla pari del mondo. Alternativa: credo quia absurdum, il credente potrebbe dire a Carnap
che questa non sia una critica alla religione ma al riconoscimento che davanti a Dio il nostro
linguaggio è inadeguato. Il nonsenso è il segno in cui abbiamo toccato il limite del linguaggio. Per
Carnap sarebbe un fatto psicologico. Non abbiamo parole per dire....che cosa? non è via diretta
per la conoscenza diretta di Dio. Dovremmo poter fare distinzione fra nonsensi importanti, banali e
relativi. Ma Carnap non li distingue. !
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Definizione ostensiva: rosso è definito nell'oggetto di colore rosso. Non si definisce la specifica
occorrenza del colore, ma questo è tutto quello che assomiglia in maniera significativa a questo, lo
chiamiamo rosso; è un suo campione che ci permette di distinguerlo. Ma un campione è parte del
linguaggio, non c'è un campione ma l'occorrenza di rosso. La definizione ostensiva prende un
pezzetto di mondo e lo trasforma in campione di linguaggio. !
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Altra parola di Carnap è Principio: non dice che ci sono parole che in quanto tali sono prive di
significato. Le parole, in quanto tali, sono innocenti. Se una parola non ha significato è perché non
gliel'abbiamo dato. Esistono solo indagini storiche per capire come si siano dati i significati. !
Perché la parola principio, per Carnap, non ha significato? perché ogni volta che si indica un
criterio di applicazione di questa parola, il metafisico retrocede perché non è intesa nel significato
indicato. Principio ha un significato che non ci viene detto: spesso può essere inteso come causa
in ambito scientifico. Domanda di Carnap è: cosa si cerca quando si cerca il principio di tutte le
cose? se rispondo ho dato significato a principio, se rispondo metafisicamente affermando che non
vi sia risposta, rivelo che alla parola non ho dato significato. Il metafisico non dà un significato,
pertanto: per composizionalità, se una parte non ha significato, l'enunciato non ha significato ed è
insensato. !
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Non è questo il vero nonsenso metafisico. Quello vero è contenuto nell'enunciato "Cesare è un
numero primo", esemplificandolo nel "Cos'è la metafisica" di Heidegger (dai un' occhiata su: http://
www.academia.edu/2369978/Il_nulla_nulleggia_ancora). !
Paragrafo 4: Il secondo tipo di nonsenso avviene quando tutte le parole hanno significato ma le si
combina assieme creando un enunciato senza senso. La sintassi dichiara quali combinazioni di
parole sono lecite e quali no e stabilisce la grammaticalità. !
Carnap dà importanza alla costruzione di linguaggi logicamente ideali o perfetti e che equivale a
dire che il compito della filo è esplicare. La sintassi non è sempre in grado di distinguere tra
proposizioni lecite e non. Una sintassi di una lingua perfetta deve poter fare questa distinzione. Il
problema è: quale è il rapporto tra una lingua naturale e ideale? Carnap sostiene che nella lingua
naturale abbiamo la parola causa, adoperata con diversi significati (es. ragione, motivo con
spiegazione o giustificazione). In cosa consiste l'esplicazione? consiste nel prendere una parola o
un concetto vago o ambiguo, come la parola causa, che non crea alcun problema. Se stiamo
facendo filosofia, esplicare il concetto di filosofia è un concetto di causa, privato dell'ambiguità, e
fissato nell'uso di un dato concetto, distinguendolo ad esempio per ragione. In questa maniera ho
perso qualcosa nel concetto di causa perché esso, nella nostra lingua, ha tutta una serie di
applicazioni, non spiegandolo come lo usiamo davvero ma rendendolo vigoroso. Esplicare una
parola o concetto vale a dire dare una spiegazione rigorosa che ci permette in seguito di utilizzarlo
in maniera chiara e precisa. !
Abbiamo pertanto il significato ordinario (vago e disambiguato nei vari contesti), esplicato (per
motivi scientifici alla costruzione di un linguaggio della sintassi rigorosa) e definito (dettagliato e
accordato su un dato significato). !
Poniamo:!
A) la torta di rabarbaro è buona!
B) la torta di rabarbaro non è buona!
vi è reale disaccordo ma nessuno è in errore. I primi che hanno affrontato il problema sono gli
espressivisti: si tratta di episodi della propria autobiografia, equivalendo al mi piace o al non mi
piace. L'espressivista dice che non c'è alcun reale disaccordo, perché A è d'accordo con B, non
mettendo in discussione che non gli piaccia, il disaccordo sarebbe se contraddicesse ciò. Il
disaccordo pertanto è dissolto, poiché non ci sono casi di disaccordo senza errore. Il giudizio etico
riguarda la cosa, non le nostre idee o preferenze. !
Il contestualismo invece opera sull'aggettivo buono/a: per capirlo bisogna distinguere enunciato
dalla proposizione espressa. In A-B sono uno positivo e uno negativo. A livello di proposizione si
tratta di sapere se entrambi esprimono la stessa posizione enunciativa. I contestualisti dicono di
no: buono ha un indice, ossia il per me (buono per A, buono per B). Anche se in apparenza usano
lo stesso aggettivo, ne stanno usando due diversi. Questo permette di dire che si sta parlando di
torte ma sulla torta non si sta dicendo la stessa cosa, evitando la posizione dell'espressivista (che
non parla di torte. Ma quindi perché ne parliamo?). Perché ci sia disaccordo dobbiamo dire cose
contraddittorie ma le stesse cose. Il contestualismo spiega perché il disaccordo sia seza errore
(perché stiamo usando aggettivi diversi) ma non spiega il disaccordo. Ma se non c'è disaccordo,
nemmeno il contestualismo sa perché stiamo disputando. Allora o siamo irrazionali (discutiamo
dove non c'è nulla da discutere) o il contestualismo è inadeguato perché dissolve il disaccordo
dove c'è realmente di