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B)
12. l’assemblea
lo statuto introduce una serie di diritti strumentali all’esercizio delle libertà sindacali poste
in capo ai lavoratori.
All’art. 20: i lavoratori hanno il diritto di riunirsi nelle unità produttive in cui prestano la loro
opera per svolgere assemblee. Il diritto di assemblea collega la base dei lavoratori alle
rappresentanze.
Ne sono titolari i singoli lavoratori ma è di esercizio collettivo. Essendo istituto di
democrazia diretta rappresenta un correttivo alla logica di democrazia rappresentativa
dello statuto.
La convocazione spetta congiuntamente o separatamente alle r.s.a. Ad oggetto
dell’assemblea possono esserci solo “materia di interesse sindacale e del lavoro”.
Interesse sindacale: si è dibattuto su tale nozione a causa della contrapposizione di una
teoria oggettiva ad una soggettiva. La prima limita la materia alle sole questioni che
coinvolgono la tutela collettiva degli interessi dei lavoratori; la seconda fa capo alle
questioni che sono di interesse del sindacato in base al momento storico.
Preferibile è la seconda proprio perché l’attività sindacale è mutevole e non definibile a
priori.
Materia del lavoro: è facilmente definibile in tutto quel che riguarda l’amministrazione del
rapporto di lavoro e diritti connessi.
Il locale deve essere un locale idoneo messo a disposizione dal datore, per questo
l’assemblea deve essere legittimamente convocata e il datore preventivamente avvisato.
Partecipanti: sono tutti i lavoratori della unità produttiva o anche gruppi di questi secondo
la convocazione; possono prendervi parte anche i lavoratori sospesi, cassintegrati o
scioperanti. I dirigenti esterni del sindacato che ha costituito l’r.s.a. possono entrarvi previo
avviso al datore. Il datore non ha diritto a partecipare. In base al rapporto con l’interesse
del datore di lavoro a che venga svolta l’attività lavorativa, si distinguono due tipi di
assemblee:
21 quelle in costanza d’orario e
- quelle al di fuori di esso.
-
Le prime sono retribuite e limitate a un massimo di dieci ore annue se non previsto
diversamente; le seconde non sono retribuite e non hanno limiti temporali.
13. il referendum
previsto dall’art. 21 s.l., è promosso da tutte le r.s.a. fuori dall’orario di lavoro, con diritto di
partecipazione di tutti i lavoratori dell’u.p. e dei lavoratori della categoria interessata.
Il fatto che la promozione possa provenire da tutti consente la partecipazione di tutti i
lavoratori interessati al referendum.
Esso può riguardare la totalità o solo un gruppo interessato di lavoratori.
L’oggetto del referendum deve riguardare materie inerenti all’attività sindacale.
All’apparenza sembra una formulazione più ristretta rispetto a quella utilizzata per il diritto
d’assemblea che prevede anche la materia del lavoro. Sennonché è evidente che rientra
nell’interesse sindacale tutto quello che rientra nell’azione sindacale. Nella prassi sono
oggetto sia le piattaforme rivendicative poste prima dell’inizio delle trattative per il rinnovo,
sia le ipotesi di accordo siglate alla fine di queste.
È una sorta di diritto potestativo e il datore deve consentire la sua attuazione. Dato che i
referendum devono svolgersi al di fuori dell’orario d lavoro non si pone un problema di
interferenza con l’attività produttiva, salvo che il datore deve comunque porre a
diposizione un locale idoneo per il referendum.
14. attività di proselitismo e raccolta dei contributi sindacali
Sono attività fondamentali dal punto di vista economico e finanziario e per poter svolgere il
mandato. Della materia ci si occupa all’art. 26 s.l. che è stato oggetto di referendum
abrogativo. Statuiva che i sindacati potessero svolgere tali attività all’interno dei luoghi di
lavoro senza pregiudizio del normale svolgimento dell’attività aziendale (i lavoratori non
possono sospendere il lavoro, farlo sospendere i colleghi per svolgere attività di
proselitismo, ma dovranno utilizzare gli intervalli lavorativi o i permessi).
Il titolo di tale diritto è individuale per i lavoratori i quali possono svolgere tutte le attività
connesse senza dover avere un’autorizzazione del sindacato. Ogni condotta del datore
contrastante tale diritto è da ritenersi antisindacale.
Seguivano due disposizioni: una prevedeva che il sindacato potesse per diritto applicare
delle ritenute al salario dei lavoratori che volevano contribuire e l’altra volta ad assicurare
ai lavoratori il diritto a chiedere al datore che parte del versamento dei contributi fosse fatto
al sindacato (se il rapporto non era regolato da un rapporto collettivo).
Il referendum del 95 ha abrogato il secondo e terzo comma, lascando in vita il primo.
Questo ha portato ad alcuni effetti: preliminarmente diciamo che la riscossione dei
contributi sindacali a mezzo di trattenuta va qualificato come delegazione di pagamento. Il
datore di lavoro (delegato) versa al sindacato (delegatario) la quota del lavoratore
(delegante). Privatisticamente il datore di lavoro non sarebbe per obbligo vincolato ad
accettare l’incarico. Questo per il fatto che il datore potrebbe avere anche spese si risorse
nel dare determinato servizio. Il 26, 2° 3° comma, introducevano un obbligo ex lege nei
confronti del datore, che venne abrogato per restituire l’autonomia alle parti nella raccolta
dei contributi.
22
Il datore di lavoro non sarà più obbligato ex lege ma aderirà solo volontariamente o su
omologazione prevista dal contratto collettivo. L’effetto del referendum non è stato
avvertito dalle associazioni sindacali firmatarie di contratti collettivi poiché tutte prevedono
espressamente questo obbligo a carico del datore.
Solo le associazioni escluse dalla sottoscrizione dei contratti collettivi ad esserne
penalizzate.
Sezione VII. Il procedimento di repressione della condotta antisindacale
1. l’art. 28 dello statuto dei lavoratori: procedimento
Questo articolo pone uno speciale procedimento giurisdizionale che ha la funzione di
restaurare con tempestività la normalità sindacale lesa dal comportamento illegittimo dl
datore. Si completa così la volontà di rendere effettivi i diritti astrattamente dichiarati nella
costituzione, nello statuto. L’art. prevede che quando il datore ponga in essere un
comportamento diretto a impedire o limitare l’esercizio della libertà e l’attività sindacale o il
diritto di sciopero, gli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che siano
interessati, possano ricorre al giudice del lavoro del luogo e chiedere la cessazione del
comportamento e la rimozione degli effetti. La cessazione e la rimozione sono ordinate dal
giudice del lavoro, che sentite le parti e recepite sommarie informazioni, con decreto
motivato qualora rinvenga la violazione di legge. La parte soccombente entro 15 giorni può
opporsi al medesimo giudice. Ha corso un ordinario giudizio, a cognizione piena, all’esito
della quale il giudice emette una sentenza, impugnabile mediante la strada delle
impugnazioni ordinarie (appello e Cassazione). Tale procedimento è affine, nella prima
parte, a quello d’urgenza con cui il giudice, con una sommaria istruttoria, accoglie o nega
la domanda sulla base della riconoscibilità di un buon fondamento giuridico, almeno
apparente. Nella seconda fase, nel rispetto delle regole del procedimento ordinario si
procede ad un’istruttoria completa. Le differenze con la procedura d’urgenza sono sfumate
poiché in base alla riforma dell’art. 700 c.p.c. la fase di cognizione piena successiva a
quella sommaria non è più indispensabile perché l’ordinanza di accoglimenti mantenga
efficacia. Non si tratta di un mero provvedimento anticipatorio.
Le sanzioni. Per rafforzare la deterrenza dello strumento del processo, l’art. 28 prefigura a
carico del datore irrispettoso dell’ordine del giudice, l’applicazione della sanzione penale
prevista dall’art. 650 c.p.: arresto fino a tre mesi o ammenda. La sentenza penale è anche
soggetta a pubblicazione. Il richiamo all’alrt. 650 del codice penale è effettuato
esclusivamente quod poenam e il giudice penale non può sindacare sulla legittimità
dell’ordine contenuto nel decreto ex art. 28. Nel 2000 è poi stata prevista la revoca delle
agevolazioni fiscali ai datori condannati definitivamente per condotta antisindacale.
2. legittimazione attiva e passiva e interesse ad agire
la legittimazione spetta agli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che ne
abbiano interesse.
È il sindacato che può provocare l’accertamento della condotta, in questo modo il
legislatore inserisce il sindacato nel circuito giuridico-processuale come portatore degli
interessi collettivi dei lavoratori. Al di fuori di questo caso il sindacato non ha altra
23
legittimazione tanto meno rappresentanza giuridica della categoria di riferimento. Il testo
allude alle strutture territoriali delle associazioni. Per individuare quelle strutture legittimate
in concreto occorre far capo all’organizzazione dell’associazione che intende agire, alla
luce dello statuto interno all’associazione. Normalmente sarà il sindacato provinciale di
categoria, è da escludersi la legittimazione delle r.s.a. che non rappresentano una struttura
territoriale.
Significativo è che la legittimazione sia conferita, non al sindacato maggiormente
rappresentativo di matrice confederale, ma alle associazioni sindacali nazionali,
garantendo una sfera più ampia di soggetti, anche se deve, come presupposto, deve
coesistere l’interesse ad agire. Solo le associazioni che rispetto al dato comportamento
antisindacale del datore hanno l’interesse ad agire sono legittimate.
In concreto saranno associazioni che hanno un contropotere nei confronti del datore. Si
ritorna quindi ai soggetti dell’art. 19 anche se non si escludono i sindacati non presenti
nell’impresa a tutela dei lavoratori non iscritti.
Il carattere nazionale corrisponde a una discrimine nei confronti dei sindacati locali, che
non hanno diffusione territoriale. Ne consegue che un sindacato sottoscrittore solo di un
contratto collettivo provinciale o aziendale potrebbe costituire una r.s.a. ma non avere la
legittimazione ex art. 28 s.l.
La scelta di legittimare le strutture sindacali territoriali ha passato positivamente il vaglio
costituzionale. La corte ha negato la lesione del 3 e del 24 per l’esclusione dei singoli
lavoratori dalla legittimazione in ragione del fatto che possono ricorrere con i metodi
ordinari. Ha poi escluso la violazione del 3, 24 e 39 per il privileg