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Tale disciplina si applica sia nelle situazioni fisiologiche (normali) della società, sia in quelle
patologiche, con conseguenze diverse:
1. In situazioni normali, il finanziamento dei soci è pericoloso quando sussiste la condizione b): non è
pericoloso il finanziamento in sé, ma è dannoso quando va a colpire la restituzione (il socio si
avvantaggia indebitamente a discapito degli altri creditori). Dunque, è stato stabilito che il rimborso
dei finanziamenti dei soci erogati nei momenti a) e b) viene postergato al soddisfacimento degli altri
creditori (il finanziamento è quindi trattato come un conferimento);
2. In caso di fallimento, il socio è più informato sulla situazione della società rispetto ai semplici
creditori, potrebbe dunque richiedere il rimborso dei finanziamenti effettuati poco prima del
fallimento e poi abbandonare la società.
Si è stabilito che, se il rimborso di un finanziamento dei soci è avvenuto nell'arco dell'anno
precedente il fallimento, il socio è obbligato a restituire il denaro alla società ed egli verrà
rimborsato solo dopo che saranno stati soddisfatti tutti gli altri creditori (il finanziamento è quindi
trattato di nuovo come un conferimento).
La tutela che emana da questa norma è molto forte, ma, dato che si trova nella disciplina delle srl,
si discute se sia giusto estenderla anche alle Spa. La generale risposta è sì, per i seguenti motivi:
Art. 2497quinquies: le regole appena viste valgono anche se il socio creditore è il socio che controlla
– (e tale articolo vale sia per le srl sia per le Spa); tutta la disciplina si applica allora anche alle Spa,
anche quando l'interessato non è il socio di controllo (non sarebbe infatti giusto fare delle
differenze solo perché il socio è quello di controllo, ma la regola vale per tutti i soci);
Art. 2424 (“SP del Bilancio d'esercizio”): si deve indicare separatamente in SP la voce “Debiti verso
– soci per finanziamenti”. Significa dunque che è una voce importante e lo è, a maggior ragione, nelle
situazioni patologiche (è un argomento più debole rispetto al primo, ma comunque valido).
Sono state emesse delle sentenze sull'argomento, in particolare:
Nel maggio 2012, un ex socio (GEO Italia) aveva chiesto che la sua ex società (Idroelettrico verbano)
• gli restituisse un finanziamento, ma questa aveva rifiutato dicendo che si trattava di un
finanziamento postergato.
La società non l'aveva però ricevuto in un momento di squilibrio, perciò era lecita la restituzione? Il
tribunale disse che la postergazione è una punizione per i soci che agiscono in momenti patologici
prestando denaro e, alla fine, disse che l'inesigibilità non è configurabile in questo caso, perché
nessuno degli elementi individuati dalla GEO fa pensare a una situazione patologica al momento
della restituzione (oltre che della concessione). Il tribunale decise dunque di rendere lecita la
richiesta del socio alla restituzione.
La società Tacara srl è in liquidazione. Nel 2004 aveva stipulato con una banca un mutuo e una socia
• aveva garantito con la banca per ottenerlo. Quando la società è andata in liquidazione, la socia
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aveva provveduto a svincolare la garanzia e a pagare le rate del mutuo scadute per evitare che la
banca trattenesse i suoi beni concessi in garanzia. La socia, poi, aveva chiesto alla società di
rimborsarle le rate pagate, ma la società non lo aveva fatto perché diceva che si era trattato di un
finanziamento postergato. Il tribunale stabilì che garantire o prestare direttamente alla società è la
stessa cosa e, dato che la garanzia è stata data in un momento di difficoltà, il finanziamento era da
considerarsi postergato.
Ci sono però due momenti diversi: la concessione del finanziamento su garanzia e il pagamento
delle rate scadute. Il giudice disse che il momento che contava era quello di concessione del
finanziamento da parte della banca → C'era uno squilibrio finanziario a favore del debito in quel
momento? Dall'analisi era emerso che c'era tale squilibrio e che nessun altro finanziatore avrebbe
prestato denaro alla società, quindi si è trattato di un finanziamento postergato.
Ma, al momento della richiesta della socia, la società si trovava in una situazione di squilibrio?
Questa domanda va posta in quanto ci sono due interpretazioni contrastanti:
Una più rigida, per cui il finanziamento patologico del socio va comunque postergato, anche se,
➢ al momento della richiesta di restituzione, la società avrebbe i fondi necessari per rimborsarlo;
Una meno rigida (quella scelta dal tribunale in questione), per cui il finanziamento patologico
➢ del socio può venire restituito se, al momento della richiesta di rimborso, la società ha risorse
sufficienti per rimborsarlo.
In questo caso, però, la società era in liquidazione e presentava anche uno squilibrio finanziario
(non era dunque in grado di rimborsare il finanziamento), quindi non era legittimo rimborsare il
finanziamento della socia prima degli altri creditori.
La società X è fallita. Prima del fallimento, però, due soci avevano effettuato una serie di prelievi a
• titolo di indennizzo per i finanziamenti concessi in precedenza alla società. Il curatore fallimentare
chiedeva dunque al tribunale che tali somme venissero restituite alla società.
Il tribunale però gli dà torto: questo perché il curatore non aveva esplicitato il motivo per cui voleva
indietro il denaro (la domanda non era stata formulata correttamente al tribunale). Non valeva
dunque l'art. 2467 perché l'accusa non aveva neanche provato che questi finanziamenti erano stati
effettuati in una fase di squilibrio patrimoniale (anzi, in base alla norma generale sui finanziamenti,
è stabilito che essi vadano restituiti sempre a prescindere). La domanda è stata dunque rigettata
dal tribunale per ragioni procedurali.
Durante un processo già in corso, uno dei soci (Dar srl) chiede al tribunale di emanare un
• provvedimento che ordini alla società di rimborsargli un finanziamento da lui concesso.
In caso di momenti di crisi della società (qui si trattava della fase iniziale della vita della società), un
soggetto terzo non concederebbe finanziamenti, perciò il socio l'ha concesso in una situazione
patologica e avrebbe invece dovuto effettuare un conferimento. Il rimborso di tale finanziamento è
stato dunque assoggettato alla postergazione.
Se un socio esce dalla società prima che gli venga restituito un finanziamento, esso, se sussistono
le condizioni a) e b) di prima, è comunque soggetto alla postergazione (e, dunque, si applica l'art.
2467).
Queste sentenze sono relative a situazioni patologiche, mentre ora vediamo che succede nelle
situazioni fisiologiche.
Il codice non specifica nulla: c'è un'ampia disciplina sui finanziamenti ed è legittimo che un socio
presti denaro alla sua società. Ma, spesso, esso viene concesso come se fosse una forma di conferimento.
Come si possono distinguere queste due tipologie?
Spesso, la denominazione dell'operazione non rispecchia la sua vera sostanza; quando un socio
finanzia la società può effettuare:
1. Finanziamenti a fondo perduto (c'è una rinuncia preventiva al rimborso);
2. Finanziamenti versati in caso di perdite (è un'alternativa all'aumento/diminuzione del CS);
3. Versamenti in vista di un aumento di capitale: possono essere effettuati perché l'aumento di CS
avverrà più avanti e così il socio, in quel momento, avrà già versato la sua parte (sarà poi la società a
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spostare tale somma per aumentare il CS). Se poi l'aumento di CS non avviene, il socio può riavere il
suo denaro indietro? Sì, ma deve chiedere al tribunale di fissare un termine temporale per
l'aumento del CS; se non viene rispettato questo termine, allora il denaro gli viene restituito.
Quali sono dunque le differenze tra finanziamento e conferimento? Il conferimento presuppone che
si sia un aumento del CS che può già anche essere stato sottoscritto, mentre il finanziamento può essere
effettuato in qualsiasi momento. Poi, il conferimento va subito iscritto a CS, mentre il finanziamento può
diventare una voce di debito oppure entrare in una riserva se è stato destinato a un aumento di CS. Infine, il
conferimento può consistere in denaro o in beni, mentre il finanziamento consiste quasi sempre in somme
di denaro.
Testimonianza Avv. Fissore (procedure concorsuali)
Dal 2010 ci sono stati numerosi interventi legislativi sull'organizzazione del finanziamento delle
imprese in crisi. Fondamentale è la tempestività dell'intervento da parte delle diverse figure professionali
(primo tra tutti, l'imprenditore che deve mettere in atto delle procedure parafallimentari finalizzate ad
evitare il fallimento).
Esistono 3 procedure parafallimentari:
1. Piano attestato;
2. Piano di ristrutturazione del debito;
3. Concordato preventivo.
Crisi o insolvenza? Alla base della dichiarazione di fallimento vi è lo stato di insolvenza: si tratta
dell'oggettiva impotenza economica dell'imprenditore di far fronte ai propri impegni economici (è il
presupposto oggettivo del fallimento). Invece, la crisi d'impresa parte da un presupposto oggettivo meno
forte. Prima degli interventi del 2010, quello che spaventava di più era la revocatoria. L'ipoteca è lo
strumento principale per garantire un credito e, mediante la revocatoria, essa viene rimossa con il rimborso
del debito in sede di procedura fallimentare.
Descrizione delle 3 procedure parafallimentari:
1. Piano attestato.
Non c'è una disciplina organica nella legge fallimentare (art. 67, comma 3, d)), non c'è l'intervento
del tribunale e non impone particolari obblighi pubblicitari. Punta al risanamento della posizione
debitoria (rimborso o dilazione dei debiti). Questo piano dev'essere sviluppato dall'azienda, ma
dev'essere anche accompagnato dalla relazione di un professionista (attestatore).
Professionisti coinvolti:
- Avvocato
- Commercialista
- Attestatore (avvocato o commercialista indipendente dall'impresa)
2. Piano di ristrutturazione del debito.
Art. 182bis: l'attestatore deve attestare di nuovo la fattibilità del piano e la veridicità dei dati
aziendali. Questo strumento è più procedimentalizzato rispetto al primo: ogni dettaglio viene
definito in ambito concordatario. Inoltre, deve essere messo in atto entro 60 giorni e con l'a