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ETÁ CLASSICA
Il periodo di stile severo è un periodo artistico di ricostruzione problematica, poiché quasi
tutti gli originali sono andati perduti. Le fonti nominano una serie di pittori e scultori di cui
non rimane nulla, tanto che, sempre secondo le fonti, il maggior artista dell’epoca fu
Pitagora di Samo.
Per ricostruire il periodo ci si basa sulle copie romane, dei bronzetti di ridotte dimensioni, e
sui contesti originari che sono piuttosto ben conservati (Tempio di Zeus ad Olimpia).
Il termine con cui si definisce lo stile dell’epoca, ‘severo’, deriva da Plinio, il quale dice che
le sculture presentavano una grande semplificazione dei piani, un abbandono del
decorativismo e un forte senso di unità.
Le caratteristiche formali dello stile severo indicano un netta rottura con l’epoca arcaica, a
partire dall’avvento del naturalismo (rivoluzione classica: nascita dell’arte occidentale):
• Semplificazione e abbandono del decorativismo
• Diversificazione dell’iconografia umana da quella divina
• Fusione a cera persa
• Prevalenza delle statue in bronzo su quelle in marmo
La cronologia dell’età classica è spesso stata messa in discussione, ma tradizionalmente
la si fa iniziare nel 480 e finire nel 323, con la morte di Alessandro Magno. Tra il 480 e il
450 si fa datare invece il periodo di stile severo.
Kore di Euthydikos (Atene, Museo dell’Acropoli)
La statua presente degli elementi di tradizione delle korai (le trecce arcaiche, il chitone col
lembo trasversale, il braccio che tende un lembo del chitone) ma gli elementi più
innovativi, e che la fanno risalire al periodo di stile severo, sono presenti sul volto. Questo
non è triangolare e i tratti sono semplificati, non c’è presenza di decorativismo e gli occhi
non sono a mandorla, mentre è assente il sorriso arcaico. Il ritmo invece è tradizionale,
con la gamba sinistra avanzata.
Efebo di Kritios (Atene, Museo dell’Acropoli)
La statua non è un kouros e presenta scarsissime tracce d’offesa. È alta 1.20 m ca e ha gli
occhi cavi (un elemento tipico delle statue in bronzo, ma non nei marmi originali, così
come tipica delle statue bronzee è la capigliatura). Il mento è massiccio e il modellato non
è decorativi stico ma essenziale, inoltre vi è una visione tridimensionale della figura. Si è
davanti al primo esempio di gravitazione della figura stante, ovvero al peso del corpo
che insiste su una sola gamba, un elemento che porta gli scultori a indagare il
funzionamento dei muscoli). Il contrapposto dato dalla gravitazione della figura stante è
tanto più accentuato quanto più recente è la figura.
Efebo biondo
Sono presenti tracce di doratura nei capelli e la testa è stata staccata con cura (come era
accaduto a quella dell’Efebo di Kritios). Faceva parte di un’offerta votiva ed è vicina
stilisticamente alla Kore di Euthydikos.
I tirannicidi
L’originale fu scolpito nel 477 da Kritios, in modo da sostituire il gruppo preso dai persiani.
I monumenti a ricordo di atti terreni nacquero nel tardo arcaismo, e l’originale era in
bronzo, posto nell’agorà, e rappresentava Armodio e Aristogitone nell’atto di attaccare
Ipparco, ma non l’omicidio in se. Il gruppo ha avuto diverse copie romane (una trentina
circa), ma era originariamente caratterizzato dalla mancanza di espressione (una
caratteristica dello stile severo).
Auriga di Delfi
I francesi lo trovarono all’inizio del ‘900 sepolto da una frana, assieme ad una base che
riporta il nome di Polyzalos, il tiranno di Gela, e che lo rende identificabile in un
monumento per la vittoria ad una corsa dei carri a Delfi nel 474(?). SI tratta di un ex-voto
di grandi dimensioni e di altissima qualità, un originale (rarissimo) in bronzo, che non
presenta la posizione stante e che è vestito con un kiton poderes, l’abbigliamento tipico
degli aurighi. L’American Jounal of Archeology lo data al pieno stile classico.
Zeus (o Poseidon) di Capo Artemision – 480, Atene, 2m ca
Questo è un altro dei pochi bronzi originali che sono stati rinvenuti, e presenta la stessa
acconciatura con trecce dell’Apollo dell’Omphalos.
Bronzi di Riace
Una coppia di bronzi originali rinvenuti nel 1972, di cui non si conosce il contesto originale.
Negli anni ’80 sono stati trasportati a Firenze, dove hanno subito una notevole azione di
restauro e, dopo essere stati esposti al Quirinale, oggi si trovano nel Museo Archeologico
di Reggio Calabria. Si tratta di due figure nude differenti tra di loro.
Il Guerriero A è il più antico dei due e presenta una benda (re? Sacerdote?); le labbra sono
in lamina di rame e gli occhi in pasta vitrea, mentre i denti sono ricoperti in argento. È colto
nell’atto di parlare (si tratta di un unicum iconografico), il che ha fatto pensare che potesse
essere un falso romano. Doveva avere lo scudo e la lancia, ma sono entrambi andati
perduti. Il Guerriero B invece ha perduto l’elmo, ma anhce lui doveva reggere scudo e
lancia.
Dovevano far parte di un gruppo più ampio (più di dieci elementi) offerto forse dagli
ateniesi al santuario di Delfi per commemorare la battaglia di Maratona. Si è scoperta una
base firmata da Fidia, ma pare che le orme su di essa non coincidano con il peso e
l’altezza dei due bronzi.
Il discobolo di Mirone 460 a.C. ca (copia romana)
L’originale era un bronzo del periodo di stile severo e l’autore, Mirone, è conosciuto tramite
le fonti e un discreto numero di copie romane. Il Discobolo fu una delle prime statue ad
essere identificate come copia romana e non come originale. Fu scoperto nel 1781, e
secondo Quintilliano l’originale aveva un ritmo distorto ed elaborato, tipico dell’immagine
dell’atleta prima del lancio dell’attrezzo.
Il tema del discobolo, ovvero dell’atleta che lancia il disco, era frequente fin dall’epoca
tardo arcaica, e la novità dell’opera di Mirone stà nell’interesse sul tema del movimento
istantaneo. La statua presenta una resa anatomica innovativa e un canone naturalistico
sviluppato a partire dall’Efebo di Krytios . In linea col periodo artistico in cui è stato
prodotto l’originale, il volto non mostra alcun segno di sforzo fisico o alcuna espressione di
sorta.
IL TEMPIO DI ZEUS A OLIMPIA (471/456)
La costruzione del tempio inizia nel 471 a.C., l’anno della conclusione della guerra tra le
poleis dell’Elide, e viene concluso nel 456 o 457 a.C., quando fu appeso nel vestigio uno
scudo dono degli spartani.
Il tempio era dorico, periptero ed esastilo, con un rapporto canonico di 6 colonne a 13
(nx2+1), la cella era allineata alla seconda e alla quinta colonna e gli pterà erano più stretti
ai lati rispetto a quelli di fronte e dietro. Era orientato a est e l’accesso avveniva tramite
una grande rampa d’accesso, mentre la crepidine era quella tipica a tre gradini. La cella
era prostila e in antis, inoltre la struttura presentava un opistodomo, un elemento templare
tipico dall’età classica in poi. La cella era divisa in tre navate con una doppia fila di colonne
addossate alle pareti, visto che il centro era occupato da un gigantesco basamento nero, a
sua volta occupato dalla gigantesca statua crisoelefantina di Zeus realizzata da Fidia dopo
la fine della costruzione del tempio.
Il tempio era canonico anche secondo molti altri aspetti: le colonne presentavano 20
scanalature e l’echino era totalmente rettilineo e della stessa altezza dell’abaco, così come
il fregio aveva la stessa altezza dell’architrave. Fu costruito con marmo paio e un calcare
locale di cattiva qualità, poi ricoperto di stucco e dipinto e con altre pietre friabili, mentre il
tetto era in marmo pario e calcare.
Secondo Pausania l’architetto che si occupò del progetto fu Libone, ma in realtà il
pariegeta sbagliava, e per lungo tempo si sono fatte proposte su chi fosse l’autore i quello
che forse è il più importante santuario panellenico della Grecia, fino a circa 20 anni,
quando si lasciò perdere la questione.
Vi sono diversi problemi ricostruttivi che riguardano il tempio: lo stile è particolare e senza
altri confronti; gli scavi, all’avanguardia per l’epoca (1875), non sono stati di tipo
stratigrafico; nel V° secolo d.C. il tempio crollò a causa di un terremoto; non si ha ben
chiaro se le statue che decoravano i frontoni provenissero da una sola officina o da
molteplici.
Per quanto riguarda l’area santuale, e non semplicemente il tempio classico, si hanno
segni di frequentazione già dal II° millennio a.C. All’inizio il complesso santuale era
circondato da un bosco scaro (Altis, che poi è il termine tramandatoci di Pausania, oltre
che il nome con cui all’inizio si chiamava la zona). La monumentalizzazione dell’area risale
al VII° secolo con l’Heraion, mentre il fulcro del culto era l’altare, che fu ricostruito nel VI°
secolo.
Apparato figurativo
12 metope: sei per parte davanti al pronao e all’opistodomo, mentre all’esterno sono
vuote. Sono abbastanza ben conservate e mostrano le fatiche di Heracle, che secondo il
mito è il fondatore delle Olimpiadi, nonché figlio del titolare del satuario.
Frontoni:
EST: Il tema è quello del mito di Pelope (I° ode Olimpica di Pindaro) rappresentato nella
versione in cui l’eroe riceve in dono i cavalli da Poseidone. Tra i due è il frontone statico,
cosa che ha costituito dei problemi nella sua ricostruzione. Zeus era posto al centro, e la
sua iconografia diverrà canonica nella rappresentazione del dio. I personaggi sembrano
tutti indicare l’esito della sfida tra Pelope ed Oenomaus, benché la scena rappresentata
sia quella del giuramento di fronte a Zeus. Ai lati vengono posti delle personificazioni
geografiche di due fiumi della regione, mentre le figure che rappresentano gli indovini
fanno riferimento ai committenti del tempio.
OVEST: Il tema è quello panellenico e pan classico della centauromachia (la lotta tra i
Centauri –la natura selvaggia- e i Lapiti –la razionalità umana). Dei due era il frontone
dinamico, in modo che la sua ricostruzione non è stata troppo problematica grazie alle
relazioni di movimento tra le figure. Al centro della composizione si trova, singolarmente,
Apollo, dio che da nessun altra parte è messo in relazione con la centauromachia. Agli
angoli vengono messi, come nel frontone est, dei testimoni sdraiati, qeusta volta delle
lapitesse anziane che osservano la scena.
I temi che unisce i due frontoni è quello del matrimonio in quanto istituzione sacra
negata da per