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Negli ultimi decenni, mentre i paesi con economie sviluppate hanno basato
sempre più la loro produzione sulle alte tecnologie e i servizi avanzati, un
numero crescente di attività produttive (calzaturiera, tessile, alimentare,
automobilistica, elettronica e altre) è stato delocalizzato, ossia trasferito, dai
paesi industrializzati tradizionali a quelli con economie in via di sviluppo,
emergenti o in transizione.
Delocalizzazione della produzione
I paesi nei quali vengono delocalizzate attività produttive dai paesi sviluppati,
sono quelli che offrono alle imprese le condizioni più favorevoli alla
massimizzazione dei profitti: 3
una base industriale ( e infrastrutture) sufficientemente sviluppata
disponibilità di forza lavoro qualificata a basso costo
esenzioni fiscali e altre agevolazioni
accesso a mercati e materie prime locali
possibilità di costruire alleanze strategiche o di rilevare quote azionarie o
l’intera proprietà sia di aziende private sia di aziende pubbliche
privatizzate.
La delocalizzazione produttiva fa riferimento alle decisioni che determinano
l’interruzione o la riduzione di una produzione in un sito e il suo contemporaneo
trasferimento in un nuovo stabilimento, con l’obiettivo di usufruire dei vantaggi
derivanti dalla nuova ubicazione.
La delocalizzazione non va confusa con l’espansione della capacità produttiva,
che mantiene inalterata l’ubicazione delle unità produttive e il numero di
occupati nel paese d’origine e fa parte di una strategia di crescita dimensionale
dell’impresa, né con la crescita degli investimenti commerciali per penetrare i
mercati con proprie produzioni.
Delocalizzazione e Outsourcing
Delocalizzazione e outsourcing non sono sinonimi.
Frazionamento internazionale della catena del valore: le imprese decidono quali
attività esternalizzare e anche dove localizzarle, quali fasi della catena del
valore mantenere entro i confini aziendali e quali affidare ad altri e altrove.
Outsourcing: l’impresa esternalizza una o più parti del processo produttivo (al
di fuori del confine dell’azienda).
Delocalizzazione: l’impresa sposta parte della produzione in paesi stranieri, ciò
non vuol dire che esternalizza il proprio processo (la delocalizzazione può
avvenire pur rimanendo all’interno dei confini dell’impresa).
Outsourcing
Con il termine outsourcing si intende “l’uso e l’influsso di risorse, beni e
competenze di terzi a fronte di un contratto, con livelli garantiti in termini di
criteri e misurazione della qualità, della flessibilità e del value-to- cost, per
fornire servizi in precedenza forniti internamente, coinvolgendo all’occorrenza il
trasferimento del personale esistente al fornitore di servizi e/o la 4
trasformazione e il rinnovamento del processo e della tecnologia di supporto
alle attività.
Tramite l’outsourcing internazionale, invece, la produzione viene affidata a
un’altra impresa che sta fuori dai confini nazionali. Si parla di outsourcing
internazionale quando l’impresa fornitrice risiede in un paese diverso
dall’impresa acquirente e si attiva un flusso di commercio internazionale di beni
intermedi. La motivazione risiede nella convenienza economica, cioè nel fatto
che costi meno acquistare il prodotto sul mercato.
Delocalizzazione
Con la delocalizzazione l’impresa va alla ricerca di vantaggi di costo
(soprattutto) e pertanto alloca parte del processo produttivo oltre i confini
nazionali; tuttavia, ciò non comporta necessariamente un’esternalizzazione
delle fasi del processo che, difatti, può rimanere entro i confini dell’impresa,
affidato a una filiale estera o a un’impresa facente parte dello stesso gruppo.
Delocalizzare quindi significa spostare l’attività produttiva fuori dai confini
nazionali ma non necessariamente da quelli dell’impresa.
Delocalizzazione e Reshoring
È il fenomeno opposto della localizzazione. È un’operazione di rientro.
A partire dai primi anni dell’attuale decennio si sta assistendo a un’inversione
di tendenza della delocalizzazione: tale fenomeno è stato definito reshoring (o
rilocalizzazione). Si tratta di una scelta di ri-localizzare gli investimenti
internazionali nel paese d’origine per via delle dinamiche dell’ambiente
competitivo globale o per un miglioramento delle condizioni dei fattori di
attrattività nel mercato d’origine.
Internazionalizzazione della R&S
Settori in cui tecnologia, know how e altre risorse intangibili costituiscono
fattori critici di successo. Le imprese sono spinte dalla consapevolezza
dell’esistenza di competenze specifiche specializzate al di fuori del loro paese
d’origine e dalla possibilità di avvalersene per sostenere le proprie strategie di
sviluppo.
Le imprese hanno la possibilità di:
accedere a competenze tecnico-specifiche
accedere a competenze specializzate a minori costi
monitorare gli sviluppi tecnologici raggiunti e raggiungibili
in diversi paesi
sviluppare nuovi prodotti
partecipare a progetti di ricerca
fornire la risposta più aderente possibile alle richieste dei
singoli mercati locali
fornire servizi tecnici alle unità produttive o di commercializzare ubicate
all’estero.
Difficoltà:
raggiungere economie di scala
5
gestire efficacemente la comunicazione con i centri di sviluppo dislocati
massimizzare la sicurezza per le conoscenze e le tecnologie importanti
per l’impresa.
Internazionalizzazione finanziaria
L’internazionalizzazione del mercato dei capitali(presenza su mercati nazionali
di operatori finanziari esteri e di operatori istituzionali esteri che investono nel
capitale di rischio delle imprese nazionali).
Reperimento di risorse finanziarie sui mercati borsistici(e non) internazionali,
spesso accompagnata da strategie di immagine.
Assunzione di partecipazioni di minoranza in imprese operanti in mercati esteri.
Apertura di consociate in paradisi fiscali.
Internazionalizzazione commerciale
L’impresa decide di collocare i propri prodotti anche in paesi diversi da quello
d’origine. Prende avvio con la scelta della combinazione fra tre fattori (o vettori
di sviluppo):
paesi
segmenti di domanda
prodotti/servizi.
Quattro opzioni realizzabili:
Espansione semplice: rivolgersi agli stessi segmenti di domanda serviti in
patria, con i prodotti già collaudati dall’impresa(stesso prodotto e stessi
segmenti di domanda) ciò che vendi in Italia, lo vendi anche in
Germania senza problemi. Ad esempio le auto
Sviluppo del prodotto: sviluppare nuovi prodotti da destinare a segmenti
di domanda con caratteristiche simili a quelli serviti nel paese d’origine
(stessa domanda ma prodotti diversi) es il Mc Donald.
Sviluppo del mercato: rivolgersi a segmenti esteri diversi rispetto a quelli
serviti nel paese d’origine, mediante gli stessi prodotti disponibili in
patria ma posizionati in modo diverso (stesso prodotto ma segmenti
diversi) es la 500 e la Mustang
Diversificazione: diversificare le attività, collocando all’estero nuovi
prodotti rivolti a nuovi segmenti di domanda(prodotto e domanda
differenti) es prodotti per la cura del corpo, come i profumi.
Internazionalizzazione: ingresso nei mercati esteri
I principali modelli teorici in tema di internazionalizzazione delineano un quadro
del processo di espansione internazionale, secondo cui l’internazionalizzazione
delle imprese si sviluppa per gradi a partire dalla fase di esportazione.
Secondo tale logica, le varie forme di internazionalizzazione sono viste come un
continuum ideale che inizia con le esportazioni (come forma di coinvolgimento
internazionale minimo dell’impresa), passa per alcune forme di collaborazione
e culmina negli investimenti diretti di controllo.
Le modalità di ingresso di un’impresa nei mercati esteri dipendono da tre
elementi: 6
1. il tipo di attività che si intendono svolgere nell’area estera
2. i soggetti esterni eventualmente coinvolti per la
realizzazione delle attività
3. l’area geografica in cui si attua l’entrata per svolgere tali attività.
L’individuazione dell’area geografica è una scelta trasversale rispetto alle
singole modalità di ingresso.
Sull’asse delle x c’è il grado di rischio, sull’asse delle y controllo del mercato.
Parallelamente al rischio c’è Impiego di risorse.
Vicino all’origine ci sono le esportazioni, mentre sul lato opposto gli
investimenti diretti esteri. 7
Esportazione indiretta
L’esportazione indiretta è la forma più semplice di ingresso sul mercato
internazionale. La produzione rimane nel paese d’origine e alcuni intermediari
(operatori specializzati nelle attività di export) si occupano della collocazione
dei prodotti sui mercati esteri.
È la scelta delle imprese che non hanno trasferito alcuna attività della catena
del valore oltre confine. Questa condizione riguarda la maggior parte delle
imprese di piccole dimensioni.
Esportazione diretta
L’esportazione diretta implica un maggior avvicinamento al mercato e assume
all’interno dell’azienda attività affidate a terzi nel caso dell’esportazione
indiretta.
Istituzione di un profilo ufficio esportazione.
Maggior controllo sul mercato estero.
Necessità di stabilizzare le vendite sul mercato estero.
Fornire un contenuto di servizio richiesto per la vendita del prodotto.
È una scelta obbligata nel caso di produzioni su commessa e ad alto contenuto
tecnologico.
Alleanze strategiche e accordi internazionali
Le forme di accordo rappresentano una scelta capace di rispondere ai limiti
delle imprese nel gestire la propria attività in un contesto competitivo
internazionale. Negli ultimi anni è cresciuto molto il ricorso a queste forme di
collaborazione. Esiste un rischio di fallimento dell’accordo. Esso implica
l’indipendenza tra le imprese partner, una durata della relazione, condivisione
di interessi da perseguire in modo congiunto, scambio di risorse e conoscenze
in modo reciproco.
Investimenti diretti sui mercati esteri
La forma più avanzata del processo di articolazione della catena del valore a
scala internazionale (globale). Si possono realizzare attraverso la costituzione
ex novo di un’unità operativa all’estero e/o l’acquisizione di un’impresa. È una 8
scelta basata sulla ricerca di nuovi mercati di vendita dei prodotti dell’impresa,
di risorse non reperibili nel m