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MITI COLLETTIVI
10. Il mito della tecnica
1. La tecnica come condizione dell'esistenza umana
Consideriamo la tecnica come strumento a disposizione dell'uomo, quando invece la tecnica oggi è diventata il vero
soggetto della storia, rispetto al quale l'uomo è ridotto a funzionario dei suoi apparati. Al loro interno, infatti, deve
compiere le azioni descritte e prescritte che compongono il suo "mansionario", mentre la sua persona è messa tra
parentesi a favore della sua funzionalità. Dunque l'"umanismo", che prevede la centralità dell'uomo, può considerarsi
concluso, e le categorie umanistiche, non sono più idonee per interpretare il tempo dell'età della tecnica. Diciamo
questo pur riconoscendo che la tecnica può essere considerata come l'essenza stessa dell'uomo, perché l'uomo è
l'unico vivente privo di istinti. La definizione tradizionale che lo definisce "animale ragionevole" è impropria, perché
all'uomo manca quella prima caratteristica fondamentale dell'animalità che è l'istinto. L'istinto, infatti, è una risposta
rigida a uno stimolo. Anche Freud parla di pulsione spinta generica verso qualcosa. Per questo l'uomo non va pensato
come animale con istinti, ma come vivente che, senza istinti, può sopravvivere solo se diventa tecnico. La componente
tecnica è dunque la dimensione con la quale l'uomo rimedia alla sua carenza istintuale, e come tale essa rappresenta
anche il luogo della sua libertà. L'uomo è libero perché senza istinti. L'uomo come ricorda Gehlen "è un essere che per
natura è così problematicamente dotato, da dover fare di una natura trasformata il punto di appoggio della sua propria,
dubbia, capacità di vivere". Tecnica come condizione imprescindibile dell'esistenza umana, come ciò senza il quale
l'uomo non avrebbe potuto inaugurare la sua storia. La teoria per cui gli uomini non hanno istinti è enunciata per la
prima volta da Platone nel Protagora, dove racconta che Zeus incaricò Epimeteo di assegnare a tutti i viventi delle
qualità, che erano poi gli istinti. Giunto all'uomo, Epimeteo più non ne disponeva da distribuire, allora Zeus,
impietositosi della sorte umana, incaricò suo fratello Prometeo, affinché desse agli uomini la propria virtù: il pre-vedere.
L'uomo non ha bisogno dello stimolo della fame per procurarsi il cibo, perché prevede che, anche quando sarà sazio,
arriverà il tempo in cui necessiterà di cibo. Questa è la virtù dell'uomo: la capacità di previsione.
2. Il mondo greco e il primato della natura sulla tecnica
Al contrario, quando nella città sorgevano dei problemi, nella civiltà greca, venivano rappresentati nel teatro, ovvero
all'interno di una dimensione sacrale. Nella tragedia di Eschilo, Prometeo, amico degli uomini, dona loro il fuoco con cui
possono trasformare i metalli e produrre strumenti. Dà loro la capacità del calcolo, della previsione e, in qualche modo,
i princìpi dell'operatività tecnica. A questo punto, però, Zeus diventa timoroso che gli uomini, grazie alla tecnica,
possano diventare più potenti degli dèi conflitto tra religione e scienza. Con la scienza e con la tecnica, infatti, è
possibile ottenere ciò per cui un tempo bisognava pregare gli dèi. Allora Zeus punisce Prometeo: lo lega a una roccia
con un'aquila che gli rode il fegato, che si riforma continuamente per garantire l'eternità del supplizio. I miti devono
essere considerati con attenzione, perché non sono racconti, favole, pure invenzioni di fantasia. Nei miti c'è scienza , c'è
sapere. Ad esempio, nell'ipotesi che il fegato si riformi c'era tutta la competenza dei medici della scuola di Kos, i quali
avevano già individuato la caratteristica fondamentale del fegato di rigenerarsi continuamente. Vi erano dunque delle
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nozioni scientifiche alla base del mito. Procedendo nel racconto di Eschilo, a un certo punto il Coro chiede a Prometeo
se sia più forte la tecnica oppure la natura. Per i Greci, la natura è quel Tutto immutabile governato dalla necessità.
Secondo la mentalità greca gli uomini devono contemplare la natura e cercare di catturarne le costanti. Sulla base di
queste costanti devono costruire l'ordine della città e l'ordine dell'anima. La natura è dunque l'orizzonte di riferimento
sia per la politica sia per il buon governo dell'anima. La tecnica all’epoca dei Greci era molto modesta.
3. L'età moderna e il primato della scienza e della tecnica sulla natura
Se ora passiamo dal mondo greco all'epoca moderna, constatiamo che, dal punto di vista tecnico, non sono intervenute
grosse novità. Nel 1600, fa la sua comparsa quello sguardo nuovo inaugurato dalla scienza moderna. I nomi di
riferimento: Bacone, Galileo, Cartesio, per i quali non bisogna più procedere come i Greci, che si limitavano a
contemplare la natura nel tentativo di catturarne le leggi. Occorre un'operazione inversa: formuliamo delle ipotesi sulla
natura, sottoponiamo la natura a esperimento e, se la natura conferma l'esperimento, assumiamo le nostre ipotesi
come leggi di natura. Questo è il metodo scientifico, il fondamento della scienza moderna. La natura è ora l'imputato
che risponde alle domande degli uomini e, se conferma le ipotesi che questi hanno formulato, tali ipotesi vengono
assunte come "leggi di natura". È proprio la scienza moderna che consegna all'uomo il primato sull'ordine naturale.
Collegamento con la religione: la scienza, riducendo la fatica del lavoro e l'atrocità del dolore, concorre alla redenzione.
E questo è proprio lo scenario teologico entro il quale nasce la scienza in senso moderno.
4. Il capovolgimento dei mezzi in fini
2 secoli dopo la nascita della scienza moderna, 2 riflessioni di Hegel si rivelano decisive per lo strutturarsi dell'età della
tecnica: 1. Nel futuro la ricchezza non sarà più determinata dai "beni", ma dagli "strumenti" perché i beni si
consumano, mentre gli strumenti sono in grado di costruire nuovi "beni". 2. Quando un fenomeno cresce da un punto di
vista quantitativo non si ha solo un aumento in ordine alla quantità, ma si ha anche una variazione qualitativa radicale.
Esempio semplice: se mi tolgo un capello sono uno che ha i capelli, se mi tolgo 2 capelli sono uno che ha i capelli, se
mi tolgo tutti i capelli sono calvo. C’è un cambiamento qualitativo per il semplice incremento quantitativo di un gesto.
Marx cattura questo teorema di Hegel e lo applica all'economia: se il denaro aumenta quantitativamente fino a
diventare la condizione universale per soddisfare qualsiasi bisogno e per produrre qualsiasi bene, allora il denaro non è
più un mezzo, ma il principale fine, per ottenere il quale si vedrà se soddisfare i bisogni e in che misura produrre i beni.
In questo modo il denaro da mezzo diventa fine, e quelli che erano fini diventano strumenti per realizzare quel fine (il
denaro) che tutti continuano a considerare solo un mezzo. L'argomento marxiano può essere applicato anche alla
tecnica. Se la tecnica è la condizione universale per realizzare qualsiasi scopo, la tecnica non è più un mezzo, ma è il
primo fine da raggiungere per poter poi perseguire tutti gli altri scopi che, in assenza del dispositivo tecnico,
resterebbero sogni. Allo stesso modo, se la tecnica diventa ciò senza cui nessun fine è realizzabile, allora diventa, a
prescindere dagli scopi, ciò che tutti vogliono, perché senza la tecnica anche quelli che si presume siano i veri fini non
possono essere raggiunti. Tutto ciò ha delle conseguenze enormi sul piano antropologico: politica ed etica.
5. Il tramonto della politica nell'età della tecnica
La politica è stata sostanzialmente inventata da Platone e prima della politica c'era la tirannide. Oggi la politica non
sembra essere più il luogo della decisione, perché, per decidere, deve guardare all'economia, e l'economia, a sua volta,
per decidere guarda alle disponibilità e alle risorse tecnologiche. Oggi il rapporto tra tecnica e politica, che per Platone
doveva sovrintendere le tecniche, si è capovolto. Oggi la tecnica dà potere a tutti coloro che operano in un apparato.
Siamo quindi di fronte a un potere nuovo, perché la tecnica prevede una coordinazione dei suoi sub-apparati, affinché
tutto possa funzionare con una regolarità e una coordinazione assolute. Basta infatti l'interruzione di un piccolo
segmento perché si blocchi tutto l'apparato. In questo modo la tecnica conferisce potere a tutti coloro che operano
nell'apparato, un potere che gli americani hanno identificato nella denominazione no making power, il potere di non
fare. Inoltre la tecnica potrebbe determinare la fine della democrazia infatti, ci mette di fronte a problemi sui quali
siamo chiamati a pronunciarci senza alcuna competenza.
6. L'impotenza dell'etica nell'età della tecnica
Se dalla politica passiamo all'etica, constatiamo che la tecnica pone dei problemi che esigono decisioni "morali". In
Occidente abbiamo 3 tipi di morale: a) morale cristiana, una morale dell'intenzione: per giudicare una persona occorre
considerare l'intenzione che ha promosso la sua azione. b) Morale laica, che potremmo riassumere nella proposizione di
Kant: "L'uomo va trattato sempre come un fine, mai come un mezzo". Anche questa è una morale dell'intenzione, però
Kant la costruisce prescindendo da qualsiasi riferimento teologico, con strumenti solo razionali. È una morale che non si
è mai potuta realizzare, in quanto l'uomo è giustificato nella sua esistenza solo in quanto funzionario di un apparato o
produttore di qualcosa. c) Agli inizi del secolo scorso Max Weber ha teorizzato una morale che è stata poi riproposta
negli anni 80 da Hans Jonas: morale della responsabilità che contrappone alla morale dell'intenzione perché, dice
Weber, noi non dobbiamo guardare le intenzioni con cui gli uomini compiono le azioni, bensì gli effetti delle azioni
stesse. Ma a aggiunge: "finché gli effetti sono prevedibili". Ebbene, è caratteristica propria della tecnica produrre effetti
imprevedibili. L'economia, che in termini di razionalità era la forma più alta prima dell'avvento della tecnica, ha poi
ceduto alla tecnica il primato, perché l'economia soffre ancora di una passione umana: la passione per il denaro, che è
un elemento irrazionale dal punto di vista della perfetta funzionalità