Letteratura latina - versioni tradotte
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ESTRATTO DOCUMENTO
viva e se la spassi con i suoi amanti 1
che in trecento tiene contemporaneamente abbracciati ,
non amandone nessuno davvero, ma allo stesso modo
rompendo le reni di tutti;
e non si volti a guardare come prima il mio amore
che per colpa sua è caduto come
un fiore del margine del prato, dopo che
è stato toccato dall’aratro che passa oltre.
(1) Si badi che complexa è riferito a Lesbia ed ha propriamente valore attivo ("avendoli
abbracciati").
LXXX. Che dire
Che dire, Gellio, che queste rosee labbruccia
diventino più candidi della neve invernale,
quando al mattino esci e quando l'ottava ora nel lungo
giorno ti sveglia dal morbido riposo?
Certo è un non so che: o davvero la fama sussurra
che tu divori gli enormi manici d'un mezzo uomo?
Certo è così: lo proclamano i fianchi rotti di Vittore
il poveretto, e le labbra segnate dal siero pompato.
LXXXI. Nessuno forse
Nessuno bell'uomo forse fra tanta gente potè, Giovenzio,
esserci, che tu cominciassi ad amare.
Eccetto questo tuo ospite dalla moribonda sede di Pesaro
più pallido d'una statua indorata,
che ora ti sta a cuore, che tu osi preferire
a noi, e non sai che impresa fai?
LXXXII. Quinzio
Quinzio, se vuoi che Catullo ti debba gli occhi
o altro se c'è qualcosa più caro degli occhi,
non strappargli, quello che per lui è più caro
degli occhi o quello che è più caro degli occhi.
LXXXIII. Lesbia
Lesbia di me, presente il marito, dice moltissimo male:
questo per quello scemo è massima gioia.
Mulo, senti nulla? Se dimentica di noi tacesse,
sarebbe sana: ora poiché sbraita e insulta,
non solo ricorda, ma, e la cosa è molto più grave,
è adirata. Cioè, brucia e parla.
LXXXIV. Homoda
"Homoda" diceva Arrio, se mai volesse dire
"comoda" e Per "insidie" "hinsidie",
e davvero sperava d'aver parlato magnificamente,
quando aveva detto più che poteva "hinsidie".
Lo credo, così la madre, così suo zio materno libero.
Così aveva parlato il nonno materno e la nonna.
Inviato costui in Siria a tutti le orecchie riposarono
sentivan queste stesse cose in modo liscio e lieve,
né tali parole temevano per sé in seguito,
quando all'improvviso giunge una notizia terrificante,
il mare Ionio, dopo che Arrio era andato là,
non era più Ionio, ma "Ionio".
LXXXV. Odio ed amo
Odio ed amo. Perché lo faccia, forse richiederai.
Non so, ma lo sento accadere e mi torturo.
LVIII. Celio
Celio, la nostra Lesbia, la bella Lesbia.
La bella Lesbia, che lei sola Catullo
più che se stesso e tutti i suoi,
ora negli incroci e nei vicoli
scortica i nipoti del magnanimo Remo.
X. Varo
Il mio Varo vistomi ozioso nel foro
m'aveva portato dai suoi amori,
battonella, come subito mo sembrò,
non certo scortese né spiacevole,
come giungemmo là, ci capitarono
discorsi vari, tra cui, cosa ci fosse mai
in Bitinia, come ci si trovasse,
e quanto denaro mi avesse fruttato.
Risposi ciò che era (vero), che non c'era
nulla per gli stessi pretori, nè per la coorte,
perché nessuno riportasse la testa più leccata,
specialmente quelli che avessero un pretore
sporcaccione e non stimasse un fico la corte.
"Ma tuttavia senz'altro, ribattono, cosa che
si dice esser nata lì, comprasti
uomini per la lettiga". Io, per rendermi
più interessante per la ragazza,
dico " Non mi andò così male che,
per quanto sia capitata una brutta provincia,
non potessi procurarmi otto uomini giusti".
Ma io non avevo nessuno nè qui né là
che potesse mettersi sul collo il piede
rotto del vecchio lettuccio.
Allora lei, come s'addice al più invertito,
"Per favore, dice, mio Catullo, prestameli
un poco: voglio esser portata
al Serapide" "Aspetta, ribattei alla ragazza,
quello che ora ho detto di avere,
mi scappa la memoria: il mio amico -
è Gaio Cinna - lui se li comprò.
Ma se suoi o miei, che m'importa?
Li uso così bene come se li avessi comprati per me.
Ma tu sei ben insulsa e noiosa,
per causa tua non si può esser negligente"
SALLUSTIO, DE CONIURATIO CATILINAE
1)Tutti gli uomini che si impegnano ad essere superiori ai restanti esseri umani bisogna che si sforzino con il
massimo impegno a non trascorrere la vita in silenzio come gli animali, che la natura creò chini a terra e
schiavi delle pulsioni. Ma tutta la nostra forza è insita nell’animo e nel corpo; ci serviamo dell’intelligenza per
il comando e maggiormente del corpo per l’esecuzione; il primo abbiamo in comune con gli dei, il secondo
con le bestie. E dunque mi sembra più giusto cercare la fama con l’intelligenza che con la forza e, poiché la
vita medesima di cui godiamo è breve, rendere quanto più lungo possibile il ricordo di noi. Infatti la gloria che
viene dalle ricchezze e dalla bellezza è fuggevole e fragile, la virtù è un possesso che risplende per sempre.
Ma per lungo tempo c’è stata una lunga discussione fra gli uomini se l’impresa militare ricevesse più
vantaggio dal vigore fisico o dalle qualità della mente. Infatti si dovrebbe, prima di iniziare, riflettere e,
quando si sarà riflettuto, agire a tempo debito. Così ciascuno dei due, che di per sé è incompleto, ha bisogno
dell’aiuto dell’altro.
2) Dunque all’inizio i re – poiché sulla terra questa fu la prima denominazione del potere – secondo
inclinazioni diverse esercitavano alcuni l’ingegno, altri la forza fisica; allora la vita degli uomini trascorreva
senza cupidigia; ad ognuno era bastante il suo. Però poi, quando Ciro in Asia, gli Spartani e gli ateniesi in
Grecia, iniziarono a sottomettere le citta’ e i popoli, a credere che la più grande gloria stesse nel più grande
potere, allora in ultima analisi alla prova dei fatti si riconobbe che in guerra la supremazia spetta all’ingegno.
Che se la forza d’animo dei re e dei comandanti valesse in pace come in guerra, gli avvenimenti degli uomini
si conterrebbero con più equilibrio e con più costanza, non vedresti mutare e rimescolarsi tutte le cose.
Poiché il potere facilmente si conserva con le doti dell’animo che lo generarono all’inizio. Ma quando l’inerzia
si diffonde in luogo dell’efficienza, la sfrenatezza e l’orgoglio in luogo dell’equità e della continenza, allora la
fortuna cambia insieme con i costumi. Così il potere si trasferisce sempre dal meno capace al migliore.
L’agricoltura, la navigazione, l’arte edilizia obbediscono all’ingegno. Ma molti mortali, schiavi del ventre e del
sonno, trascorrono la vita da ignoranti e da incolti, simili e viandanti. Ad essi senza dubbio contro natura il
corpo è piacere, l’animo è un peso. Vita e morte di costoro io ritengo alla pari, poiché si tace dell’una e
dell’altra. Mentre certamente, infine, mi sembra vivere e godere della vita quello che, intento a qualche
attività, cerca la gloria di un’illustre impresa e di una nobile occupazione.
3) Ma nel vasto campo delle occupazioni umane la natura mostra a chi una strada a che un’altra. È nobile
operare nel bene dello stato, ma non è assurdo neanche scriverne in modo adeguato. O in pace o in guerra
è lecito divenire famoso: e coloro che lo fecero e coloro che scrissero i fatti degli altri, in molti furono lodati. E
a me tuttavia, sebbene la gloria di chi scrive i fatti e di chi li compie non sia assolutamente uguale, sembra
per lo meno molto difficile scrivere le gesta: in primo luogo perché con le parole bisogna eguagliare i fatti; poi
perché la gran parte crede che siano dette per malevolenza e per invidia quelle cose che abbia mosso a
misfatti (reprehenderis = congiuntivo eventuale); qualora poi tu rievochi la grande virtù e la gloria di uomini
eccezionali, ciascuna con anima equa apprende quelle cose che crede che siano facili a farsi da parte sua, e
ritiene false come se fossero state inventate le cose al di sopra. Ma io nel principio, da adolescente, così
come la gran parte, fui trascinato dalla passione per lo stato, e allora ebbi molte delusioni. Infatti al posto del
rispetto, del disinteresse e del merito, vigevano la sfrontatezza, l’avidità e la corruzione. Il mio animo, non
abituato ai maneggi disonesti, rifiutava queste cose, tuttavia fra tanti vizi, la mia tenera età si lasciava
corrompere dell’ambizione; e per nulla di meno la stessa brama di onore che con la maldicenza e l’invidia
devastava gli altri devastava anche me, benché dissentissi dalle cattive abitudini degli altri
4) Allora, quando il mio animo trovo’ sollievo dopo sventure e pericoli, e decisi che il resto della vita l’avrei
trascorso lontano dalla politica, non fu mia intenzione di lasciar consumare il tempo nella pigrizia e nella
inoperosita’, ma neppure trascorrere il resto della vita intento alla coltivazione dei campi, alla caccia, o a
lavori umili; ma, ritornato alla primitiva occupazione, ossia lo studio, dal quale la nefasta ambizione politica
mi aveva allontanato, decisi di scrivere i fatti storici di Roma, per sommi capi, a seconda che
sembrasserodegni di memoria, tanto piu’ che il mio animo era ormai liberato da inutili speranze, da paure, da
legami politici. E dunque esporro’, quanto piu’ possibile attenendomi alla realta’, con brevita’ la congiura di
Catilina. Infatti credo che queste vicende siano degne di ricordo per la singolarita’ della macchinazione
delittuosa e del rischio corso dallo Stato. Ma prima di cominciare il racconto, esporro’ brevemente le
peculiarita’ dell’individuo che diede principio alla congiura
TITO LIVIO, AB URBE CONDITA
Non so se valga davvero la pena raccontare fin dai primordi l'insieme della storia romana. Se anche lo
sapessi, non oserei dirlo, perché mi rendo conto che si tratta di un'operazione tanto antica quanto praticata,
mentre gli storici moderni o credono di poter portare qualche contributo più documentato nella narrazione dei
fatti, o di poter superare la rozzezza degli antichi nel campo dello stile. Comunque vada, sarà pur sempre
degno di gratitudine il fatto che io abbia provveduto, nei limiti delle mie possibilità, a perpetuare la memoria
delle gesta compiute dal più grande popolo della terra. E se in mezzo a questa pletora di storici il mio nome
rimarrà nell'ombra, troverò di che consolarmi nella nobiltà e nella grandezza di quanti avranno offuscato la
mia fama. E poi si tratta di un'opera sterminata, perché deve ripercorrere più di settecento anni di storia che,
pur prendendo le mosse da umili origini, è cresciuta a tal punto da sentirsi minacciata dalla sua stessa mole.
Inoltre sono sicuro che la maggior parte dei lettori si annoierà di fronte all'esposizione delle prime origini e
dei fatti immediatamente successivi, mentre sarà impaziente di arrivare a quegli avvenimenti più recenti nei
quali si esauriscono da sé le forze di un popolo già da tempo in auge. Io, invece, cercherò di ottenere anche
questa ricompensa al mio lavoro, cioè di distogliere lo sguardo da quegli spettacoli funesti di cui la nostra età
ha continuato a essere testimone per così tanti anni, finché sarò impegnato, col pieno delle mie forze
mentali, a ripercorrere quelle antiche vicende, libero da ogni forma di preoccupazione che, pur non potendo
distogliere lo storico dal vero, tuttavia rischierebbe di turbarne la disposizione d'animo.
Le leggende precedenti la fondazione di Roma o il progetto della sua fondazione, dato che si addicono più ai
racconti fantasiosi dei poeti che alla documentazione rigorosa degli storici, non è mia intenzione né
confermarle né smentirle. Sia concessa agli antichi la facoltà di nobilitare l'origine delle città mescolando
l'umano col divino; e se si deve concedere a un popolo di consacrare le proprie origini e di ricondurle a un
intervento degli dèi, questo vanto militare lo merita il popolo romano perché, riconnettendo a Marte più che a
ogni altro la propria nascita e quella del proprio capostipite, il genere umano accetta un simile vezzo con lo
stesso buon viso con cui ne sopporta l'autorità. Ma di questi aspetti e di altri della medesima natura,
comunque saranno giudicati, da parte mia non ne terrò affatto conto: ciascuno, questo mi preme, li analizzi
con grande attenzione e si soffermi su che tipo di vita e che abitudini ci siano state, grazie all'abilità di quali
uomini, in pace e in guerra, l'impero sia stato creato e accresciuto; quindi consideri come, per un progressivo
rilassamento del senso di disciplina, i costumi abbiano in un primo tempo seguito l'infiacchirsi del pensiero,
poi siano decaduti sempre di più, e in séguito abbiano cominciato a franare a precipizio fino ad arrivare ai
giorni nostri, nei quali tanto il vizio quanto i suoi rimedi sono intollerabili. Ciò che risulta più di ogni altra cosa
utile e fecondo nello studio della storia è questo: avere sotto gli occhi esempi istruttivi d'ogni tipo contenuti
nelle illustri memorie. Di lì si dovrà trarre quel che merita di essere imitato per il proprio bene e per quello
dello Stato, nonché imparare a evitare ciò che è infamante tanto come progetto quanto come risultato. E poi,
o mi inganna la passione per il lavoro intrapreso, o non è mai esistito uno Stato più grande, più puro, più
ricco di nobili esempi, e neppure mai una civiltà nella quale siano penetrate così tardi l'avidità e la lussuria e
dove la povertà e la parsimonia siano state onorate così tanto e per così tanto tempo. Perciò, meno cose
c'erano, meno si desiderava: solo di recente le ricchezze hanno introotto l'avidità, e l'abbondanza di piaceri a
portata di mano ha a sua volta fatto conoscere il desiderio di perdersi e di lasciare che ogni cosa vada in
rovina in un trionfo di sregolata dissolutezza. Ma, all'inizio di un'impresa di queste proporzioni, siano messe
al bando le recriminazioni, destinate a non risultare gradite nemmeno quando saranno necessarie: se anche
noi storici, come i poeti, avessimo l'abitudine di incominciare con buoni auspici, voti e preghiere rivolte a tutte
le divinità, preferirei un attacco del genere, pregandoli di concedere grande successo alla mia impresa.
VIRGILIO, ENEIDE
LIBRO II, vv. 1-12
Tacquero tutti ed attenti tenevano i visi;
quindi il padre Enea così cominciò dall'alta letto:
Indicibile dolore, regina, inviti a rinnovare,
come i Danai distrussero i beni troiani ed il regno
degno di pianto, e le cose tristissime che io vidi
e di cui fui gran parte. Quale soldatodei Mirmidoni o dei Dolopi o del crudele Ulisseraccontando tali cose
si tratterrebbe dalle lacrime? E già la notte umida dal cielo
precipita e le stelle cadendo consigliano i sonni.
Ma se sì grande (è) l'amore di conoscere i nostri casi
ed ascoltare brevemente la massima angoscia di Troia,
anche se il cuore inorridisce e rifugge dal lutto,
inizierò.
LIBRO VI, vv. 847-853
Altri plasmeranno meglio le statue palpitanti,
lo credo proprio, trarranno dal marmo volti vivi,
tratteranno megli i processi e descriveranno con lo strumento
le strade del cielo e prediranno gli astri nascenti:
tu, Romano, ricordati di guidare i popoli col potere.
Tu avrai queste arti: imporre usanze di pace,
perdonare ai vinti ed abbattere i superbi"
LIBRO XII, vv. 430-440
Egli avido di lota aveva chiuso i polpacci nell'oro
di qua e di là, odia le esitazioni e scuote l'asta.
Dopo che il fianco ha lo scudo pronto e le spalle la corazza,
indossate le armi, abbraccia Ascanio
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